21 Febbraio 2020

Venerdì VI Settimana T. O.

 Gc 2,14-24.26; Sal 111 (112); Mc 8,34-9,1

Colletta: O Dio, che hai promesso di essere presente in coloro che ti amano e con cuore retto e sincero custodiscono la tua parola, rendici degni di diventare tua stabile dimora. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua: queste parole di Gesù sono rivolte ai Dodici, a tutti i discepoli, a quelli che affollavano le strade della Palestina, e anche ai cristiani di oggi e a quelli di domani. Da qui l’urgente necessità di mettere in atto il programma di conversione indicato dal Cristo. Le tre espressioni verbali - venire, rinnegare, prendere - non vanno intese come tre tappe di un cammino vocazionale, ma tre aspetti della stessa realtà: la decisione coraggiosa di seguire il Maestro non contando più su se stessi, abbandonandosi al progetto di Dio e legando la propria sorte a quella di Gesù: «A questo infatti siete stati chiamati, perché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme» (1Pt 2,21; cfr. Fil 2,5-9). Poi, l’inciso, per causa mia, fa evitare la trappola di un ascetismo astratto e vacuo: la rinunzia, la sofferenza, la morte hanno senso, e valore salvifico, solo se riconducono alla croce e alla morte di Cristo; hanno significato solo se si rapportano alla piena e totale adesione a Gesù. Fuori da questa cornice il dolore, la rinuncia ai beni terreni, la sofferenza, la morte sono incomprensibili: la croce resta uno strumento di tortura, via larga che conduce solo alla disperazione.

Dal Vangelo secondo Marco 8,34-9,1: In quel tempo, convocata la folla insieme ai suoi discepoli, Gesù disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà.
Infatti quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita? Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della propria vita? Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche
il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi». Diceva loro: «In verità io vi dico: vi sono alcuni, qui presenti, che non morranno prima di aver visto giungere il regno di Dio nella sua potenza».

Le condizioni della sequela - Basilio Caballero (La Parola per Ogni Giorno): Il vangelo di oggi è una raccolta di varie massime di Gesù, alle quali la prima dà unità. Chiamando la gente e i discepoli, Gesù disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». Ecco due condizioni per la sequela di Cristo: rinnegare se stessi e prendere la propria croce.
Le due espressioni sono sinonimi del verbo seguire e non vogliono indicare qualcosa di essenziale alla vita cristiana, cioè alla sequela di Cristo: l’adesione incondizionata a lui. Non sono consigli per un’elite, ma per ogni discepolo di Gesù.
Gesù ha appena annunciato il destino del messia dolente e ora abbozza il percorso del discepolo, che deve essere lo stesso del maestro: attraverso la morte alla vita. «Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà». La fedeltà alla sequela arriva fino a perdere la propria vita per Cristo. Questo significa che deve esserci una ragione forte come la vita stessa perché il discepolo la offra per seguire Gesù; e questa ragione è la nuova vita che ottiene con lui. Il testo, dunque, gioca sul doppio senso dato al termine vita: fisica o terrena e spirituale o eterna.
I tre evangelisti sinottici ripetono queste massime di Gesù, riportate dal vangelo di oggi, anche varie volte; è una prova dell’importanza che dette loro la comunità primitiva come breve catechismo della vita cristiana per la sequela di Cristo.
La morale della sequela è prima di tutto adesione a una persona viva. Il dono di Dio, la sua grazia e la sua liberalità precedono sempre la norma etica, l’esigenza e il precetto. Prima di chiedere qualcosa, Dio comincia sempre dando amore e salvezza; poi invita all’ascolto e alla sequela. I consigli, le esortazioni e gli avvertimenti di Gesù non sono che la conseguenza dell’annuncio di questa offerta generosa di Dio: il suo regno.

La croce, segno del cristiano - Audusseau e X. Léon-Dufour: 1. La croce di Cristo. - Rivelando che i due testimoni erano stati martirizzati «là dove Cristo fu crocifisso» (Apoc 11,8), l’Apocalisse identifica la sorte dei discepoli e quella del maestro. Lo esigeva già Gesù: «Chi vuole seguirmi, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24 par.). Il discepolo non deve soltanto morire a se stesso: la croce che porta è il segno che egli muore al mondo, che ha spezzato tutti i suoi legami naturali (Mt 10,33-39 par.), che accetta la condizione di perseguitato, a cui forse si toglierà la vita (Mt 23,34). Ma nello stesso tempo essa è pure il segno della sua gloria anticipata (cfr. Gv 12,26).
2. La vita crocifissa. - La croce di Cristo, che, secondo Paolo, separava le due economie della legge e della fede, diventa nel cuore del cristiano la frontiera tra i due mondi della carne e dello spirito. Essa è la sua sola giustificazione e la sua sola sapienza. Se si è convertito, è stato perché ai suoi occhi furono dipinti i tratti di Gesù in croce (Gal 3,1). Se è giustificato, non è per le opere della legge, ma per la sua fede nel crocifisso; infatti egli stesso è stato crocifisso con Cristo nel battesimo, cosicché è morto alla legge per vivere a Dio (Gal 2,19) e non ha più nulla a che vedere con il mondo (6,14). Egli pone quindi la sua fiducia nella sola forza di Cristo, altrimenti si mostrerebbe «nemico della croce» (Fil 3, 18).
3. La croce, titolo di gloria del cristiano. - Nella vita quotidiana del cristiano, «l’uomo vecchio è crocifisso» (Rom 6,6), cosicché è pienamente liberato dal peccato. Il suo giudizio è trasformato dalla sapienza della croce (1Cor 2). Mediante questa sapienza egli, sull’esempio di Gesù, diventerà umile ed «obbediente fino alla morte, ed alla morte di croce» (Fil 2,1-8). Più generalmente, egli deve contemplare il «modello» del Cristo, che «sul legno ha portato le nostre colpe nel suo corpo, affinché, morti alle nostre colpe, viviamo per la giustizia» (1Piet 2, 21-24). Infine, se è vero che deve sempre temere l’apostasia, che lo porterebbe a «crocifiggere nuovamente per proprio conto il Figlio di Dio» (Ebr 6,6), egli può tuttavia esclamare fieramente con Paolo: «Per me, non sia mai che io mi glori d’altro all’infuori della croce del nostro Signore Gesù Cristo, grazie al quale il mondo è per me crocifisso, ed io lo sono per il mondo» (Gal 6, 14). 

Perché chi vuole salvare la propria vita - Evangelium vitae 47: La missione di Gesù, con le numerose guarigioni operate, indica quanto Dio abbia a cuore anche la vita corporale dell’uomo. «Medico della carne e dello spirito», Gesù è mandato dal Padre ad annunciare la buona novella ai poveri e a sanare i cuori affranti (cf. Lc 4,18; Is 61,1). Inviando poi i suoi discepoli nel mondo, egli affida loro una missione, nella quale la guarigione dei malati si accompagna all’annuncio del Vangelo: «E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni» (Mt 10, 7-8; cf. Mc 6,13; 16,18).
Certo, la vita del corpo nella sua condizione terrena non è un assoluto per il credente, tanto che gli può essere richiesto di abbandonarla per un bene superiore; come dice Gesù, «chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà» (Mc 8,35). Diverse sono, a questo proposito, le testimonianze del Nuovo Testamento. Gesù non esita a sacrificare sé stesso e, liberamente, fa della sua vita una offerta al Padre (cf. Gv 10,17) e ai suoi (cf. Gv 10,15). Anche la morte di Giovanni il Battista, precursore del Salvatore, attesta che l’esistenza terrena non è il bene assoluto: è più importante la fedeltà alla parola del Signore anche se essa può mettere in gioco la vita (cf. Mc 6,17-29). E Stefano, mentre viene privato della vita nel tempo, perché testimone fedele della risurrezione del Signore, segue le orme del Maestro e va incontro ai suoi lapidatori con le parole del perdono (cf. At 7,59-60), aprendo la strada all’innumerevole schiera di martiri, venerati dalla Chiesa fin dall’inizio.
Nessun uomo, tuttavia, può scegliere arbitrariamente di vivere o di morire; di tale scelta, infatti, è padrone assoluto soltanto il Creatore, colui nel quale «viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17,28).

I doni della croce - La croce non è il cuore del Vangelo. Il cuore del Vangelo è la Risurrezione di Cristo che ha squarciato le tenebre che avvolgevano gli uomini. La croce è stata assorbita dal quel grido che oltre misura ha colmato di gioia e di speranza il mondo intero: «Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. È risorto, come aveva detto» (Mt 28,5-6).
Ma la croce è legata a doppia mandata con la Risurrezione, non solo cronologicamente, perché ha preceduto l’evento pasquale, ma esistenzialmente, perché ha preso per mano i credenti e li ha condotti sulla tomba vuota del Risorto catapultandoli in una vita nuova, nella vita del Risorto.
Così, creatura nuova, rivestito di Cristo, il discepolo si apre ai doni del Risorto: la pace, la gioia, lo Spirito Santo (Gv 20,19-22). Ma il dono più inebriante che la croce possa fare all’uomo che l’accoglie con gioia è la libertà. Solo se l’uomo si lascia inchiodare sulla croce entrerà «nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rom 8,21). Sembra una pazzia, ma è proprio così. Ecco perché Gesù invita a prendere la croce: per sbarazzarsi una volta per sempre dalla concupiscenza «della carne, degli occhi e della superbia della vita» (1Gv 2,16) che rende veramente l’uomo schiavo.
Paolo insegna che i discepoli battezzati in Cristo si sono rivestiti di Cristo (cf. Gal 3,27) e gli appartengono, Cristo però è stato crocifisso, quindi «quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri» (Gal 5,24-26). Questa affermazione paolina molto forte «definisce la situazione dei cristiani in un modo che, a prima vista, sembra incompatibile con l’affermazione della libertà cristiana. Come può essere libera una persona inchiodata a una croce? Non c’è forse contraddizione? No, la libertà cristiana si accorda perfettamente con la crocifissione cristiana, perché ciò che è crocifisso è proprio l’ostacolo alla vera libertà, “la carne con le passioni e i desideri”, e questa crocifissione è unione a Cristo nell’amore, il quale rende liberi [cf. 2,19-20]. L’insegnamento di Paolo corrisponde all’esigenza di portare la croce per seguire Gesù, espressa nel vangelo [cf. Mc 8,34 e paralleli]» (ALBERT VANHOYE, Lettera ai Galati).
Ma vi è un altro dono che la croce porta ai discepoli del Cristo crocifisso: l’amicizia di Dio.
Gesù, un giorno, disse a Padre Pio: «Quante volte mi avresti abbandonato, figlio mio, se non ti avessi crocifisso. Sotto la croce si impara ad amare ed io non la do a tutti, ma solo alle anime che mi sono più care» (Ep. Vol. I, lettera 116). Gesù dà la croce soltanto ai suoi amici più cari, forse per questo nel mondo, e non soltanto nel mondo, ha pochi amici.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». (Vangelo)
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Signore, che ci hai nutriti al convito eucaristico,
fa’ che ricerchiamo sempre quei beni
che ci danno la vera vita.
Per Cristo nostro Signore.