19 Febbraio 2020

Mercoledì VI Settimana T. O.

Gc 1,19-27; Sal 14 (15); Mc 8,22-26

Colletta: O Dio, che hai promesso di essere presente in coloro che ti amano e con cuore retto e sincero custodiscono la tua parola, rendici degni di diventare tua stabile dimora. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Gesù e i suoi discepoli giunsero a Betsàida e gli condussero un cieco, e gli condussero un cieco, pregandolo di toccarlo. Gesù acconsente, lo guarisce, ma in modo diverso. Prima di tutto, lo porta fuori dal villaggio. Poi gli mette della saliva sugli occhi, gli impone le mani e chiede: «Vedi qualcosa?». L’uomo rispose: Vedo la gente; infatti sembrano alberi che camminano! Vedeva solo in parte. Scambiava alberi per persone, o persone per alberi! Solo in un secondo momento Gesù guarisce il cieco e gli proibisce di entrare nel villaggio.
Perché la saliva? Perché la guarigione avviene in due tempi?
I ciechi «sono stati sempre numerosi nell’Oriente e il posto che occupano nel Nuovo Testamento dimostra molto bene che nella Palestina la cecità era la sorte di molti infelici che beneficiarono della compassione di Gesù. Non era solo un’infermità senile [come accade a Isacco o al sacerdote Eli], ma era anche più spesso il risultato dell’oftalmia purulenta, provocata o aggravata dal sole, dalla polvere e dal sudiciume» (Lucas H. Grollenberg). Ed è naturale che Gesù innanzi ai questi poveri infelici provi compassione, ma non è un mago e non volendo suscitare facili entusiasmi, lo condusse fuori dal villaggio, ed “opera” secondo i canoni che la medicina allora suggeriva.
La saliva era considerata dotata di una particolare efficacia terapeutica, soprattutto nel caso di persone venerate per santità e autorevolezza. Una prassi reiterata nei confronti di un sordomuto: «Gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua e, guardando poi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: Effata’, cioè: “Apriti”» (Mc 7,33-34; cfr. Gv 9,1ss).
La risposta del cieco crea qualche difficoltà, per Adalberto Sisti (Marco) le “parole del cieco benché non troppo chiare nel testo greco, stanno a rivelare «la difficoltà della guarigione e a rendere più evidente la grandezza del miracolo» [E. SCHWWIZER, 174]”.

Dal Vangelo secondo Marco 8,22-26: In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero a Betsàida, e gli condussero un cieco, pregandolo di toccarlo. Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: «Vedi qualcosa?». Quello, alzando gli occhi, diceva: «Vedo la gente, perché vedo come degli alberi che camminano». Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente, fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa. E lo rimandò a casa sua dicendo: «Non entrare nemmeno nel villaggio».

La guarigione del cieco di Betsàida - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli a Confronto): Questo racconto, simmetrico a quello della guarigione del sordomuto (7,31-37), funge da transizione dal motivo dell’incomprensione dei discepoli, rilevata più volte in questa sezione, alla confessione messianica di Pietro. Solo un intervento miracoloso di Dio poteva rimuovere la loro cecità e durezza di cuore (8,17). La guarigione graduale del cieco simboleggiava la conclusione di una tappa nella formazione dei discepoli, iniziata con il viaggio in barca all’altra riva del lago (4,36), e segnava il passaggio a un’altra fase del loro cammino di fede, che sarebbe culminato nel riconoscimento di Cristo a Pasqua.
Il miracolo del cieco lento e laborioso, mediante vari gesti risananti, indica che i discepoli, per comprendere il Cristo dovevano lasciar i prendere per mano e illuminare da Gesù.
v.22 L’indicazione precisa del luogo del miracolo ne denota la plausibilità storica, benché redatto con il medesimo schema letterario della guarigione del sordomuto. Bethsaida (= “Casa del pescatore”), un villaggio della Galaunitide a 2 km a nord del lago di Genesaret, ricostruito da Filippo nell’anno 2 a.c., era la patria di Pietro, Andrea e Filippo (cf. Gv 1,44).
v.23 L’imposizione delle mani e l’uso della saliva rientravano come elementi normali nella prassi taumaturgica ellenista. Gesù non ricorse a questi gesti per ingannare la gente. Infatti, condusse fuori dal villaggio il cieco, per non dare spettacolo come i ciarlatani. In questa circostanza però la guarigione non avvenne mediante la parola, ma con la duplice imposizioni delle mani.
Comunque, il potere soprannaturale di Gesù non aveva niente in comune con pratiche magiche dei guaritori di professione.
vv.24-25 La guarigione, che avvenne gradualmente, simboleggiava la comprensione lenta e progressiva dell’identità soprannaturale di Gesù da parte dei discepoli. Dapprima il cieco scambiò gli uomini con degli alberi che camminavano; alla seconda imposizione delle mani recuperò totalmente la vista.
v.26 È qui implicito il tema del segreto messianico. La realtà misteriosa del Cristo non i percepisce sulle piazze, bensì nell’ascolto umile e perseverante della Parola, in “casa” (οἶκος un probabile riferimento all’assemblee cristiane in case private).

… gli condussero un cieco, pregandolo di toccarlo - Hildegard Gollinger: Il cieco non può diventare sacerdote (Lv 21,18). Nemmeno animali ciechi possono essere sacrificati, perché soltanto ciò che è senza difetto può avvicinarsi all’altare ed essere posto su di esso. Ma il cieco non è escluso dalla comunità, poiché Dio crea i vedenti e i ciechi Il cieco sta anzi sotto la protezione particolare di Dio. Avere cura dei ciechi è un comandamento di Dio. In pratica, però, essi facevano parte dei mendicanti. I libri profetici dell’Antico Testamento intendono la cecità soprattutto in senso traslato, come incapacità dell’uomo di riconoscere l’agire e la volontà di Dio e di vivere in conformità ad essi. La cecità mantiene questo significato anche nel Nuovo Testamento. I farisei credono di vedere, in realtà sono essi stessi “ciechi guide di ciechi” (Mt 15,14; Lc 6,39). Autore di questa cecità è il “dio di questo mondo”, cioè Satana (2Cor 4,4). La cecità, dunque, è lo stato, non voluto da Dio, dell’allontanamento dell’uomo da Dio, dell’incredulità. Secondo la promessa dei profeti veterotestamentari il tempo messianico della salvezza è caratterizzato, fra l’altro, dal fatto che i ciechi vedranno. Su questo sfondo vanno viste le guarigioni dei ciechi da parte di Gesù: esse confermano Gesù come il potente realizzatore delle profezie veterotestamentarie e sono segni della signoria di Dio che in lui irrompe (cf. Mt 11,5). Per questo. Gesù rifiuta l’interpretazione giudaica della cecità come castigo inflitto da Dio: il cieco non viene riconosciuto automaticamente come peccatore grave a partire dalla sua sofferenza, ma diventa occasione per la realizzazione del progetta salvifico di Dio (Gv 9,3). Non la cecità fisica deriva dal peccato, ma l’illusione farisaica che crede di vedere, ma che di fatto è inguaribilmente cieca, essendosi chiusa nei confronti di Dio (Gv 9,41). 

Gli Apostoli e la Chiesa dinanzi alla malattia - J. Giblet e P. Grelot: 1. Il segno del regno di Dio, costituito dalle guarigioni miracolose, non è rimasto confinato nella vita terrena di Gesù. Egli aveva associato i suoi apostoli, sin dalla loro prima missione, al suo potere di guarire le malattie (Mt 10,1). Al momento della missione definitiva promette loro una realizzazione continua di questo segno per accreditare l’annunzio del vangelo (Mc 16,17s). Perciò gli Atti notano a più riprese le guarigioni miracolose (Atti 3,1ss; 8,7; 9,32ss; 14,8ss; 28,8s) che mostrano la potenza del  nome di Gesù e la realtà della sua risurrezione. Così pure Paolo, tra i carismi, ricorda quello di guarigione (1Cor 12,9.28.30): questo segno permanente continua ad accreditare la Chiesa di Gesù facendo vedere che lo Spirito Santo agisce in essa. Tuttavia la grazia di Dio viene ordinariamente agli ammalati in un modo meno spettacolare. Riprendendo un gesto degli apostoli (Mc 6,13), i «presbiteri» della Chiesa compiono su di essi, che pregano con fede e confessano i loro peccati, unzioni con olio nel nome del Signore; questa preghiera li salva, perché i peccati sono loro rimessi ed essi possono sperare, se così piace a Dio, la guarigione (Giac 5,14ss).
2. Questa guarigione non avviene tuttavia in modo infallibile, come se fosse l’effetto magico della preghiera o del rito. Finché dura il mondo presente, l’umanità deve continuare a portare le conseguenze del peccato. Ma «prendendo su di sé le nostre malattie» al momento della sua passione, Gesù ha dato loro un nuovo senso: come ogni sofferenza, esse hanno ormai un valore di redenzione. Paolo, che ne ha fatto l’esperienza a più riprese (Gal 4,13; 2Cor 1,8ss; 12,7-10), si sa che esse uniscono l’uomo a Cristo sofferente: «Portiamo nei nostri corpi le sofferenze di morte di Gesù, affinché la vita di Gesù sia anch’essa manifestata nel nostro Corpo» (2Cor 4,10). Mentre Giobbe non arrivava a comprendere il senso della sua prova, il cristiano si rallegra di «completare nella sua carne ciò Che manca alle prove di Cristo per il suo corpo, Che è la Chiesa» (Col 1,24). Nell’attesa che giunga questo ritorno al paradiso dove gli uomini saranno guariti per sempre dai frutti dell’albero della vita (Apoc 22,2; cfr. Ez 47,12), la malattia stessa è inserita, Come la sofferenza e come la morte, nell’ordine della salvezza. Non che essa sia facile da portare: rimane una prova, ed è carità aiutare il malato a sopportarla, visitandolo e consolandolo. «Portate le malattie di tutti», consiglia Ignazio di Antiochia. Ma servire gli ammalati significa servire Gesù stesso nelle sue membra sofferenti: «Ero ammalato e mi avete visitato», dirà nel giorno del giudizio (Mt 25,36). Il malato, nel mondo cristiano, non è più un maledetto dal quale ci si scosta (cfr. Sal 38, 12; 41, 6-10; 88, 9); è l’immagine ed il segno di Cristo Gesù.

Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio - Francesco Pisano: Dove andranno? - si sarà chiesta la gente - Dove lo porterà? “Lo porterà”, appunto: è proprio questo il verbo che adopera l’evangelista; possiamo immaginare la tenerezza di Gesù nel prendere quell’uomo per mano. Lo prende per mano perché vuol fargli sentire la sua amicizia; lo conduce altrove dove ci sia la possibilità di essere se stessi e di ritrovare la fiducia nelle proprie capacità. Lo prende per mano perché un cieco ha bisogno di un contatto vivo e di sentire nel linguaggio di una mano la possibilità di fidarsi. “Prenderlo per mano” significa dargli sicurezza! Molte volte quel cieco aveva teso la mano chiedendo guida e aiuto. Spesso era rimasto con la mano tesa, o addirittura era stato abbandonato. Forse aveva dato la mano ad un cieco come lui ed entrambi sono caduti. Il cieco deve uscire fuori da Betsaida, abbandonare ciò che per lui significa un po’ di protezione, ciò che gli garantisce una sicurezza, una serenità. Il processo di guarigione non può iniziare nel villaggio, sotto la tutela di coloro che ci conducono. Il passaggio dal buio alla luce è un passaggio doloroso, bisogna abbandonare le pareti familiari che ci difendono, le situazioni nelle quali ci sentiamo al sicuro. Questo processo ha bisogno dell’esperienza purificante della solitudine; bisogna lasciare il villaggio e andare verso il deserto, lì dove siamo finalmente soli con noi stessi. Il dono della guarigione fisica e della fede è frutto di un incontro profondo e personale con Gesù, occorre prendere le distanze dal vociare della folla.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Il dono della guarigione fisica e della fede è frutto di un incontro profondo e personale con Gesù, occorre prendere le distanze dal vociare della folla” (Francesco Pisano).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Signore, che ci hai nutriti al convito eucaristico,
fa’ che ricerchiamo sempre quei beni
che ci danno la vera vita.
Per Cristo nostro Signore.