8 Febbraio 2020

Sabato IV Settimana T. O.

1Re 3,4-13; Sal 118 (119); Mc 6,30-34

Colletta: Dio grande e misericordioso, concedi a noi tuoi fedeli di adorarti con tutta l’anima e di amare i nostri fratelli nella carità del Cristo. Egli è Dio, e vive e regna con te...

L’attività apostolica è tanto intensa da non avere “neanche il tempo di mangiare”. Il deserto è il luogo dove la “sposa” incontra lo Sposo (Os 2,16), è il luogo dove risuona la Parola di Dio, e il silenzio facilità l’ascolto, l’interiorizzazione. Ma il desiderio del riposo viene interrotto dalla folla che spesso nelle sue esternazioni di affetto si manifesta indiscreta, ma questo non turba Gesù il quale vedendo “una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose”. A far nascere nel cuore di Gesù un sentimento di compassione è la situazione di disorientamento e di abbandono in cui si trova la folla che lo segue e che non gli lascia il tempo di mangiare. È un palese insegnamento per tutti i cristiani, quando si vive in mezzo agli uomini c’è sempre qualcosa da fare, e a volte bisogna rinunciare al cibo e al riposo.

Dal Vangelo secondo Marco 6,30-34: In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono… - Jacques Hervieux (Vangelo di Marco): È per rendere conto della loro missione che i discepoli raggiungono il loro maestro (v. 30): per i missionari è giunta l’ora del primo bilancio. E l’unica volta in cui, nel suo vangelo, Marco chiama i Dodici col loro nome effettivo di «apostoli», cioè «inviati». Il maestro invita i suoi amici in disparte dalla folla, per godere di un meritato riposo (v. 31a). La folla disturba il gruppo al punto da impedirgli di rifocillarsi (v. 31b): è così annunciato il tema - che sarà introdotto tra poco - del nutrimento. Vivo è il contrasto fra il piano di allontanamento dalla folla (sulle acque del lago) e il flusso di gente che li precede a terra (vv. 32-33).
Quando sbarca, Gesù si trova quindi davanti una folla considerevole (v. 34): egli non può né desidera evitarla; al contrario, Marco insiste sulla sua particolare sollecitudine verso di essa. L’espressione «ne ebbe pietà» è assai eloquente in greco: il testo dice letteralmente: «le sue viscere si riscaldano» come quelle di Dio verso il suo popolo (Os 11,8). E questa compassione di Gesù è paragonata a quella di un pastore per le sue pecore perdute. Qui affiora un tratto essenziale dell’Antico Testamento: Israele vi è rappresentato come un gregge guidato da Dio e dai pastori che egli ha loro concesso. Questi pastori non sono certo tutti, come Mosè o Davide, dei modelli (cfr. Ez 34,1-31): il popolo di Dio ha conosciuto e conosce ancora delle guide del tutto indegne della propria missione. Ecco perché Dio ha promesso a Israele un buon pastore nella persona del messia atteso. Nel nostro passo, Gesù si presenta come questo pastore divino che viene finalmente a prendersi la massima cura del suo popolo: e Marco sottolinea che il maestro comincia con l’«insegnare» a lungo alla folla. Già due volte l’evangelista ha notato l’importanza dell’insegnamento del maestro (1,22; 4,1-2): però non ne ha mai precisato il contenuto; e neanche questa volta lo fa. Ma il particolare è significativo: prima di sfamarli, è anzitutto con la sua parola che Gesù sazia gli uomini. Il racconto della moltiplicazione dei pani che seguirà non va separato da quello che lo precede: è con «la parola» che Gesù cerca di adunare la folla in un nuovo popolo di Dio. La Chiesa antica lo ha compreso bene; nel suo rito eucaristico, essa propone sempre «due tavole» collegate: prima quella della parola, poi quella dei pani.

Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto… - Giuseppe Barbaglio: Sarebbe strano se il ciclo dell’esodo, che nella vita spirituale d’Israele ebbe - sotto i suoi vari aspetti, quindi anche il tema del deserto - una parte fondamentale, avesse d’improvviso perduto il suo significato nella nuova storia della salvezza iniziata da Cristo. Il Battista proclama il suo messaggio nel deserto e ivi intende disporre alla con versione coloro che vogliono ricevere Messia. Da parte sua, come un tempo gli ebrei, Gesù è spinto dallo Spirito di Dio nel deserto per esservi messo alla prova (Mt 4,1). Però a differenza dei suoi padri, egli, l’autentico Israele, supera la prova e resta fedele al Padre suo, preferendo la parola di Dio al pane, la fiducia al miracolo, il servizio di Dio ad ogni miraggio di dominazione terrena. La fedeltà di Cristo si contrappone all’infedeltà d’Israele. Con lui è arrivato il giorno annunciato dal Salmo 95,7c: per Gesù, infatti, il deserto è non solo il luogo della tentazione, dove il combattimento spirituale è più intenso (Mc l,12ss), ma soprattutto è un periodo di lunga e solitaria unione con Dio che invano il tentatore si sforza di turbare. Anche se il contesto è molto diverso, il periodo dei 40 giorni passati nel deserto ha una certa analogia col digiuno di 40 giorni di Mosè (Es 34,28), del profeta Elia (1Re 19,5.8), e soprattutto con i quaranta anni di peregrinazione d’Israele nel deserto (cf. Mt 4,lss).
Non certo a caso nel vangelo secondo Giovanni le riflessioni sul mistero di Gesù riecheggiano sempre il motivo dell’esodo e del deserto. Il Verbo ha posto fra noi la sua tenda, come una volta Jahvé abitò in una tenda tra gli Israeliti (1,14). Il serpente (3,14), la manna (6,50ss), l’acqua (7,37), la luce (8,12) che precede il nuovo Israele, come una volta la colonna di fuoco illuminava Israele che usciva, l’agnello pasquale: tutti questi simboli evocano chiari ricordi delle vicende nel deserto. Benché non si debba spingere la tipologia fino ai minimi particolari, ci si vede un innegabile influsso sul modo con cui Giovanni pensò la persona, la vita e l’opera di Gesù Cristo. Ancora, nel capitolo 13, v. 1 dello stesso vangelo si legge: «Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre...». Anche Gesù dunque con l’attendarsi quaggiù e con la sua «ora», che è la passione e morte, ha attraversato il deserto e sta per entrare nella terra promessa, dopo avere inaugurato il nuovo culto con l’ultima sua pasqua.

… e riposatevi un po’ - Annalisa Guida (Vangelo secondo Marco): Sebbene sia difficile separare i vv. 30-32 dal racconto della prima moltiplicazione dei pani, il cui esordio si inserisce quasi di prepotenza in un’azione e un’intenzione diverse di Gesù, è opportuno notare come in quei versetti si racconti il ritorno dei discepoli, che incastonano l’intervallo su Giovanni Battista riprendendo il filo della narrazione interrottosi in 6,13. «Attorno a Gesù» gli «apostoli» (unica occorrenza del nome in Marco se si esclude l’inciso di 3,14, probabilmente un’aggiunta posteriore) fanno il bilancio di quanto realizzato e gli raccontano che hanno anche insegnato (questo comando esplicito mancava nell’invio di 6,7). Ciò che sorprende, però, è la risposta - e la pedagogia ad essa sottesa - di Gesù, che piuttosto che misurare e pesare l’efficacia dell’azione apostolica propone ai suoi di andarsene «in disparte», a riposare.
Kat’idian, dunque, avvengono sia la formazione, sia il riposo (nel Signore). Gesù destina e riserva tempi differenti nella formazione dei discepoli: c’è un tempo per l’insegnamento, un tempo per la pratica apostolica e un tempo per il riposo. Questa sapienza pedagogica rinvia ad una concezione integrale dell’uomo, dell’uomo concreto, carne e ossa, desideri e bisogni, che Gesù ha davanti e che anche la pastorale più efficientista non dovrebbe dimenticare.
Il v. 33 presenta, chiaramente, un ostacolo alla realizzazione dei piani di Gesù e dei discepoli, perché il clamore e la fama circondano i nostri e ne rendono quasi impossibile uno spostamento segreto. Ma non è questo che ferma Gesù dal realizzare il suo piano: piuttosto, la contemplazione delle folle, che generano in Gesù un profondo sentimento di compassione perché, spiega il narratore con una efficace focalizzazione interna che ci mette fin dentro le viscere di Gesù, «erano come pecore che non hanno un pastore» (v. 34): esplanchnisthe, infatti, significa proprio un profondo turbamento che non tocca cuore a testa, ma il basso ventre.
Questo dice l’antropologia biblica, ma anche la stessa teologia: del Dio dei padri, infatti, la Bibbia non ci dice che ha un gran cuore, ma che ha «viscere di misericordia» (l’espressione viscera misericordiae è nella Vulgata del Benedictus [Lc 1,78] ma prima ancora tutta la tradizione profetica [cf Os 11,8; Ger 31,20; Is 49,14-16] ci parla del perturbamento delle viscere di Dio che fremono per Israele). Per questo Dio è padre e madre, perché nessuno meglio di una madre può sentire il dolore o la preoccupazione o il legame verso i figli esattamente lì, “nella pancia”  dove il figlio è stato concepito dove è cresciuto e si è alimentato.

… e si mise a insegnare loro molte cose - A. Barucq e P. Grelot: 1. Durante la vita pubblica di Gesù, l’insegnamento costituisce un aspetto essenziale della sua attività: egli insegna nelle sinagoghe (Mt 4,23 par.; Gv 6,59), nel tempio (Mt 21,23 par.; Gv 7,14), in occasione delle feste (Gv 8,20) ed anche quotidianamente (Mt 26,55). Le forme del suo insegnamento non differiscono da quelle usate dai dottori di Israele, ai quali si è mescolato nella sua giovinezza (Lc 2,46), che all’occasione riceve (Gv 3,1s.10) e che più di una volta lo interrogano (Mt 22,16s.36 par.). Quindi a lui, come ad essi, viene dato il titolo di rabbi, cioè maestro, ed egli l’accetta (Gv 13, 13), pur rimproverando agli scribi del suo tempo di ricercarlo, come se non ci fosse per gli uomini un solo maestro, che è Dio (Mt 23,7s).
2. Tuttavia, se appare alle folle come un dottore tra gli altri, se ne distingue in diversi modi. Talvolta parla ed agisce come profeta. O ancora, si presenta come l’interprete autorizzato della legge, che porta alla perfezione (Mt 5,17). A tale riguardo egli insegna con un’autorità singolare (Mt 13,54 par.), a differenza degli scribi, così pronti a nascondersi dietro l’autorità degli antichi (Mt 7,29 par.). Inoltre la sua dottrina presenta un carattere di novità che colpisce gli uditori (Mc 1,27; 11,18), sia che si tratti del suo annuncio del regno, oppure delle regole di vita che egli dà: trascurando le questioni di scuola, oggetto di una tradizione che rigetta (cfr. Mt 15,1-9 par.), egli vuol far conoscere il messaggio autentico di Dio e portare gli uomini ad accoglierlo.
3. Il segreto di questo atteggiamento così nuovo sta nel fatto che, a differenza dei dottori umani, la sua dottrina non è sua, ma di colui che l’ha mandato (Gv 7,16s); egli dice soltanto ciò che il Padre gli insegna (Gv 8,28). Accogliere il suo insegnamento significa quindi essere docili a Dio stesso. Ma per giungere a tanto occorre una certa disposizione del cuore che inclina a compiere la volontà divina (Gv 7,17). Più profondamente ancora, bisogna aver ricevuto quella grazia interiore che, secondo la promessa dei profeti, rende l’uomo docile all’insegnamento di Dio (Gv 6,44s). Si tocca qui il mistero della libertà umana alle prese con la grazia: la parola di Cristo-dottore urta contro l’accecamento volontario di coloro che pretendono di veder chiaro (cfr. Gv 9,39ss).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’».
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Dio, che ci hai nutriti alla tua mensa,
fa’ che per la forza di questo sacramento,
sorgente inesauribile di salvezza, la vera fede
si estenda sino ai confini della terra.
Per Cristo nostro Signore.