26 Gennaio 2020

III Domenica Tempo Ordinario

Is 8,23b-9,3; Sal 26 (27); 1 Cor 1,10-13.17; Mt 4,12-23

Colletta: O Dio, che hai fondato la tua Chiesa sulla fede degli apostoli, fa’ che le nostre comunità, illuminate dalla tua parola e unite nel vincolo del tuo amore, diventino segno di salvezza e di speranza per tutti coloro che dalle tenebre anelano alla luce. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

I Lettura: Verso il 732 a.C., Tiglat-Pilèzer III, re d’Assiria, aveva sottomesso la Galilea annettendola al suo impero e deportandone gli abitanti. Nel mezzo di questi eventi drammatici, Dio conforta e consola il suo popolo per bocca del profeta Isaia il quale annunzia agli sfiduciati e ai disperati (Cf. Gdt 9,11) un messaggio di speranza e di gioia. Il Signore Dio cancellerà la vergogna della disfatta e gli abitanti di quella regione, su cui era piombata l’oppressione assira e la schiavitù, recupereranno la libertà, paragonata dal profeta Isaia a una grande luce. Una profezia che troverà il suo pieno compimento in Cristo Gesù, il quale darà la luce ai ciechi e farà uscire «dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre» (Is 42,7).

Salmo Responsoriale: “Le parole con cui si apre questo salmo manifestano la fiducia rocciosa del salmista nel Signore, una fiducia che resta salda nonostante tutte le difficoltà che possono sopraggiungere” (Vincenzo Paglia, I Salmi)

Seconda lettura: San Paolo scrive ad una comunità lacerata da penose divisioni. Raccomandando ai Corinzi l’unità, ricorda loro che Gesù è venuto a riunire e non a dividere: se ogni comunità è il Corpo di Cristo, ogni divisione diventa lacerazione del Corpo stesso di Cristo. Le divisioni dei cristiani non soltanto raffreddano l’amore e la fraternità, ma deformano anche il messaggio cristiano.

Vangelo: Gesù inizia il suo ministero profetico a partire dall’arresto di Giovanni Battista. Dopo essere stato battezzato nel fiume Giordano e dopo le tentazioni nel deserto, Gesù torna in Galilea andando ad abitare a Cafarnao, «sulla riva del mare, nel territorio di Zabulon e di Nèftali». Secondo la sua abitudine, Matteo vi scorge l’adempimento di un oracolo. È la profezia di Isaia che è ricordata nella prima lettura. L’evangelista in questo modo non solo sottolinea l’adempimento delle Scritture, ma suggerisce l’universalità della salvezza: Gesù è salvezza e luce non solo per i Giudei, ma anche per i pagani che vivevano nella zona di frontiera della Galilea. Oltre il tema della luce è sottolineato il tema della missione: i discepoli, costituiti pescatori di uomini, ricevono il mandato di portare la salvezza sino agli estremi confini del mondo. Gesù, infine, si manifesta come il vero samaritano dell’umanità: «Gesù percorreva tutta la Galilea... guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo».

Dal Vangelo secondo Matteo 4,12-17 [Forma breve]: Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa: «Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta». Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».

Mt 4,12-23 - Il popolo immerso nelle tenebre ha visto una grande luce - Matteo, che ama citare l’Antico Testamento per mostrarlo compiuto in Cristo, per giustificare l’attività di Gesù in Galilea si rifà alla profezia di Isaia. Lo fa apportando alcuni adattamenti. La profezia della luce «che sorge sui territori delle due tribù di Zabulon e Neftali [Is 8,23-9,1] si compie quando Gesù va ad abitare a Cafarnao. Ma per accordare la profezia con lo spostamento di Gesù a Cafarnao, la località viene collocata da Matteo “nel territorio di Zabulon e di Neftali”, mentre egli si trova semplicemente nel territorio dell’ultima tribù, così come il “mare” della profezia, il Mediterraneo, viene assimilato al mare di Galilea» (Il Nuovo Testamento, Vangeli e Atti degli Apostoli).
Galilea è detta delle “genti”, perché il nome significa circondario o distretto dei Gentili. In questo modo, l’evangelista Matteo vuole suggerire ai suoi lettori l’universalità della salvezza, ma anche una regola costante di Dio: cioè «quella di scegliere ciò che nel mondo è piccolo e disprezzato per realizzare con esso le meraviglie della sua salvezza [1Cor 1,27-28]. La Galilea entra a pieno titolo in questa tattica di Dio. Non è una scelta casuale, ma il compimento del disegno di Dio, anzi l’inizio di una rivelazione che diverrà progressivamente più chiara» (L. Monari).
Gesù inizia la predicazione con lo stesso messaggio del Battista: Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino. Ma con una sostanziale differenza. Mentre Giovanni Battista attendeva il regno dei cieli come imminente, Gesù comincia ad attuarlo con la sua opera (Cf. Lc 17,21).
La conversione che Gesù esige deve tradursi in una adesione incondizionata alla sua persona, in un irreversibile distacco dal male, in un risoluto ritorno a Dio in piena obbedienza alla sua volontà.
Queste condizioni radicali vengono poste anche per la sequela cristiana per la quale non si ammettono tentennamenti di sorta (Cf. Lc 9,57-62).

La chiamata di Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello avviene lungo il mare di Galilea: altro nome del lago di Genesaret (o Tiberiade), situato nella parte settentrionale della valle del Giordano.
Simone, chiamato Pietro. Il nome di Pietro, qui anticipato, sarà dato a Simone da Gesù in occasione della sua “confessione” (Cf. Mt 16,18). Nel mondo antico, soprattutto nella mentalità biblica, v’era la tendenza di trovare sempre un significato funzionale ai nomi delle persone o anche delle cose. Imporre il nome o cambiare il nome stava ad indicare il potere di potere di chi prendeva tale iniziativa. Adamo che era stato posto nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse (Gen 2,15), impone nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, segno indubbio di esercizio di sovranità (Gen 2,19-20), Abram da Dio sarà chiamato Abraham, per significare che tutti i popoli saranno benedetti in lui, loro padre (Gen 17,5). Giacobbe sarà chiamato Israele, perché ha lottato con Dio (Gen 48,20), così Simone sarà chiamato Pietro perché sarà la pietra sulla quale Gesù edificherà e renderà salda la sua Chiesa (Mt 16,18).
E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». L’immagine usata dall’evangelista Matteo per indicare la futura missione degli Apostoli si radica nelle credenze del tempo. Era sentire comune credere che il mare fosse il regno delle potenze infernali, trarre fuori gli uomini dal mare assumeva quindi il significato profondo di liberare gli uomini dal peccato; liberare gli uomini dal potere di Satana sarà appunto la missione specifica degli Apostoli prima, della Chiesa dopo.
Nella chiamata di Simone e Andrea, suo fratello, vi è una novità sorprendente: infatti, a differenza «dei discepoli dei maestri ebrei che scelgono il loro maestro, qui è Gesù che sceglie quelli che vuole che lo seguano. C’è una forza e un’autorità misteriosa in lui se basta questo semplice invito a seguirlo per ottenere da parte dei discepoli una risposta pronta e l’altrettanto immediata rinuncia a tutto [Cf. Anche Mc 1,16-20]» (Il Nuovo Testamento, Vangeli e Atti degli Apostoli, Ed. Paoline).
La scuola di Gesù non vuole trasmettere nozioni o scibile umano, ma vuole creare una comunione di vita tra il Maestro e i discepoli: «Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui» (Mc 3,13; Cf. Gv 1,39).
La pericope evangelica si chiude con un sommario resoconto dell’apostolato itinerante di Gesù nella Galilea: Egli predica il vangelo del Regno, guarisce ogni sorta di malattie e di infermità. L’attività  apostolica e taumaturgica di Gesù, senza soste, rivolta sopra tutto ai più bisognosi, resterà incisa, in modo indelebile, nel cuori degli Apostoli, tanto da avere in Atti 10,38, in poche parole, una sintesi perfetta della vita terrena del Figlio di Dio: «Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui». Dio ha iniziato a camminare sulle strade degli uomini: ora, ad essi, tocca stare attenti al rumore dei passi del Dio che viene!

La luce - Wolfgang Klein: Nell’Antico Testamento è designazione dell’opera della creazione e simbolo di felicità e di salvezza. Dio dona entrambe. Luce significa anche la sua gloria e quella del mondo celeste. Il mondo dei morti è il paese delle tenebre.
- L’“uomo tra due mondi” viene poi caratterizzalo a Qumran mediante l’antitesi etico-cosmologica luce - tenebre (1Q 111,13). I membri della setta, in quanto “figli della luce”, nel combattimento escatologico lottano contro altri esseri umani, i “figli delle tenebre”. Il dualismo poggia sulla predestinazione di ogni essere umano agli ambiti luce o tenebre già prevista nel progetto creazionale di Dio; è dunque legato al concetto veterotestamentario di Dio: “Dio ha creato i due spiriti della luce e delle tenebre”, il cui campo di battaglia sono il mondo e l’uomo. Per la comprensione del simbolismo neotestamentario della luce questi antecedenti giudaici sono importanti; Paolo estende la loro applicazione in senso etico-escatologico all’evento Cristo nella parenesi battesimale, Rm 13,11-14: luce e tenebre sono come a Qumran i due ambiti di potere nei quali si compie il cammino dell’uomo, la sua condotta di vita non per predestinazione, ma attraverso la decisione per la fede o per l’incredulità. L’immagine della vicinanza del “giorno” è usata come motivazione per deporre le “opere delle tenebre” e rivestire le “armi della luce”. La vicinanza del giorno significa dunque combattimento: “Questo combattimento è identico a quello tra fede e incredulità”. In Giovanni, Cristo, la “luce del mondo” (Gv 8,12), entra nel cosmo tenebroso. Con la venuta della “vera luce”, il tempo escatologico della salvezza è diventato presente: la luce come salvezza non è più soltanto immagine, ma designa l’essenza storica del rivelatore. I concetti luce e tenebre servono a designare la discriminazione degli uomini provocata da Cristo (Gv 1,1ls). Il giudizio s’identifica con la decisione per l’incredulità, la salvezza con la decisione per la fede. A partire da questo dualismo decisionale, luce e tenebre designano due modi d’esistere: “La doppia possibilità dell’esistere umano, quella a partire da Dio, o quella a partire dall’uomo”. Il significato del “cammino”  come compimento di vita è limitato, nel Nuovo Testamento, quasi esclusivamente a Paolo e Giovanni. 

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Vangelo).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Dio, che in questi santi misteri
ci hai nutriti col corpo e sangue del tuo Figlio,
fa’ che ci rallegriamo sempre del tuo dono,
sorgente inesauribile di vita nuova.
Per Cristo nostro Signore.