10 Marzo 2020

Martedì II Settimana di Quaresima

Is 1,10.16-20; Sal 49 (50); Mt 23,1-12

Colletta: Custodisci, o Padre, la tua Chiesa con la tua continua benevolenza, e poiché, a causa della debolezza umana, non può sostenersi senza di te, il tuo aiuto la liberi sempre da ogni pericolo e la guidi alla salvezza eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Catechesi tradendae 8: L’unico «maestro»: Colui che insegna a questo modo merita, ad un titolo del tutto speciale, il nome di «maestro». Quante volte, in tutto il nuovo testamento e specialmente nei vangeli, gli è dato questo titolo di maestro! Sono evidentemente i dodici, gli altri discepoli, le moltitudini degli ascoltatori che, con un accento di ammirazione, di confidenza e di tenerezza, lo chiamano maestro. Perfino i farisei ed i sadducei, i dottori della legge, i giudici in generale non gli rifiutano questo appellativo: «Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia vedere un segno»; «Maestro, che debbo fare per ottenere la vita eterna?». Ma è soprattutto Gesù stesso, in momenti particolarmente solenni e molto significativi, a chiamarsi maestro: «Voi mi chiamate maestro e signore, e dite bene, perché lo sono»; egli proclama la singolarità, il carattere unico della sua condizione di maestro: «Voi non avete che un maestro: il Cristo». Si comprende come, nel corso di duemila anni, in tutte le lingue della terra, uomini di ogni condizione, razza e nazione, gli abbiano dato con venerazione questo titolo, ripetendo ciascuno nel modo suo proprio il grido di Nicodemo: «Sappiamo che sei un maestro venuto da Dio».
Questa immagine del Cristo docente, maestosa insieme e familiare, impressionante e rassicurante, immagine disegnata dalla penna degli evangelisti e spesso evocata in seguito dall’iconografia sin dall’età paleo-cristiana - tanto è seducente - amo evocarla, a mia volta, all’inizio di queste considerazioni intorno alla catechesi nel mondo contemporaneo

Dal Vangelo secondo Matteo 23,1-12: In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati rabbì dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare rabbì, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate padre nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare guide, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

Gesù rimprovera i farisei per la loro ipocrisia, veleno che può mettere radici anche nel cuore dei cristiani: “Sarebbe un’illusione pensare che l’ipocrisia sia propria soltanto dei farisei. Già la tradizione sinottica estendeva alla folla l’accusa di ipocrisia [Lc 12,56]; attraverso ai «Giudei» Giovanni ha di mira gli increduli di tutti i tempi. Il cristiano, soprattutto se ha una funzione di guida, corre anch’egli il rischio di diventare un ipocrita. Pietro stesso non è sfuggito a questo pericolo nell’episodio di Antiochia che lo mise alle prese con Paolo: la sua condotta era una «ipocrisia» [Gal 2,13]. Lo stesso Pietro raccomanda al fedele di vivere semplice come un neonato, conscio che l’ipocrisia lo attende al’varco [1Piet 2,1s) e lo porterebbe a cadere nell’apostasia [1Tim 4,2]” (X. Léon-Dufour).
Il brano evangelico si chiude con l’indicare un antidoto a tale veleno: l’umiltà, il servizio disinteressato, la carità e l’amore fraterno. E sopra tutto ognuno impari a stare al suo posto. La Chiesa ha un solo Maestro Cristo Gesù: «Cristo è il modello dei pastori della Chiesa, nell’infaticabile amore con cui ha compiuto la missione, affidatagli dal Padre, di andare in cerca delle “pecore perdute della casa d’Israele” [Mt 15,24]. Per questo nessun altro all’infuori del Cristo può essere chiamato “maestro” dalla comunità dei credenti» (A. Lancellotti). Soltanto Gesù è la Guida: soltanto Lui rivela il Padre e solo Lui può donare la luce necessaria perché il credente entri nel cuore del Padre e ne comprenda la volontà; Lui è la Via (Gv 8,16), l’unica Via che conduce al Padre.

Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli… - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): versetti 1-3 L’intero capitolo è un severo ammonimento per gli Scribi ed i Farisei ed, in pari tempo, un richiamo a non lasciarsi ingannare dal loro insegnamento. Sulla cattedra di Mosè; gli Scribi (maestri della Legge) ed i Farisei, quando espongono fedelmente la Legge e parlano in nome di Mosè, occupano il posto del grande Legislatore e, perciò, devono essere obbediti. L’accettazione di quanto essi insegnano non obbliga ad imitare la loro condotta (non fate secondo le loro opere), poiché essi sono mendaci ed ipocriti. Gesù ha manifestato più volte il suo pensiero intorno alle interpretazioni false e cavillose date da essi alla Legge mosaica (cf. Mt., 15,1-20; 16,6; 19,1-9).
versetto 4 Gesù denunzia lo sdoppiamento della coscienza di questi maestri d’Israele, che sanno imporre la Legge secondo la lettera, ma non ne vivono lo spirito, anzi con le loro interpretazioni soggettive mettono sulle spalle altrui osservanze dure e pesanti, dalle quali essi si esimono con disinvoltura ricorrendo a sottigliezze sofistiche. Gesù allude a tutte le prescrizioni su la purità e l’impurità legale, le decime, il digiuno, la preghiera, il sabato ecc., che gravavano la coscienza dei pii israeliti secondo la casistica minuziosa dei Farisei.
versetti 5-7 Il Maestro smaschera anche la sottile vanità dei Farisei che amano ostentare le loro pratiche religiose; essi agiscono per essere visti, cioè per apparire osservanti della Legge. Le filatterie (φυλακτήρια = custodie; aramaico tephillin = preghiere) sono piccole scatoline o astucci di cuoio, nelle quali gli Ebrei custodivano le parole essenziali della Legge (Esodo, 13,1-10, 16; Deuteronomio, 6,4-9; 11,21) scritte in pezzettini arrotolati di pergamena. Queste scatoline venivano legate davanti alla fronte ed al braccio per osservare alla lettera (cioè materialmente) le prescrizioni dell’Esodo 13,9.16 e del Deuteronomio, 6,8; 11,18. L’espressione implica anche le cinghiette di cuoio con le quali venivano applicate alla fronte ed al braccio le filatterie; i Farisei per ostentare la loro religiosità allargavano queste cinghiette. Le frange sono dei fiocchi o ciondoli che si applicavano ai bordi del mantello, secondo la prescrizione di Numeri, 15,38. Gesù non condanna l’uso delle filatterie e delle frange (il Maestro stesso usava le frange; cf. Mt., 9,20; 14,36) ma la consuetudine di esagerarne le dimensioni per ostentare la pietà e l’osservanza della Legge, come facevano i Farisei. Amano... d’essere chiamati dalla gente “rabbi”; “rabbi” è una parola aramaica che significa: mio maestro; essa era un titolo corrente per designare i dottori ebrei, cioè gli studiosi ed interpreti della Legge. Gesù stesso fu chiamato con questo titolo dai suoi discepoli (cf. Mt., 26, 25, 49).
versetti 8-12 Il passo di Mt., 23,8-12 costituisce una digressione e non può essere cronologicamente unito al discorso riferito in precedenza dall’evangelista; le parole contenute in esso sono indirizzate ai soli discepoli. Gesù non detta regole, come farebbe un grammatico, intorno all’uso dei termini, ma desidera illuminare lo spirito che deve governare l’uso di essi. Egli ha interesse di mostrare che ogni autorità d’insegnamento deriva da Dio e che l’uomo deve guardarsi da ogni forma di adulazione e di compiacenza personale, la quale possa occasionalmente insinuarsi tra la sua persona e Dio.
Non chiamate nessuno di voi “padre”; in aramaico il termine “Abba” (padre) era anche un titolo riservato ai dottori ebrei; la parola quindi non designa il padre carnale, ma il maestro. Gesù ritorna sopra lo stesso concetto e vuole che nessuno si consideri un maestro (padre) indipendente, poiché il vero ed unico maestro è Dio. Né vi fate chiamare “guide”; nessun discepolo deve ritenersi una guida spirituale indipendente (καθηγητής = direttore, è un hapax legomenon del Nuovo Testamento) perché l’unica guida è Cristo.
Quest’ultimo termine (Cristo), anche se fosse un’aggiunta di qualche copista, spiega molto bene il senso della frase; Gesù stesso si dichiara unica guida dei discepoli. Il più grande tra voi sia vostro servo; Cristo insinua il principio dell’umiltà; egli, pur conservando il concetto della persona che rappresenta l’autorità secondo il grado gerarchico, insegna il modo con il quale il potere d’insegnamento va esercitato. I discepoli che sono rappresentanti dell’unico Maestro devono mettersi al servizio degli altri e considerare l’autorità come mezzo per illuminare gli altri. Per il vers. 12, cf. Mt., 18,4.

Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei - Xavier Léon-Dufour: Il formalismo può essere guarito, ma l’ipocrisia è vicina all’indurimento. I «sepolcri imbiancati» finiscono per prendere come verità ciò che vogliono far credere agli altri: si credono giusti (cfr. Lc 18,9; 20,20) e diventano sordi ad ogni appello alla conversione. Come un’attore di teatro (in gr. hypocritès), l’ipocrita continua a recitare la sua parte, tanto più che occupa un posto elevato e si obbedisce alla sua parola (Mt 23,2s). La correzione fraterna è sana, ma come potrebbe l’ipocrita strappare la trave che gli impedisce la vista, quando pensa soltanto a togliere la pagliuzza che è nell’occhio del vicino (7,4s; 23,3s)? Le guide spirituali sono necessarie in terra, ma non prendono il posto stesso di Dio quando alla legge divina sostituiscono tradizioni umane? Sono ciechi che pretendono di guidare gli altri (15,3-14), e la loro dottrina non è che un cattivo lievito (Lc 12,1). Ciechi, essi sono incapaci di riconoscere i segni del tempo, cioè di scoprire in Gesù l’inviato di Dio, ed esigono un «segno dal cielo» (Lc 12,56; Mt 16,1ss); accecati dalla loro stessa malizia, non sanno che farsene della bontà di Gesù e si appellano alla legge del sabato per impedirgli di fare il bene (Lc 13,15); se osano immaginare che Beelzebul è all’origine dei miracoli di Gesù, si è perché da un cuore malvagio non può uscire un buon linguaggio (Mt 12,24- 34). Per infrangere le porte del loro cuore, Gesù fa loro perdere-la faccia dinanzi agli altri (Mt 23,1ss), denunziando il loro peccato fondamentale, il loro marciume segreto (23,27s): ciò è meglio che lasciarli condividere la sorte degli empi (24,51; Lc 12,46). Qui Gesù si serviva indubbiamente del termine aramaico hanefa, che nell’Antico Testamento significa ordinariamente «perverso, empio»: l’ipocrita può diventare un empio. Il quarto vangelo Cambia l’appellativo di ipocrita in quello di Cieco: il peccato dei Giudei consiste nel dire: «Noi vediamo», mentre sono ciechi (Gv 9,40).

Giovanni Paolo II (Omelia 31 Ottobre 1999): “Uno solo è il vostro Maestro, il Cristo” (Mt 231,10). Il brano evangelico che abbiamo poc’anzi ascoltato riporta la disputa di Gesù con gli scribi ed i farisei. Facendosi eco della voce dei profeti dell’Antico Testamento (cfr Ml 2,1-10), Gesù stigmatizza la loro ipocrisia fondata nella presunzione di essere giusti di fronte a Dio. È un atteggiamento, questo, che allontana l’uomo dalla via del bene. Ed è un atteggiamento che può annidarsi anche oggi nel cuore dell’uomo.


Le parole di Gesù mettono in guardia da ogni “fariseismo”, cioè dalla ricerca delle apparenze, dal facile compromesso con la falsità e dalla tentazione di affermare se stessi indipendentemente dalla volontà divina. Di fronte a questa orgogliosa pretesa dell’uomo di poter fare a meno di Dio, Gesù, il vero Maestro, rivolge un pressante invito ad accogliere con umile disponibilità l’azione della grazia divina: “Chi si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato” (Mt 23,11).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno» (Vangelo) 
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Dio, nostro Padre,
la partecipazione alla tua mensa
ci faccia progredire nell’impegno di vita cristiana,
e ci ottenga il continuo aiuto della tua misericordia.
Per Cristo nostro Signore.