28 Febbraio 2020

Venerdì dopo le Ceneri

Is 58,1-9a; Sal 50 (51); Mt 9,14-15

Giovanni Paolo II (Messaggio per la Quaresima 1991): In questo tempo di Quaresima, è bene riflettere sulla parabola del ricco epulone e di Lazzaro. Tutti gli uomini sono chiamati a partecipare al banchetto dei beni della vita, eppure tanti giacciono ancora fuori la porta, come Lazzaro, mentre «i cani vengono a leccarne le piaghe» (Lc 16, 21).
Se ignorassimo l’innumerevole moltitudine di persone umane che non solo sono prive dello stretto necessario per vivere (cibo, casa, assistenza medica), ma non hanno neppure la speranza di un futuro migliore, diventeremmo come il ricco epulone che finge di non vedere il mendicante Lazzaro (cf. Lc 16, 19-31).
Dobbiamo quindi tenere fissa negli occhi l’immagine della miseria sconvolgente, che affligge tante parti del mondo; e pertanto, con questa intenzione, ripeto l’appello che – in nome di Gesù Cristo e a nome dell’intera umanità – ho rivolto a tutti gli uomini durante la mia ultima visita nel Sahel: «In che modo la storia giudicherà una generazione che, avendo tutti i mezzi per nutrire (quelle popolazioni) del pianeta, con indifferenza fratricida si è rifiutata di farlo? … Come non può essere deserto un mondo, in cui la povertà non incontra un amore capace di dare la vita?» (cf. L’Osservatore Romano, 31 gennaio 1990, p. 6).
Volgendo il nostro sguardo a Gesù Cristo, il buon Samaritano, non possiamo dimenticare che - dalla povertà della mangiatoia alla totale spogliazione della Croce - egli si è fatto uno con gli ultimi. Ci ha insegnato il distacco dalle ricchezze, la fiducia in Dio, la disponibilità alla condivisione. Ci esorta a guardare i nostri fratelli e sorelle, che sono nella miseria e nella sofferenza con lo spirito di chi - povero - sa di dipendere totalmente da Dio e di aver bisogno assoluto di Lui. Il modo in cui ci comporteremo sarà la vera, autentica misura del nostro amore per Lui, fonte di vita e di amore, e segno della nostra fedeltà al suo Vangelo. La Quaresima accresca in tutti questa consapevolezza e questo impegno di carità, perché non passi invano ma ci porti, veramente rinnovati, verso il gaudio della Pasqua.

Dal Vangelo secondo Matteo 9,14-15: In quel tempo, si avvicinarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?».
E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno».

Lo sposo è con loro - Il digiuno è una pratica penitenziale onnipresente in tutte le religioni. Un rito celebrato sopra tutto per attenuare l’arroganza e l’orgoglio, ma che si imponeva in alcune circostanze particolari: per esempio, per scongiurare un castigo divino o per sfuggire a eventi nefandi. Per molti Farisei era una delle tante pratiche escogitate dalla loro affettata religiosità per accampare diritti dinanzi al Signore e carpirne in questo modo la benevolenza (Lc 18,9-14).
Gesù condanna l’esibizionismo, l’ostentazione farisaica (Mt 6,16-18) non il digiuno che, come tutte le altre pratiche penitenziali, deve essere celato da un atteggiamento gaio, sereno, spontaneo: «Tu, quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto» (Mt 6,17). No, quindi, a facce lugubri, tristi.
No, sopra tutto, a comportamenti ostentati unicamente per accaparrarsi le lodi e gli applausi degli uomini (Mt 6,1; 23,5). La religiosità cristiana è fatta di una spiritualità lieta, festante, briosa: «Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino!» (Fil 4,4-5) .
Il Vangelo è la buona notizia che va annunciata con una faccia ilare, sorridente.
Il peccato delle guide spirituali del popolo d’Israele è quello di non essere state capaci di cogliere in Gesù lo sposo dell’umanità. Con Gesù «l’attesa di Dio è colmata: “sono giunte le nozze dell’Agnello, la sua sposa è pronta!” [Ap 19,7]. Gesù è lo sposo che porta a compimento l’alleanza tra Dio e il suo popolo annunciata dal profeta Osea. I tempi sono dunque compiuti. Non è più il tempo per il legalismo, non è più il tempo per leggere il presente con gli occhi del passato, ma con quelli del futuro inaugurato da Gesù. Non è più il momento di digiunare, come all’epoca in cui si preparava ancora l’incontro con Dio, ma è il momento della festa. Egli è ormai qui!» (Anselmo Morandi).
Presente lo Sposo gli invitati non possono digiunare, solo nei giorni successivi alla sua morte potranno farlo: «Il primo periodo è un continuato convito, non ci può essere posto per le astensioni e le privazioni; il secondo è un tempo di lutto, quindi anche di macerazioni. Il digiuno appare quindi un rito di condoglianze che la comunità cristiana celebra per sentirsi vicina al Cristo morto e sepolto» (Ortensio Da Spinetoli).
Sono gli orpelli a dare fastidio, ad appesantire i cuori, ad intralciare il cammino; sono le tradizioni umane che deturpano il messaggio evangelico spogliandolo della sua bellezza e della sua novità.
Fuori immagine, non basta più essere buoni giudei, occorre diventare cristiani: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 5,20).

Il digiuno rito di espiazione, conversione, implorazione - Roberto Tufariello e Giuseppe Barbaglio: Digiuno non è solo privarsi del nutrimento necessario; digiunare vuol dire, in maniera generale, «umiliarsi», cioè assumere il comportamento che conviene alla creatura peccatrice. L’idea di espiazione del peccato e sempre presente nello slancio che porta a digiunare.
Il digiuno dunque é una penitenza e una supplica con le quali si vuole pacificare Dio, allontanare i suoi flagelli, talvolta scoprire la causa dell’ira divina.
Davide aveva implorato col digiuno la pietà di Dio per il figlio nato dal suo adulterio (2Sam 12,15-16-22). Acab, digiunando, allontana da sé la maledizione annunciatagli dal profeta Elia (1Re 21,27-29).
Neemia, venendo a conoscenza della triste condizione dei compatrioti rimasti a Gerusalemme, si abbandona al pianto, digiuna, si rifugia davanti a Dio, chiedendo perdono per i peccati commessi da Israele (Ne 1,4ss).
Chi digiuna, privandosi del cibo che sostiene e alimenta la vita, attesta di non essere nulla davanti al suo Creatore e di aspettare ormai tutto da lui. Il digiuno fa parte del comportamento tipico di chi conta solo sull’aiuto di Dio. Caratteristico a questo riguardo è il comportamento di Esdra in occasione del ritorno da Babilonia: «Là, presso il canale Aava, ho indetto un digiuno, per umiliarci davanti al Dio nostro e implorare da lui un felice viaggio per noi, i nostri bambini e tutti i nostri averi. Avevo infatti vergogna di domandare al re soldati e cavalieri per difenderci lungo il cammino da un eventuale nemico; anzi, avevamo detto al re: “La mano del nostro Dio è su quanti lo cercano, per il loro bene; invece la sua potenza e la sua ira su quanti lo abbandonano”. Così abbiamo digiunato e implorato da Dio questo favore ed egli ci è venuto in aiuto» (Esd 8,21-23; Cf. anche 2Mac 13,9-17).

L’agnello, sposo della nuova alleanza - M.-F. Lacan: La sapienza, che è nata da Dio e si compiace di abitare tra gli uomini (Prov 8, 22 ss. 31), non è soltanto un dono spirituale; appare nella carne: è Cristo, sapienza di Dio (1Cor 1, 24); e nel mistero della croce, follia di Dio, egli porta a termine la rivelazione dell’amore di Dio per la sua sposa infedele, salva e santifica la sposa di cui è il Capo (testa) (Ef 5,23-27).
Si svela così il mistero dell’unione simboleggiata nel VT dai nomi di sposo e di sposa. Per l’uomo si tratta di aver comunione Con la vita trinitaria, di unirsi al Figlio di Dio per diventare figlio del Padre Celeste: lo sposo è Cristo, e Cristo crocifisso. La nuova alleanza è suggellata nel suo sangue (1Cor 11,25) e perciò l’Apocalisse non Chiama più Gerusalemme sposa di Dio, ma sposa dell’agnello (Apoc 21,9).
La Chiesa, sposa della nuova alleanza - Qual è questa Gerusalemme, chiamata alla alleanza con il Figlio di Dio? Non è più la serva, che rappresenta il popolo dell’antica alleanza, ma la donna libera, la Gerusalemme di lassù (Gal 4, 2227). Dopo la venuta dello sposo, al quale il precursore, suo amico, ha reso testimonianza (Gv 3, 29), l’umanità è rappresentata da due donne, simbolo di due città spirituali: da una parte la «prostituta», tipo della Babilonia idolatra (Apoc 17,1.7; cfr. Is 47), dall’altra parte la sposa dell’agnello, tipo della città amata (Apoc 20,9), della Gerusalemme santa che viene dal cielo, perché dallo sposo ha la sua santità (21,2.9s).
Questa donna è la madre dei figli di Dio, di coloro che l’agnello libera dal dragone in virtù del suo sangue (12,1s.11.17). Appare. dunque che la sposa di Cristo non è soltanto l’insieme degli eletti, ma è la loro madre, colei per mezzo della quale e nella quale ognuno di essi è nato; essi sono santificati dalla grazia di Cristo (Tito 3,5ss), e diventano degli esseri vergini, degni di Cristo loro sposo (2 Cor 11, 2), uniti per sempre all’agnello (Apoc 14,4).
3. Le nozze eterne - Le nozze dell’agnello e della sposa comportano quindi diverse tappe per il fatto che la Chiesa è nello stesso tempo la madre degli eletti e la città che li raduna.
a) La prima tappa delle nozze, il tempo della venuta di Cristo (Mt 9,15 par.), termina nel momento in cui sulla croce Cristo, novello Adamo, santifica la nuova Eva; questa esce dal suo costato, simboleggiata dall’acqua e dal sangue dei sacramenti della Chiesa (Gv 19,34; cfr. 1Gv 5,6). L’amore che lo sposo vi mostra alla sua sposa è il modello delle nozze cristiane (Ef 5, 25-32).
b) A queste nozze Cristo invita gli uomini, in primo luogo il suo popolo (Mt 22,1-10); ma per parteciparvi non bisogna soltanto rispondere all’invito che molti rifiutano, bensì indossare la veste nuziale (22,11ss). Questo invito risuona per tutto il tempo della Chiesa; ma poiché l’ora della Celebrazione rimane incerta per ognuno, esso esige la vigilanza, affinché lo sposo, quando verrà, trovi pronte le vergini che sono invitate a prender parte al banchetto nuziale (25,1-13).
c) Infine, al termine della storia, sarà ultimata la veste nuziale della sposa, veste di lino di bianchezza splendente, tessuta dalle opere dei fedeli. Questi aspettano nella gioia e nella lode le nozze dell’agnello a cui hanno la ventura di essere invitati (Apoc 19,7s). In quel momento, in cui sarà giudicata la prostituta (19,2), lo sposo risponderà infine all’appello che il suo Spirito ispira alla sua sposa; sazierà la sete di tutti coloro che, come essa ed in essa, desiderano questa unione al suo amore e alla sua vita, unione feconda, di cui quella degli sposi è uno dei simboli migliori (22,17).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Volgendo il nostro sguardo a Gesù Cristo, il buon Samaritano, non possiamo dimenticare che - dalla povertà della mangiatoia alla totale spogliazione della Croce - egli si è fatto uno con gli ultimi” (Giovanni Paolo II). 
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

La partecipazione a questo sacramento,
Dio onnipotente, ci liberi da ogni colpa
e ci ottenga dalla tua misericordia
la conversione del nostro spirito.
Per Cristo nostro Signore.