7 Febbraio 2020

Venerdì IV Settimana T. O.

Sir 47,2-13; Sal 17; Mc 6,14-29

Colletta: Dio grande e misericordioso, concedi a noi tuoi fedeli di adorarti con tutta l’anima e di amare i nostri fratelli nella carità del Cristo. Egli è Dio, e vive e regna con te...

La prigionia e la morte violenta di Giovanni ci ricordano la passione di Gesù. L’odio di Erodiade verso Giovanni assomiglia a quello dei farisei nei confronti di Gesù, Erode pur riconoscendo la santità di Giovanni cede all’istinto, al rispetto umano e Pilato pur riconoscendo Gesù innocente, per paura, cede alla folla, alle minacce del Sinedrio... cronaca quotidiana che si ripete anche ai nostri giorni, ma non deve intimorire i credenti: Per poco non inciampavano i miei piedi... perché ho invidiato i prepotenti, vedendo la prosperità dei malvagi. Non c’è sofferenza per essi, sano e pasciuto è il loro corpo. Non conoscono l’affanno dei mortali... Dell’orgoglio si fanno una collana e la violenza è il loro vestito... sempre tranquilli, ammassano ricchezze. Invano dunque ho conservato puro il mio cuore e ho lavato nell’innocenza le mie mani, poiché sono colpito tutto il giorno, e la mia pena si rinnova ogni mattina... Signore, quando sorgi, fai svanire la loro immagine. Quando si agitava il mio cuore e nell’intimo mi tormentavo, io ero stolto e non capivo, davanti a te stavo come una bestia (Cf. Sal 73). Le vie di Dio non sono le vie degli uomini (Cf. Is 55,8), e a volte attraversano i sentieri oscuri del dolore, della sofferenza.

Dal vangelo secondo Marco 6,14-29: In quel tempo, il re Erode sentì parlare di Gesù, perché il suo nome era diventato famoso. Si diceva: «Giovanni il Battista è risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi». Altri invece dicevano: «È Elìa». Altri ancora dicevano: «È un profeta, come uno dei profeti». Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: «Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto!». Proprio Erode, infatti, aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri. Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto. E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro. 

Angelico Poppi (I Quattro Vangeli - Commento Sinottico): vv. 17-20 Anche Giuseppe Flavio parla della prigionia e dell’uccisione di Giovanni nella fortezza del Macheronte, ma per motivi politici e non per la sua protesta. Erodiade era figlia di Aristobulo (figlio di Erode il Grande e di Mariamne). Fu dapprima moglie di Erode, fratellastro di Antipa, dimorante a Roma. Forse questo Erode aveva un secondo nome, Filippo; oppure Marco lo confonde con Filippo tetrarca dell’Iturea e Traconitide, che in seguito sposò Salomè, figlia di Erodiade. Lo scandalo denunciato dal Battista non riguardava il divorzio di Antipa dalla figlia di Areta, ma la convivenza incestuosa con la cognata, proibita dalla Legge (cf. Lv 18,16; 20,21). Antipa fece imprigionare il Battista, ma riconoscendone la rettitudine cominciò a stimarlo e ad ascoltarlo volentieri. Tuttavia, lo teneva in prigione anche per proteggerlo dalla collera feroce di Erodiade, che ne voleva la morte. Il tetrarca, benché uomo corrotto, nutriva un timore riverenziale per Giovanni, «uomo giusto e santo», cioè osservante della Toràh e dotato di carismi profetici. Al contrario, l’atteggiamento di Erodiade, nonostante le differenze rilevanti, evoca quello della perfida Gezabele, moglie del re Acab (1Re 21).
vv. 21-28 Giuseppe Flavio non menziona questo banchetto per l’uccisione del Battista. La danza veniva di solito praticata da schiave e da prostitute. In base al criterio di discontinuità risulta confermata l’attendibilità della notizia marciana sul ballo della figlia di Erodiade, Salomè. Questa appare più spregiudicata della madre. Appena consultatasi con Erodiade, rientrò subito in fretta e richiese immediatamente la testa di Giovanni su di un vassoio. Nei vv. 23-24 la narrazione raggiunge il culmine della drammaticità. Tanto sadismo in una giovanetta sconcerta il lettore. Antipa le aveva promesso con una formula convenzionale di darle fino alla metà del suo regno (cf. Est 5,3; 7,2); ora accontenta la danzatrice non tanto per scrupolo religioso, cioè per il giuramento fatto, ma per salvare la faccia dinanzi ai commensali.

Che cosa devo chiedere - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): L’accenno alla decapitazione del Battista offre a Marco l’opportunità per narrare come avvenne la morte del Precursore. L’evangelista ricorda i motivi di carattere privato che hanno trascinato il tetrarca al suo gesto sanguinario. Marco, che aveva accennato fugacemente all’arresto del Battista all’inizio della vita pubblica di Gesù (cf. Mc., 1,14), ora precisa maggiormente i fatti, facendo entrare in iscena una donna ambiziosa, accecata dalla passione e follemente bramosa di vendetta, la quale aveva atteso il momento opportuno per indurre il tetrarca ad accondiscendere all’insaziabile odio nutrito da lungo tempo contro colui che pubblicamente aveva denunziato lo scandalo della corte. [...]. La narrazione di Marco è assai più particolareggiata di quella di Matteo, poiché scopre le astuzie femminili alle quali ricorse Erodiade per attuare il suo piano di vendetta.
Dai verss. 19-20 risulta il differente atteggiamento di Erode Antipa e della sua tirannica amante davanti all’austera figura del Precursore; questa era decisa a sbarazzarsi del prigioniero, quello invece era incerto, poiché si sentiva soggiogato dalla superiorità morale del Battista. Marco soltanto ci trasmette queste notizie di carattere privato. Restava molto perplesso (ἠπόρει); molti codici hanno ἐποίει: faceva, (da questi manoscritti deriva la lettura della Volgata: et audito eo multa faciebat). Per il verbo ἀπορεῖν si è pensato che esso abbia un senso particolare, attestato dalla grecità classica, cioè: porre delle questioni; in questo caso il passo evangelico andrebbe così tradotto: «(Erode) lo ascoltava,gli poneva molte questioni e lo ascoltava volentieri»; questo senso del verbo ἀπορεῖν quantunque attestato in Platone ed Aristotele, non sembra convenire al versetto di Marco, perché esso è usato in passi in cui si tratta di discussioni dialettiche.
Vers. 21: Fece un banchetto ai suoi grandi...; Antipa aveva convocato tre categorie di persone: i grandi, cioè i membri dell’amministrazione civile, gli ufficiali superiori dell’esercito ed infine i notabili della tetrarchia (Galilea e Perea).
Lo storico ebreo Giuseppe Flavio (Antichità Giudaiche, XVIII, 5, 2) afferma che Erode fece sopprimere Giovanni perché temeva che la popolarità suscitata dal Precursore fosse causa di sedizione. Da questa notizia delle Antichità Giudaiche alcuni critici concludono che il racconto degli evangelisti, che parlano di un convito e di un ballo a corte, sia una storiella inventata da essi. Per un’esposizione chiara ed esauriente del problema rinviamo il lettore all’opera di M. J. Lagrange: L’évangile de Jésus Christ, Parigi 1948, pp. 200-207. Riportiamo le parole con le quali l’autore citato conclude la sua indagine storica: «Lungi dal contraddirsi i due documenti (Vangelo di Marco e Antichità Giudaiche) si completano nel modo più soddisfacente. Una vaga ragione di stato poté essere la spiegazione più semplice dell’assassinio per uno storico (Giuseppe Flavio) insufficientemente informato. La vera causa ha il suo punto d’appoggio nel carattere che Giuseppe stesso ha tracciato del tetrarca, amministratore prudente ed amico di tutti, quando non era traviato dalla moglie o vinto dal vino. Possiamo quindi con tutta sicurezza mettere la morte del Battista tra i fatti le cui circostanze palesi o nascoste ci sono meglio conosciute».

Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto: Evangelium vitae 47:  La missione di Gesù, con le numerose guarigioni operate, indica quanto Dio abbia a cuore anche la vita corporale dell’uomo. “Medico della carne e dello spirito”, Gesù è mandato dal Padre ad annunciare la buona novella ai poveri e a sanare i cuori affranti (Lc 4,18; Is 61,1). Inviando poi i suoi discepoli nel mondo, egli affida loro una missione, nella quale la guarigione dei malati si accompagna all’annuncio del Vangelo: “E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni” (Mt 10,7-8 Mc 6,13; 16,18). Certo, la vita del corpo nella sua condizione terrena non è un assoluto per il credente, tanto che gli può essere richiesto di abbandonarla per un bene superiore; come dice Gesù, “chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà” (Mc 8,35). Diverse sono, a questo proposito, le testimonianze del Nuovo Testamento. Gesù non esita a sacrificare sé stesso e, liberamente, fa della sua vita una offerta al Padre (Gv 10,17) e ai suoi (Gv 10,15). Anche la morte di Giovanni il Battista, precursore del Salvatore, attesta che l’esistenza terrena non è il bene assoluto: è più importante la fedeltà alla parola del Signore anche se essa può mettere in gioco la vita (Mc 6,17-29). E Stefano, mentre viene privato della vita nel tempo, perché testimone fedele della risurrezione del Signore, segue le orme del Maestro e va incontro ai suoi lapidatori con le parole del perdono (Cf. At 7,59-60), aprendo la strada all’innumerevole schiera di martiri, venerati dalla Chiesa fin dall’inizio. Nessun uomo, tuttavia, può scegliere arbitrariamente di vivere o di morire; di tale scelta, infatti, è padrone assoluto soltanto il Creatore, colui nel quale “viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17,28).

Giovanni Battista è testimone di Cristo, martire, muore per la Verità: Veritatis splendor 91: Già nell’Antica Alleanza incontriamo ammirevoli testimonianze di una fedeltà alla legge santa di Dio spinta fino alla volontaria accettazione della morte... Alle soglie del Nuovo Testamento Giovanni Battista, rifiutandosi di tacere la legge del Signore e di venire a compromesso col male, “immolò la sua vita per la verità e la giustizia” e fu così precursore del Messia anche nel martirio (Cf. Mc 6,17-29). Per questo, “fu rinchiuso nell’oscurità del carcere colui che venne a rendere testimonianza alla luce e che dalla stessa luce, che è Cristo, meritò di essere chiamato lampada che arde e illumina... E fu battezzato nel proprio sangue colui al quale era stato concesso di battezzare il Redentore del mondo”... La Chiesa propone l’esempio di numerosi santi e sante, che hanno testimoniato e difeso la verità morale fino al martirio o hanno preferito la morte ad un solo peccato mortale. Elevandoli all’onore degli altari, la Chiesa ha canonizzato la loro testimonianza e dichiarato vero il loro giudizio, secondo cui l’amore di Dio implica obbligatoriamente il rispetto dei suoi comandamenti, anche nelle circostanze più gravi, e il rifiuto di tradirli, anche con l’intenzione di salvare la propria vita.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello» (Vangelo).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Dio, che ci hai nutriti alla tua mensa,
fa’ che per la forza di questo sacramento,
sorgente inesauribile di salvezza,
la vera fede si estenda sino ai confini della terra.
Per Cristo nostro Signore.