27 Febbraio 2020

Giovedì dopo Ceneri

 Dt 30,15-20; Sal 1; Lc 9,22-25

Benedetto XVI (Angelus 10 Febbraio 2008): Mercoledì scorso, con il digiuno e il rito delle Ceneri, siamo entrati nella Quaresima. Ma che significa “entrare in Quaresima”? Significa iniziare un tempo di particolare impegno nel combattimento spirituale che ci oppone al male presente nel mondo, in ognuno di noi e intorno a noi. Vuol dire guardare il male in faccia e disporsi a lottare contro i suoi effetti, soprattutto contro le sue cause, fino alla causa ultima, che è satana. Significa non scaricare il problema del male sugli altri, sulla società o su Dio, ma riconoscere le proprie responsabilità e farsene carico consapevolmente. A questo proposito risuona quanto mai urgente, per noi cristiani, l’invito di Gesù a prendere ciascuno la propria “croce” e a seguirlo con umiltà e fiducia (cfr Mt 16,24). La “croce”, per quanto possa essere pesante, non è sinonimo di sventura, di disgrazia da evitare il più possibile, ma opportunità per porsi alla sequela di Gesù e così acquistare forza nella lotta contro il peccato e il male. Entrare in Quaresima significa pertanto rinnovare la decisione personale e comunitaria di affrontare il male insieme con Cristo. La via della Croce è infatti l’unica che conduce alla vittoria dell’amore sull’odio, della condivisione sull’egoismo, della pace sulla violenza. Vista così, la Quaresima è davvero un’occasione di forte impegno ascetico e spirituale fondato sulla grazia di Cristo.

Colletta: Ispira le nostre azioni, Signore, e accompagnale con il tuo aiuto, perché ogni nostra attività abbia sempre da te il suo inizio e in te il suo compimento. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Dal Vangelo secondo Luca 9,22-25: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno». Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà. Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?».   

Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso? - Javer Pikaza: Queste parole sono una continuazione del testo precedente (9,18-22). Dopo aver confessato Gesù come l’Unto (il Messia di Dio), avevamo scoperto il suo destino doloroso (la sconfitta e la morte). Orbene, partendo da questo dato si illumina tutta l’attività della nostra vita. Chi vuole seguire (colui che ha sentito la gioia di confessarlo Messia) deve prendere la sua croce e accompagnarlo sulla via del sacrificio e della morte.
Seguir Gesù equivale a spendere la vita. In linguaggio trasparente, la Chiesa rappresenta simbolicamente questo atteggiamento con l’esigenza di portare la croce di ogni giorno. Gesù che sale con la croce verso il Calvario
diviene paradigma della verità universale, il principio d’interpretazione sul quale è basata tutta la nostra storia.
I modelli delle vecchie religioni umane non servono più. La grandezza dell’uomo non consiste nel trascendere i limiti della materia salendo fino all’altezza dell’essere del divino (mistica orientale), né consiste nell’identificarsi sacramentalmente con le forze della vira che pulsano nella profondità sorgiva del cosmo (religione misterica); né è perfetto colui che osserva la legge fino alla minuzia (fariseismo, né colui che mira a sottrarsi all’abisso della miseria del mondo nella speranza della meta che si avvicina (apocalittica) ... Di fronte a tutte le possibili vie della storia degli uomini, Gesù ci ha tracciato la sua via: «Se qualcuno vuoi venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua».
Prendere la croce di Gesù significa ascoltare il messaggio del regno, adottare il suo modo di essere e uniformarsi fino alla fine al suo esempio: perdonare sempre, amare senza limiti, vivere aperti al mistero di Dio e restare fedeli anche nel caso che la fedeltà dovesse metterei sulla via della morte.
In base a questa esigenza, la Chiesa sarà definita come l’insieme degli uomini che restano uniti nel ricordo di Gesù e hanno preso il suo esempio come norma della loro condotta. In questa prospettiva, è possibile dettare alcune leggi di morale oggettiva alla quale tutti si devono sottomettere. La vera legge (la norma finale) è sempre il Cristo: il suo messaggio e la sua via d’amore.
Su questo sfondo, la legge di Gesù si può tradurre in questi termini: si guadagna in realtà quello che si perde, cioè quello che si offre agli altri, quello che si sacrifica in beneficio dell’altro. AI contrario, tutto quello che gli uomini tengono per sé in modo egoistico lo perdono. Espressione concreta di questo genere di vita è il «Calvario».
Non dimentichiamo che tutta questa prospettiva cristiana ba senso se è formulata come espansione della verità di Cristo. Senza la sua morte e la sua risurrezione, tutte queste parole non sarebbero altro che un sogno privo di senso.

J. Audusseau e X. Léon-Dufour: 1. Lo scandalo della croce. - «Noi predichiamo un Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e follia per i pagani» (1Cor 1,23). Con queste parole Paolo esprime la reazione spontanea di ogni uomo posto alla presenza della croce redentrice. La salvezza verrebbe al mondo grecoromano per mezzo della crocifissione, supplizio riservato agli schiavi (cfr. Fil 2, 8), che non era soltanto una morte crudele, ma una ignominia (cfr. Ebr 12, 2; 13,13)? La redenzione sarebbe procurata ai Giudei da un cadavere, una impurità di cui bisognava sbarazzarsi al più presto (Gios 10,26s; 2Sam 21,9ss; Gv 19,31), da un condannato appeso al patibolo, che portava su di sé il segno della maledizione divina (Deut 21,22s; Gal 3,13)? Sul Calvario, per gli spettatori era facile beffarsi di lui, invitandolo a discendere dalla croce (Mt 27,39-44 par.). Quanto ai discepoli, si può prevedere la loro reazione atterrita. Pietro, che tuttavia aveva riconosciuto in Gesù il Messia, non poteva tollerare l’annuncio della sua sofferenza e della sua morte (Mt 16,21ss par.; 17,22s par.): come avrebbe ammesso la sua crocifissione? Perciò, alla vigilia della passione, Gesù annunzia che tutti si sarebbero scandalizzati al suo riguardo (Mt 26,31 par.).
2. Il mistero della croce. - Se Gesù, e dopo di lui i discepoli, non hanno attenuato lo scandalo della croce, si è perché un mistero nascosto gli conferiva un senso. Prima di Pasqua, Gesù era solo ad affermarne la necessità, per obbedire alla volontà del Padre (Mt 16,21 par.). Dopo la Pentecoste, illuminati dalla gloria del risorto, i suoi discepoli proclamano a loro volta questa necessità, collocando lo scandalo della croce al suo vero posto nel disegno di Dio. Se il Messia è stato crocifisso (Atti 2,23; 4,10), «appeso al legno» (5,30; 10,39) in modo scandaloso (cfr. Deut 21,23), fu senza dubbio a motivo dell’odio dei suoi fratelli. Ma questo fatto, una volta illuminato dalla profezia, acquista una nuova dimensione: compie «ciò che era stato scritto del Cristo» (Atti 13,29). Perciò i racconti evangelici della morte di Gesù contengono tante allusioni ai Salmi (Mt 27,33-60 par.; Gv 19,24.28.36s): «bisognava che il Messia soffrisse», conformemente alle Scritture, come il risorto spiegherà ai pellegrini di Emmaus (Lc 24,25s).
3. La teologia della croce - Paolo sapeva dalla tradizione primitiva che «Cristo è morto per i nostri peccati secondo le Scritture» (1Cor 15,3). Questo dato tradizionale fornisce un punto di partenza alla sua riflessione teologica: riconoscendo nella croce la vera sapienza, egli non vuole conoscere che Gesù crocifisso (2,2). Con ciò, infatti, risplende la sapienza del disegno di Dio, già annunziata nel VT (1,19s); attraverso la debolezza dell’uomo si manifesta la forza di Dio (1,25). Sviluppando questa intuizione fondamentale, Paolo scopre un senso alle modalità stesse della crocifissione. Gesù fu «appeso all’albero» come un maledetto, per riscattarci dalla maledizione della legge (Gal 3,13). Il suo cadavere esposto sulla croce, «carne simile a quella del peccato», ha permesso a Dio di «condannare il peccato nella carne» (Rom 8,3); la sentenza della legge è stata eseguita, ma nello stesso tempo Dio «l’ha soppressa inchiodandola alla croce, ed ha spogliato le potestà» (Col 2,14s). Così, «mediante il sangue della sua croce», Dio ha riconciliato con sé tutti gli esseri (1,20); sopprimendo le antiche divisioni causate dal peccato, ha ristabilito la pace e l’unità tra Giudei e pagani, affinché non formino più che un solo corpo (Ef 2,14-18). La croce si innalza quindi alla frontiera tra le due economie del VT e del NT.
4. La croce, elevazione verso la gloria - Nel pensiero di Giovanni la croce non è più semplicemente una sofferenza, una umiliazione, che trova non di meno un senso mediante il disegno di Dio e i suoi effetti salutari; è già la gloria di Dio anticipata. Del resto la tradizione anteriore non la menzionava mai senza evocare poi la glorificazione di Gesù. Ma per Giovanni, Gesù trionfa già in essa. Riprendendo, per designarla, il termine che fino allora indicava la esaltazione di Gesù al cielo (Atti 2, 33; 5,31), egli vi mostra il momento in cui il figlio dell’uomo è «innalzato» (Gv 8,28; 12,32s), come un nuovo serpente di bronzo, segno di salvezza (3,14; cfr. Num 21,4-9). Nel suo racconto della passione si direbbe che Gesù muove verso di essa con maestà. Vi sale trionfalmente, perché in essa egli fonda la sua Chiesa «donando lo Spirito» (19,30) e lasciando fluire dal suo costato il sangue e l’acqua (19,34). Ormai bisogna «guardare verso colui che è stato trafitto» (19,37), perché la fede è rivolta al crocifisso, la cui croce è il segno vivente della salvezza. Nello stesso spirito sembra che l’Apocalisse abbia visto, attraverso questo «legno» salvatore, il «legno della vita», attraverso «l’albero della croce», «l’albero di vita» (Apoc 22,2.14.19).

Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto ... Chi vuole essere mio discepolo prenda la sua croce ogni giorno e mi segua - Gesù annunciando la sua futura passione, morte e risurrezione si compromette con gli uomini per la loro salvezza e lo fa nel modo più pieno: «Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto … esser messo a morte». Si fa solidale con l’uomo attraversando la via della croce in pienezza di libertà (Cf. Gv 10,18), portando nel suo corpo le stigmate del peccato e della follia omicida degli uomini. Prendere la croce di Cristo, in questa visuale, significa essere sollecitati a dichiarare fino a che punto si è disposti a compromettersi con lui, il Messia trafitto per la salvezza degli uomini. Si tratta di assumere esistenzialmente il destino di Gesù come destino proprio.
Il discepolo deve accettare senza scandalizzarsi che Gesù porti la croce; ma deve a sua volta portare la croce con Gesù; deve rinnegare se stesso e quindi smettere di porre se stesso al centro delle sue attenzioni e delle sue preoccupazioni; deve assumere la sua croce ogni giorno se vuol seguire davvero il suo Signore, il quale «si sottopose alla croce, disprezzando l’ignominia» (Eb 12,2).
Prendere la croce di Cristo, per l’uomo è una dolorosa e difficile vocazione da assumere e accettare di prenderla significa interrogarsi sulla “quantità e qualità” del proprio amore verso Cristo Gesù e se questo amore lo attira alla croce e gli fa desiderare di percorrere lo stesso cammino.
Gesù esige una risposta dai suoi amici mostrando loro un orizzonte di sofferenza e di morte perché capiscano che il vero valore della croce va colto nella perseveranza e nella fedeltà, e anche questo è un compromettersi per Dio: “ogni giorno”, senza lasciarsi sedurre dalle promesse del mondo o spaventare dalle sue minacce.
Gesù vuole che la risposta sia data in una visione di un destino di dolore e di morte perché i discepoli capiscano che il legame con Gesù deve mostrarsi indissolubile in un sì pieno e totale, un sì che deve essere rinnovato “ogni giorno”, di fronte a ogni nuova situazione di ostacolo o di prova o di tentazione diabolica, un sì pieno che nasca dall’amore e dalla profonda convinzione che perdere la propria vita per Gesù non si rivelerà una perdita ma un autentico guadagno.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Chi vuole essere mio discepolo prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Vangelo). 
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Il pane di vita eterna che ci hai donato, Signore,
santifichi il tuo popolo e sia principio inesauribile
di perdono e di salvezza.
Per Cristo nostro Signore.