24 Gennaio 2020

Venerdì Seconda Settimana del Tempo Ordinario
1Sam 24,3-21; Sal 56 (57); Mc 3,13-19

S. Francesco di Sales Vescovo e Dottore della Chiesa 

Dal Martirologio: Memoria di san Francesco di Sales, vescovo di Ginevra e dottore della Chiesa: vero pastore di anime, ricondusse alla comunione cattolica moltissimi fratelli da essa separati, insegnò ai cristiani con i suoi scritti la devozione e l’amore di Dio e istituì, insieme a santa Giovanna di Chantal, l’Ordine della Visitazione; vivendo poi a Lione in umiltà, rese l’anima a Dio il 28 dicembre e fu sepolto in questo giorno ad Annecy.

Colletta: O Dio, tu ha voluto che il santo vescovo Francesco di Sales si facesse tutto a tutti nella carità apostolica: concedi anche a noi di testimoniare sempre, nel servizio dei fratelli, la dolcezza del tuo amore. Per il nostro Signore...

I dodici sono chiamati da Gesù rompendo anche qui una tradizione che voleva che fossero i discepoli a scegliere il maestro. Quelli che voleva… nel gruppo degli apostoli non tutti brillano per rettitudine o docilità. Pietro ha un carattere impetuoso, giungerà a rimproverare il Maestro, lo rinnegherà per tre volte, e non accompagnerà Gesù sul Calvario preferendo la fuga e il nascondimento. Giacomo e Giovanni. “ai quali diede il nome di Boanèrghes”, cioè “figli del tuono”, chiederanno di incenerire alcuni samaritani rei di non aver accolto Gesù nella loro città, e chiederanno a Gesù, cercando di scavalcare gli altri dieci, di sedere nel suo regno uno alla destra e l’altro a sinistra, praticamente di occupare i primi posti. Tommaso che balzerà agli onori della cronaca per la sua incredulità. Giuda Iscariota di cui è detto laconicamente “poi lo tradì”, per l’evangelista Giovanni ladro e posseduto dal demonio. C’era da scoraggiarsi, ma è da questa materia prima che nascerà la Chiesa, santa ma allo stesso tempo bisognosa di purificazione.
I Dodici sono chiamati per “stare con Gesù” che è condividere tutto, la gioia e la dolore, sono mandati a predicare il Vangelo con il potere di scacciare i demoni. Questo potere autenticava la loro missione, e allo stesso tempo, determinando la fine dell’impero di satana, dava conferma dell’inizio del regno di Dio.

Dal Vangelo secondo Marco 3,13-19: In quel tempo, Gesù salì sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici -  che chiamò apostoli - , perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni. Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro, poi Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè “figli del tuono”; e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo, figlio di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda Iscariota, il quale poi lo tradì.

Gesù salì sul monte - José Maria Gonzáles-Ruiz: Gesù sceglie «i dodici». Questo dimostra la sua intenzione di preparare il nuovo popolo di Dio, l’Israele degli ultimi tempi, e non creare solo un gruppo particolare, come facevano i farisei e la setta di Qumran.
Alcuni codici importanti non leggono l’inciso del v. 14: «che chiamò apostoli», ma aggiungono immediatamente la frase: «per inviarli a...». Ora, il verbo «inviare» (apostéllein) appartiene alla stessa radice greca di «apostoli». Nel giudaismo rabbinico, l’incaricato o il delegato di Dio è chiamato spesso suliah, termine ebraico che corrisponde ad «apostolo». Questi incaricati si dividevano in due gruppi: uno, visto collettivamente, ossia la classe sacerdotale, rappresentata dal sacerdote come tale; l’altro, rappresentato da un piccolo numero di personalità di rilievo, e principalmente Mosè, Elia, Eliseo ed Ezechiele.
Questi quattro uomini sono «inviati», «apostoli». Per mezzo di essi, si verificarono cose che, per regola generale, erano riservate a Dio: Mosè fa sgorgar l’acqua dalla roccia, Elia fa scendere la pioggia e risuscita un morto, Eliseo «apre il seno materno» e risuscita un morto, Ezechiele riceve «la chiave per aprire le tombe il giorno della risurrezione dei morti». In sostanza, quello che distingue questi quattro uomini da tutto il popolo d’Israele è la facoltà data loro da Dio di compiere miracoli, facoltà che, negli altri casi, Dio ha riservata per sé.
In altre parole, secondo i rabbini, «profeta» e «apostolo» non sono la stessa cosa. Un profeta poteva, sì, parlare in nome di Dio, ma non poteva compiere nessun miracolo che facesse pensare a Dio. Così si comprende come l’evangelista metta in rilievo la condizione di «apostoli» che caratterizza i discepoli di Gesù. Non dovranno solo trasmettere meccanicamente un messaggio dato loro dal Maestro, ma saranno attivisti «pericolosi» come furono quei quattro uomini indicati dalla tradizione giudaica.
In una parola, il profetismo dei discepoli di Gesù non è puramente verbale, ma intensamente operativo.

Ne costituì Dodici: Pastores gregis 6: Il Signore Gesù, durante il suo pellegrinaggio sulla terra, annunciò il Vangelo del Regno e lo inaugurò in se stesso, rivelandone a tutti gli uomini il mistero. Chiamò uomini e donne alla sua sequela e, fra i discepoli, ne scelse Dodici, perché «stessero con Lui» (Mc 3,14). Il Vangelo secondo Luca specifica che Gesù fece questa sua scelta dopo una notte di preghiera trascorsa sulla montagna (cfr. Lc 6,12). Il Vangelo secondo Marco, a sua volta, sembra qualificare tale azione di Gesù come un atto sovrano, un atto costitutivo che dà identità a coloro che ha scelto: «ne costituì Dodici» (Mc 3,14). Si svela, così, il mistero dell’elezione dei Dodici: è un atto di amore, liberamente voluto da Gesù in unione profonda con il Padre e con lo Spirito Santo. La missione affidata da Gesù agli Apostoli deve durare sino alla fine dei secoli (cfr. Mt 28,20), poiché il Vangelo che essi sono incaricati di trasmettere è la vita per la Chiesa di ogni tempo. Proprio per questo essi hanno avuto cura di costituirsi dei successori, in modo che, come attesta S. Ireneo, la tradizione apostolica fosse manifestata e custodita nel corso dei secoli.

L’apostolato dei dodici - Giuseppe Barbaglio: Gesù ha scelto i dodici per farne i suoi collaboratori; e li ha inviati con i suoi stessi poteri a predicare il Regno di Dio, a guarire i malati e cacciare i demoni (Lc. 9,1-2b).
Caratteristica dell’apostolo è di andare e di agire nel nome di Gesù, cioè con la sua autorità (Cf. Lc. 10,17); tanto che Giovanni, scoprendo un esorcista che non segue il Maestro e che caccia tuttavia i demoni nel suo nome, si sente in dovere di intervenire e impedirglielo (Mc. 9,38s.; Lc. 9,49s.).
In realtà, se i dodici apostoli formano un gruppo ben definito, l’apostolato non lo considerano un ufficio fisso ed esclusivo: non è fisso, poiché vediamo che gli apostoli, rientrati dalla missione in Galilea, tornano ad essere semplicemente ascoltatori (Lc. 9,10ss.; Mc. 6,30ss.), fino a quando non intervenga un nuovo invio (Lc. 10,1); l’apostolato inoltre non è esclusivo dei dodici, poiché anche altri vengono mandati, come nella missione dei settantadue discepoli riferitaci da Luca (Lc. 10,1-2).
Gesù ci ha manifestato il suo pensiero sull’essenziale della figura dell’apostolo: l’apostolo è come colui che lo ha mandato, e colui che lo ha mandato è Gesù stesso. Questo invio stabilisce una relazione profonda tra Gesù e i suoi apostoli: come egli è l’inviato del Padre, così gli apostoli sono i suoi inviati (Gv. 17,18.23); come il Padre dimora nel Figlio inviato da lui, così anche il Figlio dimora nei suoi apostoli; come il Padre compie in lui le sue opere, così il Figlio compie negli apostoli le sue opere. Gesù può dire giustamente: Chi riceve voi, riceve me... (Mt. 10,40). Ciò che nella istituzione dello shaliahl era solo un fatto giuridico, ora diventa una realtà spirituale: Gesù sarà realmente presente in coloro che invia ed opererà in loro. Come egli, apostolo del Padre, ha reso Dio presente tra noi, così gli apostoli, perché inviati da Cristo, renderanno lui presente fra i credenti, secondo la sua stessa promessa: «Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt. 28, 20).

per mandarli a predicare - Chi ha la missione di evangelizzare? La risposta ci viene prontamente suggerita dal concilio ecumenico Vaticano II: alla Chiesa «per mandato divino incombe l’obbligo di andare in tutto il mondo e di predicare il Vangelo ad ogni creatura» (DH 13).
Nell’opera della evangelizzazione sono innanzi tutto impegnati i Vescovi, successori degli Apostoli (Cf. LG 18; 22; 24; ecc.), e i presbiteri, in quanto cooperatori del Vescovo (Cf. PO 2; 4; 7).
Ma anche i fedeli devono spendere le loro forze nell’opera della evangelizzazione (AG 36).
Quindi, l’evangelizzazione è frutto di una sincera cooperazione: «Essendo tutta la Chiesa missionaria ed essendo l’opera di evangelizzazione dovere fondamentale del popolo di Dio, il sacro sinodo invita tutti a un profondo rinnovamento interiore, affinché, avendo una viva coscienza della propria responsabilità in ordine alla diffusione del Vangelo, assumano la loro parte nell’opera missionaria tra le genti» (AG 35).
La constatazione che la Chiesa cattolica «deve operare instancabilmente “affinché la parola di Dio si diffonda e sia glorificata” [2Ts 3,1]» (DH 14), deve suscitare in noi due convinzioni.
A, evangelizzare è sempre un atto profondamente ecclesiale: «... il più sconosciuto predicatore, catechista o pastore, nel luogo più remoto, predica il Vangelo, raduna la sua piccola comunità o amministra un Sacramento, anche se si trova solo compie un atto di Chiesa.. Ciò presuppone che egli agisca non per una missione arrogatasi, né in forza di un’ispirazione personale, ma in unione con la missione della Chiesa e in nome di essa» (Paolo VI, Esortazione apostolica “Evangelii nuntiandi”, n. 60).
B, «Come conseguenza, la seconda convinzione: se ciascuno evangelizza in nome della Chiesa, la quale a sua volta lo fa in virtù di un mandato del Signore, nessun evangelizzatore è padrone assoluto della propria azione evangelizzatrice, con potere discrezionale di svolgerla secondo criteri e prospettive individualistiche, ma deve farlo in comunione con la Chiesa e con i suoi Pastori» (ibidem).
I secoli passati hanno visto da un lato, la diffusione universale del cattolicesimo che ha raggiunto tutti i cinque continenti dall’altro, una diffusione della secolarizzazione che ha portato alla laicizzazione della società e quindi a un forte allontanamento dalla Chiesa. Si è ridotto il numero degli operai, ed è vero, ma è pur vero che quando l’inedia assale il cuore, allora la fede langue e il mondo rimane sempre più indifferente al fatto religioso. Bisogna ripartire dalla gioia dell’incontro con il Risorto e allora i passi ritorneranno a lambire ancora una volta le terre più lontane.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** “I ciechi pur non vedendo il Principe al cui cospetto si trovano, non per questo non tengono un contegno rispettoso se sono avvertiti di tale presenza; però, non vedendolo, dimenticano facilmente la sua presenza; di conseguenza ancor più facilmente dimenticano il contegno rispettoso. Noi siamo così, Filotea: pur sapendo che Dio è presente, non lo vediamo; è la fede che ci ricorda la sua presenza. Non vedendolo materialmente con gli occhi ce ne dimentichiamo molto spesso e ci comportiamo come se Dio fosse molto lontano. Sappiamo bene che è presente in tutte le cose, ma non ci pensiamo, ed è quindi come se non lo sapessimo” (San Francesco di Sales).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Signore, che ci hai dato la gioia di partecipare ai tuoi sacramenti
nel ricordo di san Francesco di Sales,
fa' che in ogni circostanza della vita imitiamo la sua carità
paziente e benigna per condividere la sua gioia nel cielo.
Per Cristo nostro Signore.