17 Febbraio 2020

Lunedì VI Settimana T. O.

 Gc 1,1-11; Sal 118 (119); Mc 8,11-13


Colletta: O Dio, che hai promesso di essere presente in coloro che ti amano e con cuore retto e sincero custodiscono la tua parola, rendici degni di diventare tua stabile dimora. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

La richiesta del segno da parte dei farisei è registrata anche nel Vangelo di Matteo (16,1-4), e nel Vangelo di Luca (Lc 11,29-32), ma con delle differenze. Marco più breve, a differenza di Matteo e Luca, non fa menzione al segno di Giona e alla regina del sud. Il racconto marciano, “è spesso considerato più originario della promessa del «segno di Giona» in Matteo e Luca. Forse però Marco ha omesso questo ricordo biblico perché rischiava di sfuggire ai suoi lettori, e Gesù ha realmente promesso questo segno per annunziare il trionfo della sua liberazione finale, così come Matteo l’ha ben esplicitato [cf. Mt 12,39]” (Bibbia di Gerusalemme). I farisei si misero a discutere con Gesù, chiedendogli un segno dal cielo, per metterlo alla prova: in verità, ai farisei non interessano i segni, interessa trovare un modo per smentire Gesù di fronte alle folle. E questo è suffragato dal fatto che la domanda del segno avviene nel contesto di una sezione caratterizzata dai due miracoli dei pani (Mc 6,30-44; 8,1-9), due miracoli fra i più spettacolari del vangelo. La richiesta è per mettere alla prova Gesù: l’uomo spesso va in cerca di segni costruiti in base alla propria immaginazione e non s’accorge dei molti segni che Dio ha di sua iniziativa seminato lungo la strada.

Dal Vangelo secondo Marco 8,11-13: In quel tempo, vennero i farisei e si misero a discutere con Gesù, chiedendogli un segno dal cielo, per metterlo alla prova. Ma egli sospirò profondamente e disse: «Perché questa generazione chiede un segno? In verità io vi dico: a questa generazione non sarà dato alcun segno». Li lasciò, risalì sulla barca e partì per l’altra riva.

Domanda di un segno dal cielo - (Angelico Poppi, I Quattro Vangeli a Confronto): Marco (8,11-13) - Dopo il ritorno di Gesù in Galilea (v. 10), comparvero i farisei, che “cominciarono a discutere con lui” esigendo un segno dal cielo che legittimasse la sua attività. Amareggiato per l’incredulità degli avversari, rifiutò loro ogni segno. Era un giudizio di condanna: infatti, “lasciatili se ne andò all’altra riva” di nuovo verso il territorio dei pagani.
v. 11 La domanda dei farisei costituiva una “tentazione” per Gesù: essi esigevano un segno straordinario. I prodigi strepitosi da lui compiuti, li avevano attribuiti alla sua connivenza con Satana (3,22). Egli doveva conformarsi al volere del Padre, attuando il suo progetto di amore verso i peccatori in modo umile e paziente.
v. 12 L’amen, indica l’importanza del logion, quale giuramento (= “Dio mi punisca se sarà dato un segno a questa generazione!”).
Gesù “geme nel suo spirito” per l’incredulità degli interlocutori. “Questa generazione” è un’espressione biblica per indicare malvagità, disubbidienza ostinata (cf. Gn 7,1; Sal 95,10; Ger 8,3). Egli non compì mai miracoli su ordinazione, per dare spettacolo di grandezza; esigeva l’ascolto della sua parola. Secondo Matteo e Luca, offrì il segno di Giona, che equivaleva però a un rifiuto.

In quel tempo, vennero i farisei... - Jean Radermakers (Lettura Pastorale del Vangelo di Marco): I farisei tornano alla carica, per «metterlo alla prova», cercando in lui un segno dal cielo (8,11; cf. Dt 18,20-22; Is 7,10-14). «Emettendo un sospiro» (8,12), come in occasione della guarigione del sordomuto (7,34), Gesù rifiuta di dare a «questa generazione» un segno diverso da quelli ch’egli opera continuamente sotto gli occhi delle folle. L’espressione «questa generazione», a volte accompagnata dagli aggettivi «adultera e peccatrice» (8,38; cf. Mt 12,39.45; 16,4) oppure «infedele e perversa» (9,19; cf. Mt 17,17), indica nell’Antico Testamento (Dt 32,5-20; Is 1,2; Sal 78,8; 95,10) il popolo d’Israele infedele all’alleanza, che mette continuamente alla prova il suo Dio e reclama sempre nuovi segni della sua potenza; ma può indicare anche coloro che cercano Dio (Sal 24,6).
Qui sembra rivolgersi al di là del gruppo dei farisei, e quindi a tutti coloro che, fondandosi sulle apparenze come i conterranei di Gesù (6,3), sono incapaci di cogliere la sua vera identità. Marco non parla del «segno di Giona», cioè del segno della risurrezione, come fanno i paralleli sinottici (Mt 12,39-41; 16,4; Lc 11,29-32); alla domanda di un segno che, per la sua indiscutibile origine divina, legittimi l’azione del Maestro agli occhi degli avversari, Gesù oppone un rifiuto categorico. Il segno della risurrezione verrà nell’ora opportuna, e soddisferà tutte le richieste. Nel frattempo, bisogna accettare quei segni ch’egli dà nei suoi gesti di potenza. Ma rifiutando ai suoi contraddittori il diritto di rinchiuderlo nelle loro categorie mentali o nei loro tentativi di verifica umana, Gesù manifesta paradossalmente la sua vera identità, di cui gli uomini non possono impadronirsi.

I segni nella vita di Gesù - P. Ternant - l. Fedele alla promessa divina di un rinnovamento delle antiche meraviglie (Mt 11,4s = Is 35,5s; 26,19), Gesù moltiplica i miracoli che, pur accreditandone la parola, rientrano nello stesso tempo nei segni avvenimenti salvifici e nella mimica profetica (cfr. Mc 8,23ss): sono soprattutto questi miracoli, uniti alla sua autorità personale e a tutta la sua attività, a costituire «i segni dei tempi» (Mt 16,3), cioè gli indizi dell’inizio dell’era messianica. Ma all’opposto di Israele nel deserto (Es 17,2.7; Num 14,22), egli si rifiuta di tentare Dio, esigendo da lui dei segni a proprio vantaggio (Mt 4,7 = Deut 6,16), e di soddisfare quelli che, avidi di prodigi spettacolari, gli domandano un segno per tentarlo (Mt 16,ss). Così i Sinottici, eco della sua riservatezza, evitano a proposito dei miracoli di usare la parola «segni», a cui ricorrono i suoi avversari (Mt 12,38 par.; Lc 23,8). Certo Dio, fornisce dei segni dell’avvento della salvezza ai poveri, come Maria (Lc 1,36ss), o i pastori (2,12). Però non può offrire ai Giudei i segni che essi si aspettano: ciò significherebbe pervertire la sua missione. Questi ciechi dovrebbero cominciare a prestare attenzione al «segno di Giona» secondo Lc 11,29-32, cioè alla predicazione di penitenza di Gesù. Sarebbero allora in grado di decifrare i «segni dei tempi», senza pretenderne altri per convenienza, e sarebbero preparati a ricevere la testimonianza del più decisivo di essi, il «segno di Giona» secondo Mt 12, 40, cioè la risurrezione di Cristo.
2. Ogni riserbo concernente l’uso della parola semèion scompare nella narrazione giovannea (salvo Gv 4,48), sia negli Atti che nelle lettere. Per Giovanni, la visione dei segni avrebbe dovuto indurre i contemporanei di Gesù a credere in lui (Gv 12,37-38): questi segni rendevano manifesta la sua gloria (2,11) a uomini provati (6,6), come Jahve aveva manifestato la propria (Num 14,22), imponendo al popolo la prova del deserto (Deut 8, 2). Essi li preparavano così a vedere (Gv 19,37 = Zac 12,10), grazie alla fede, il segno del Trafitto elevato sulla Croce fonte di vita (12,33), che realizza la figura del serpente guaritore eretta da Mosè su uno «stendardo» (Num 21,8: ebraico nes; greco semèion; Gv 3,14), per la salvezza del popolo dell’esodo.
Ai cristiani convertiti da questo sguardo di fede (cfr. Gv 20, 29) e raffigurati dai Greci che chiesero di vedere Gesù (12,21.32s), il sangue e l’acqua che sgorgano dal Trafitto (19,34) appaiono allora i simboli della vita dello Spirito e della realtà del sacrificio che ce ne apre l’accesso grazie ai sacramenti del battesimo, della penitenza, dell’eucaristia. E di questi gesti salvifici del Risorto, vero tempio da cui scaturisce l’acqua viva (2,19; 7,37ss; 19,34; cfr. Zac 14,8; Ez 47,1s), i segni anteriori di Gesù (5,14; 6; 9; 13,1-10) appariranno a loro volta le prefigurazioni.

Il miracolismo, surrogato della fede - José Maria Gonzáles-Ruiz: È opinione comune, anche oggi, che i nemici classici di Gesù siano stati i farisei. In tutte le lingue moderne, il termine «fariseismo» o «farisaico» indica falsità e ipocrisia. Però, considerando con attenzione gli elementi storici, non è molto probabile che i membri di questa setta religiosa siano stati sistematicamente ostili al profeta di Nazaret, le cui idee erano molto vicine alle loro su molti punti. I farisei divennero il simbolo principale dell’ostilità cristiana solo nell’ultima terza parte del secolo I. Riferendoci ora al secondo vangelo, scopriamo che il suo autore non considera i farisei come i principali avversari di Gesù, anche se li tratta abbastanza duramente. Questa relativa moderazione di Marco nei confronti dei farisei fa pensare a una data abbastanza anticipata per la redazione del suo vangelo: egli presenta i farisei come avversari di Gesù in Galilea, mentre, fuori di essa, hanno una parte molto meno importante (10,2; 12,13).
Orbene, vi era un grave punto di frizione fra Gesù e i farisei. Il secondo evangelista mette molto bene in rilievo questa differenza e, per questo, sta molto attento a presentare Gesù come Figlio dell’uomo e non come il Messia trionfante. Questo presupposto è presente nei racconti taumaturgici del nostro vangelo. Gesù compie miracoli non per meravigliare la povera gente, ma per farle capire che la grande notizia si riferisce realmente alla sua liberazione totale. Perciò i miracoli si riferiscono sempre alla liberazione dell’uomo dalla malattia, dalla morte o dall’angustia.
Al contrario, nella teologia farisaica, si insisteva assai sugli aspetti trionfalistici del futuro Messia. Questo è il senso della pretesa dei farisei che gli chiedono «un segno dal cielo», cioè un’esibizione cosmica che obblighi gli spettatori a ubbidire al glorioso dittatore celeste.
Gesù è fra l’indignazione e lo stupore: «Perché questa generazione chiede un segno?». Nel NT, l’espressione «questa generazione» suppone sempre un giudizio negativo (Mc 8,38; 9,19; Mt 12,39-45; 16,4; 17,17; Lc 9,41; 11,29; Fil 2,15). Il senso temporale passa in secondo piano, mentre resta in primo piano il contenuto umano collettivo. Forse la traduzione più vicina potrebbe essere la espressione moderna «questa gente».
Gesù afferma in modo solenne che il potere salvifico di Dio non si manifesterà attraverso un’esibizione sconvolgente. Nel corso dei secoli le Chiese cadranno spesso in questa tentazione «farisaica»: cercare e offrire segni meravigliosi che mettano a tacere gli avversari, È curioso notare come questa tentazione venga alle Chiese nei momenti critici di decadenza della fede. Non avendo testimonianze vive e reali di disalienazione da offrire agli «altri», tentano di chiuder loro la bocca con supposti fenomeni soprannaturali, molto lontani dallo spirito dei miracoli di Gesù e molto più vicini ai risultati della moderna scienza della parapsicologia.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Cristo è il grande segno di Dio; egli è il rivelatore e nello stesso tempo il motivo di credibilità della rivelazione. Egli completa la rivelazione e ne conferma l’autenticità con la sua stessa presenza, con le parole e le opere, con i miracoli, con la sua morte e risurrezione, con la manifestazione dello Spirito Santo nella comunità dei credenti” (Catechismo degli Adulti 74).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Signore, che ci hai nutriti al convito eucaristico,
fa’ che ricerchiamo sempre quei beni
che ci danno la vera vita.
Per Cristo nostro Signore.