12 Febbraio 2020

Mercoledì V Settimana T. O.

 1Re 10,1-10; Sal 36 (37); Mc 7,14-23

Colletta: Custodisci sempre con paterna bontà la tua famiglia, Signore, e poiché unico fondamento della nostra speranza è la grazia che viene da te, aiutaci sempre con la tua protezione. Per il nostro Signore Gesù Cristo …

Quando entrò in una casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo interrogavano sulla parabola, come in altre circostanze Gesù riserva ai discepoli un spiegazione più approfondita delle sue parole o dei suoi insegnamenti. I discepoli si dimostrano di essere alla pari degli interlocutori di Gesù, la loro mente è chiusa, non comprendono, e Gesù “li chiama proprio ‘ottusi’. Il fariseismo di maniera, in fondo, fa un po’ comodo a tutti: pensare che non siamo noi l’origine di ciò che contamina e ciò che macchia in noi l’immagine di Dio è così consolante e deresponsabilizzante di Dio è così consolante e deresponsabilizzante ... Separare nella mia vita uno spazio/tempo sacro, che dedico a Dio, da uno profano, dove faccio, ragiono e opero come voglio (e dove Dio non deve entrare, perché non voglia il cielo che possa contaminarsi!) rende le nostre esistenze formalmente ed esteriormente gestibili, ma assolutamente schizofreniche” (Annalisa Guida, Vangelo secondo Marco).
Non sono i cibi che entrano nello stomaco a contaminare l’uomo “perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna”. Un processo fisiologico nulla di più, anche se in alcuni casi il cibo può essere una spinta verso il peccato e questo quando l’uomo si fa dominare dalla “gola” e dall’intemperanza.
Così rendeva puri tutti gli alimenti, un assioma difficile da accettare sopra tutto da certe sette che insistono su queste questioni ritenendoli vitali e importanti.
Così rendeva puri tutti gli alimenti, il testo greco “letteralmente dovrebbe tradursi: «purificando tutti gli alimenti». Stilisticamente, così come si trova, suona molto duro, presentando un participio senza alcun addentellato con un verbo di modo finito. Qualcuno ha pensato ad una nota marginale, penetrata successivamente nel testo; e altri ad un inciso voluto dallo stesso evangelista. Comunque sia, la frase in se stessa precisa molto bene il valore delle precedenti parole di Cristo, per il quale non possono esistere cibi per loro natura impuri e contaminanti” (Adalberto Sisti, Marco).
Il lungo elenco delle “cose cattive” naturalmente non è completo. Tra le tante cose malvagie che escono dal cuore dell’uomo si potrebbe mettere in evidenza la stoltezza, che forse è la chiave per comprendere l’insegnamento di Gesù. La stoltezza “nel senso prettamente biblico, che non guarda tanto al campo intellettuale, quanto al campo etico-religioso, qualificando come stolto chiunque non sa o non vuole comprendere che il miglior modo di vivere è quello di conformare la propria condotta ai precetti di Dio [cf Prv 1,22-P; 5,23; Sir 22,9-18 e vive perciò come se Dio non esistesse [Sal 14,1]”(Adalberto Sisti, Marco).
E forse proprio questo è il rimprovero che Gesù muove ai farisei e agli scribi, a coloro che si vantavano di essere fedeli a Dio, ma in verità, avendosi creati un Dio di fantasia”, praticamente vivevano come se Dio non esistesse.

Dal Vangelo secondo Marco 7,14-23: In quel tempo, Gesù, chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». Quando entrò in una casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo interrogavano sulla parabola. E disse loro: «Così neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?». Così rendeva puri tutti gli alimenti. E diceva: «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».

Così neanche voi siete capaci di comprendere? - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): versetto 17 L’interrogazione dei discepoli mostra apertamente che né essi né la folla avevano afferrato interamente il senso del principio enunziato dal Maestro. Lo interrogarono intorno alla parabola; secondo Matteo, 15,15 è Pietro che interroga Gesù. Parabola ha qui il senso del termine ebraico corrispondente mashal, che significa: paragone, immagine didattica; Gesù infatti aveva parlato di ciò che «vi è fuori dell’uomo» e di «ciò che esce dall’uomo». Questa seconda espressione sfuggiva all’intelligenza dei discepoli; in verità essa poteva prestarsi all’equivoco perché la legge ebraica contemplava anche il caso di manifestazioni fisiche dell’uomo che lo rendevano impuro (come la lebbra ed alcune disfunzioni organiche). Come si vede, i discepoli rimanevano ancora nel campo fisico, mentre Gesù si riferiva a quello morale.
versetti 18-22: L’evangelista constata che gli apostoli, a questo punto della vita pubblica di Gesù, non comprendono ancora la sua dottrina. Il Maestro dà ai suoi le opportune spiegazioni distinguendo nettamente tra l’aspetto fisico e quello morale delle cose.
(Cosi) egli dichiarava puri tutti i cibi; la proposizione è considerata come un inciso aggiunto da Marco, con il quale l’evangelista ricorda che Gesù ha abolito nei cibi la distinzione tra puro ed impuro. Gli alimenti, come ogni altro oggetto esterno, non possono contaminare l’uomo, perché non raggiungono il cuore, sede della moralità. Marco enumera dodici vizi o peccati (Matteo invece ne ricorda soltanto sei, cf. Mt., 15,19) dei quali i primi sei sono espressi con la forma plurale, gli ultimi con quella singolare. Il plurale può indicare la ripetizione degli atti, il singolare invece la tendenza viziosa. Invidia: il greco dice letteralmente: «occhio cattivo». L’evangelista, scrivendo a persone convertite dal paganesimo ritiene opportuno presentare un elenco più particolareggiato dei peccati che caratterizzavano il mondo nel quale vivevano. In questi versetti viene accentuata la novità della legge dello spirito e della conseguente libertà cristiana. Per chi era abituato alla legge ed alla tradizione ebraica queste parole costituivano una profonda innovazione ed un progresso reale nella concezione della moralità.

Nessuna cosa è pura o impura in sé - José Maria González-Ruiz: Un caso concreto della liberazione dalla legge si riferisce al problema delle prescrizioni concernenti la purità e l’impurità. La relazione puro-impuro è correlativa alla relazione sacro-profano. Pare che il verbo ebraico «santificare» (consacrare) significasse, originariamente, «separare», ossia introdurre una scissione tra il sacro e il profano. In questo l’AT condivide, modificandola e purificandola ampiamente, la visione classica delle grandi religioni rispetto alla localizzazione del sacro, secondo la quale vi sarebbero certi spazi, certe zone, certi ambienti che, a priori, sono già segnati dalla presenza del «numinoso», del «tremendo», mentre fuori delle frontiere del sacro comincia l’ambito del profano. Tuttavia nell’AT il profano non è necessariamente antisacro; e quindi, per passare da una zona impura, anche entro i confini del sacro, è necessario passare attraverso un processo di «purificazione»; altrimenti ci si renderebbe colpevoli di sacrilegio.
Già il giudaismo ellenista, pur conservando l’antico concetto di purità limitato al rito e al culto, dimostrava chiaramente di inclinare a spiritualizzarlo dando maggior importanza al lato etico e spirituale che a quello rituale. Ecco una nuova conferma della nostra ipotesi sull’origine giudaico-ellenista del secondo vangelo.
A questo proposito Gesù differisce dagli stessi profeti e dalla stessa spiritualità giudaico-ellenista. Secondo lui non basta superare, sublimandolo, l’antico concetto di purità rituale, ma occorre respingerlo nei suoi presupposti fondamentali. Appunto questa distinzione tra una sfera religiosa, divina, della vita e una sfera quotidiana, che non appartiene a Dio, è rigettata totalmente. Affermando che le «cose» del mondo non sono mai impure, ma divengono tali solo attraverso il cuore degli uomini, la comunità di Gesù ha conservato la fede nella bontà del creato di fronte alla tendenza ascetica che vedeva di malocchio la stessa creazione di Dio.
In una parola Gesù condanna quello che potremmo chiamare l’«automatismo» dell’amplificazione della legge, ossia la ricerca privilegiata di certe zone di rifugio (la legge intesa in senso tradizionale) che basterebbe raggiungere per sentirsi immediatamente salvi. Non vi sono apriorismi sacri: non basta che una persona, un luogo, una casa siano stati consacrati a Dio perché diventino automaticamente sacri e intoccabili. L’unica santificazione possibile viene a posteriori, quando l’uomo, liberamente e coscientemente, adotta una condotta conforme alla volontà di Dio.
In altre parole non vi è sacro o profano, puro o impuro in sé. La creazione è «secolare»: può essere profana e può essere sacra. Sacralità e purezza vengono all’uomo e al mondo unicamente attraverso il canale del dialogo tra Dio e l’uomo.

La purezza: Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 10 dicembre 1980): Quando diciamo “purezza”, “puro”, nel significato primo di questi termini, indichiamo ciò che contrasta con lo sporco. “Sporcare” significa “rendere immondo”, “inquinare”. Ciò si riferisce ai diversi ambiti del mondo fisico. Si parla, ad esempio, di una “strada sporca”, di una “stanza sporca”, si parla anche dell’“aria inquinata”. È così pure, anche l’uomo può essere “immondo”, quando il suo corpo non è pulito. Per togliere le lordure del corpo, bisogna lavarlo. Nella tradizione dell’Antico Testamento si attribuiva una grande importanza alle abluzioni rituali, ad esempio il lavarsi le mani prima di mangiare, di cui parla il testo citato. Numerose e particolareggiate prescrizioni riguardavano le abluzioni del corpo in rapporto all’impurità sessuale, intesa in senso esclusivamente fisiologico, a cui abbiamo accennato in precedenza (cfr Lv 15). Secondo lo stato della scienza medica del tempo, le varie abluzioni potevano corrispondere a prescrizioni igieniche. In quanto erano imposte in nome di Dio e contenute nei Libri Sacri della legislazione anticotestamentaria, l’osservanza di esse acquistava, indirettamente, un significato religioso; erano abluzioni rituali e, nella vita dell’uomo dell’Antica Alleanza, servivano alla “purezza” rituale. In rapporto alla suddetta tradizione giuridico-religiosa dell’Antica Alleanza si è formato un modo erroneo di intendere la purezza morale. La si capiva spesso in modo esclusivamente esteriore e “materiale”. In ogni caso, si diffuse una tendenza esplicita ad una tale interpretazione. Cristo vi si oppone in modo radicale: nulla rende l’uomo immondo “dall’esterno”, nessuna sporcizia “materiale” rende l’uomo impuro in senso morale, ossia interiore. Nessuna abluzione, neppure rituale, è idonea di per sé a produrre la purezza morale. Questa ha la sua sorgente esclusiva nell’interno dell’uomo: essa proviene dal cuore. È probabile che le rispettive prescrizioni dell’Antico Testamento (quelle, ad esempio, che si trovano nel Levitico) (Lv 15,16-24; Lv 18,1; Lv 12,1-5) servissero, oltre che a fini igienici, anche ad attribuire una certa dimensione di interiorità a ciò che nella persona umana è corporeo e sessuale. In ogni caso Cristo si è ben guardato dal collegare la purezza in senso morale (etico) con la fisiologia e con i relativi processi organici.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo».
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Dio, che ci hai resi partecipi
di un solo pane e di un solo calice,
fa’ che uniti al Cristo in un solo corpo
portiamo con gioia frutti di vita eterna
per la salvezza del mondo.
Per Cristo nostro Signore.