20 Febbraio 2020

Giovedì VI Settimana T. O.

 Gc 2,1-9; Sal 33 (34); Mc 8,27-33

Colletta: O Dio, che hai promesso di essere presente in coloro che ti amano e con cuore retto e sincero custodiscono la tua parola, rendici degni di diventare tua stabile dimora. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

A differenza di Matteo, Marco, come Luca, è molto più stringato: alla confessione della messianicità di Gesù non aggiunge quella della filiazione divina e omette altri particolari. A seguito della professione di fede esplicita nella sua messianicità, Gesù fa il primo annunzio della passione: «al compito glorioso di Messia egli aggiunge il compito doloroso di servo sofferente. Con questa pedagogia, che sarà rafforzata qualche giorno dopo dalla trasfigurazione, anch’essa seguita dall’imposizione del silenzio e da un annunzio analogo (Mt 17,1-12), egli prepara la loro fede alla prossima crisi della sua morte e resurrezione» (Bibbia di Gerusalemme). Pietro, non comprendendo appieno le parole, tenta di vanificare il progetto del Maestro, diventando in questo modo il fautore, certo incosciente, dello stesso Satana (cf. Mt 4,1-10).

Dal Vangelo secondo Marco 8,27-33: In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno. E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». 

Questa pericope rappresenta una svolta decisiva nel vangelo di Marco perché in essa l’auto-rivelazione di Gesù raggiunge il suo punto culminante nel fatto che i suoi discepoli lo riconoscono per la prima volta come Messia. Essa introduce anche il tema del Messia sofferente. La confessione di Pietro rivela chi è Gesù: Egli è il Figlio dell’uomo incamminato verso la Croce. Questa è la prima volta che si incontra il titolo Figlio dell’uomo. D’ora innanzi in Marco il titolo sarà usato in connessione o con la gloriosa venuta del Figlio dell’uomo o con la santità della vita di Gesù o con la sua passione e morte. Gesù pertanto trasforma la nozione popolare del Figlio dell’uomo visto come il glorioso giudice escatologico associandola alla figura del Servo sofferente di Jahwhè. Gesù accetta la confessione di Pietro, ma impone di non parlare di lui a nessuno. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo: Pietro malgrado l’avesse proclamato Messia, non ha ancora capito che la missione salvifica, accettata per amore, implicherà per Gesù il grave peso della sofferenza e della morte. A motivo di tanta incomprensione, Gesù rivolge a Pietro un monito severissimo: Va’ dietro a me, Satana! La risposta di Gesù “fa crollare tutte le sue false attese, mentre lo richiama alla conversione e alla sequela: «Rimettiti dietro di me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc 8,33). Non indicarmi tu la strada, io prendo la mia strada e tu rimettiti dietro di me. Pietro impara così che cosa significa veramente seguire Gesù. È la sua seconda chiamata, analoga a quella di Abramo in Gn 22, dopo quella di Gn 12: «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà» (Mc 8,34-35). È la legge esigente della sequela: bisogna saper rinunciare, se necessario, al mondo intero per salvare i veri valori, per salvare l’anima, per salvare la presenza di Dio nel mondo (cfr Mc 8,36-37). Anche se con fatica, Pietro accoglie l’invito e prosegue il suo cammino sulle orme del Maestro” (Benedetto XVI, Udienza Generale, Mercoledì 17 maggio 2006).

E voi chi dite che io sia? - Gesù è «in cammino verso i villaggi intorno a Cesarea di Filippo». La città, ai piedi del monte Ermon, era stata ricostruita sfarzosamente, in stile totalmente ellenistico, da Filippo, figlio di Erode il Grande e Cleopatra di Gerusalemme. L’aveva chiamata Cesarea in onore di Tiberio Cesare aggiungendovi il suo nome per distinguerla dalle altre Cesaree.
Camminando, Gesù saggia la fede dei suoi discepoli e la conoscenza che essi hanno della sua persona. Questo modo informale sembra suggerire che Gesù voglia mettere a proprio agio i suoi interlocutori perché possano esprimere le loro idee con franchezza, in tutta libertà. La risposta è spontanea e fa intendere che essi non si associano al sentire comune. Interpellati personalmente, «voi chi dite che io sia?», essi rispondono affidandosi alla mediazione di Pietro. Che sia Pietro a prendere la parola fa capire che già in gruppo ne avevano parlato ed ora lasciavano la parola a colui di cui riconoscevano una certa autorità.
«Tu sei il Cristo», il Messia. Questa risposta va al di là della stessa comprensione umana di Pietro così come suggerisce Matteo: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli» (16,17).
Il divieto severo di «non parlare di lui a nessuno», è volto anche a non suscitare false speranze soprattutto in mezzo al popolo: il messianismo atteso dai giudei, un messianismo politico, liberatore, non era in sintonia con quello di Gesù.
A questo punto, Gesù cominciò a insegnare loro che il «Figlio dell’uomo doveva molto soffrire ... venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare».
Figlio dell’uomo, questo titolo in origine stava ad indicare l’uomo in tutta la debolezza della sua condizione umana (cf. Ez 2,1), successivamente verrà usato da Daniele (7,13) e poi dall’apocalittica giudaica (Enoch) per indicare il personaggio trascendente, d’origine celeste, che riceve da Dio il regno escatologico, in questo modo si veniva ad evidenziare, in maniera misteriosa ma sufficientemente chiara, il carattere del suo messianismo.
È questa la prima occasione in cui Gesù annunzia ai discepoli i patimenti e la morte che dovrà soffrire, successivamente lo farà altre due volte (cf. Mc 9,30-31; 10,32-34). L’annuncio disorienta gli Apostoli. Tutto sembrava andare sull’onda del successo: miracoli, prodigi, risurrezioni di morti, ed anche un ampio consenso popolare. È impossibile accettare che tutto debba volgere verso la disfatta: la loro esaltante avventura non poteva finire tragicamente e soprattutto con la morte ignominiosa di Gesù, così come lui definisce la sua dipartita.
Gesù parla di morte e di risurrezione: se la sua morte imbarazza i discepoli, ancora di più la sua risurrezione; infatti, come si legge altrove, gli stessi discepoli si chiedevano «che cosa volesse dire risuscitare dai morti» (Mc 9,10).
Il discorso era chiaro, deciso senza sconti, appunto «apertamente». Pietro, come si era si sentito in dovere di rispondere in rappresentanza di tutto il gruppo apostolico, così ora si arroga il diritto di chiamare in disparte il Maestro e rimproverarlo.
Voleva convincerlo a gettare acqua sul fuoco, ma in verità non poteva capire perché la sua mente era ancora chiusa (cf. Mc 6,52; 7,18; 8,17-18; 8,21.33; 9,10.32.38), così chiusa da aprirsi al nefasto influsso di Satana.
Lui, il diavolo, Satana, il grande seduttore di tutta la terra (Ap 12,9), aspettava proprio questo momento: aveva promesso di mettersi di traverso, ostacolare il progetto di Dio (Lc 4,13). E Pietro inconsapevolmente fa suo il gioco: con il suo intervento inopportuno, opponendosi, si mette di traverso avversando il progetto salvifico del Padre che “necessariamente” (Lc 24,26) doveva passare attraverso la morte di croce del Figlio (Fil 2,10).
Il rimprovero di Gesù va in questo senso, non vuole dire che Pietro sia posseduto dal demonio, ma soltanto che le vie di Dio non sono le vie degli uomini (Is 55,8-9).
Va’ dietro di me, Satana. Una risposta che vuole fare “ordine gerarchico”. Chi sta dietro è il discepolo. Gesù dice a Pietro: «Ritorna al tuo posto. Riprendi il tuo posto di discepolo».
Gesù, voltatosi, rimprovera Pietro guardando in faccia i discepoli. Il Maestro attua questa manovra non perché non voglia guardare Pietro negli occhi, ma perché il rimprovero fatto al Capo degli Apostoli è una parola che da tutti deve essere intesa e capita, perché tutti, anche le alte cariche gerarchiche della Chiesa, possono essere preda di Satana, possono diventare Satana, nessuno escluso: «Non ho forse scelto io voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!» (Gv 6,70).

Pietro gli rispose - Jacques Hervieux (Vangelo di Marco): La risposta di Pietro balena come un lampo di luce in un cielo cupo (v. 29b): è una professione di fede finalmente non equivoca. Per bocca del primo fra di loro, i discepoli dimostrano che essi sono finalmente pervenuti ad attribuire a Gesù la sua autentica identità: «il Cristo». Ciò significa l’inviato speciale di Dio — colui che egli ha letteralmente «consacrato» — per stabilire in maniera decisiva il suo regno sulla terra. Marco fa qui culminare la prima parte del suo vangelo. Dall’inizio dell’opera, egli non ha cessato di presentare Gesù come colui che, tramite le proprie parole e azioni, provocava questa domanda: «Chi è costui?». Alcune voci soprannaturali (i demòni) offrivano certo la giusta risposta (1,24; 3,11, ecc.), ma gli uomini, da parte loro, ne restavano ben lontani. Nel pensiero giudaico contemporaneo, il messia atteso assumeva l’aspetto di un liberatore più politico che religioso: egli doveva anzitutto ristabilire i diritti di Dio cacciando l’occupante romano fuori delle frontiere del regno di Davide; avrebbe portato con sé una dovizia di beni materiali, la fine di tutte le malattie; sarebbe stato un eroe terreno prestigioso (cfr. Mt 4,1-11). Lo si è visto: a motivo dei suoi miracoli, dei suoi successi sul male e la morte, Gesù ha dovuto lui stesso frenare le false speranze riposte nella sua persona. Era incessantemente costretto a distogliere i suoi uditori dall’immagine fallace di un messia puramente terreno, che avrebbe restaurato in Israele il «paradiso perduto».
Marco ha accentuato l’atteggiamento riservato del maestro davanti alle attese troppo terrene: egli ha fatto costante ricorso al «segreto messianico»; non c’è da meravigliarsi se lo vediamo utilizzarlo ancora una volta in quest’occasione (v. 30). E l’ingiunzione del silenzio che Gesù aveva imposto ai demòni (1,25.43-44), ai malati guariti (5,43; 7,36), e che viene imposta anche agli stessi discepoli. Il motivo è semplice: solo il seguito del racconto permetterà a costoro - e ai lettori che essi rappresentano - di farsi un’idea giusta del «messia» che è Gesù. Solo la passione e la risurrezione del maestro offriranno a chi lo avrà seguito fino ad allora il mezzo per attingere la verità completa del mistero della sua persona e della sua missione.
Però, non ne dubitiamo, con la presente professione di fede di Pietro, viene superata una soglia irreversibile. Gesù di Nazaret non può essere ridotto all’immagine che la gente si fa di lui: un uomo come gli altri (cfr. 6,3); egli non va ridotto alla qualità che gli viene riconosciuta di celebre guaritore dotato di facoltà straordinarie (cfr. 3,7-11). Il maestro non è neanche riducibile all’immagine del «profeta» che egli tuttavia propone (cfr. 6,4-6): in lui vi è più di un profeta: «il Cristo» in persona.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Tu sei il Cristo» (Vangelo).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Signore, che ci hai nutriti al convito eucaristico,
fa’ che ricerchiamo sempre quei beni
che ci danno la vera vita.
Per Cristo nostro Signore.