20 Gennaio 2020

Lunedì Seconda Settimana del Tempo Ordinario
 
1Sam 15,16-23; Sal 49; Mc 2,18-22

Colletta: Dio onnipotente ed eterno, che governi il cielo e la terra, ascolta con bontà le preghiere del tuo popolo e dona ai nostri giorni la tua pace. Per il nostro Signore Gesù Cristo...   

La discussione sul digiuno è ricordata anche da Mt 9,14-17 e da Lc 5,33-39.
Nel racconto evangelico Gesù palesemente è lo sposo, i cui discepoli “cioè «i paggi d’onore», non possono digiunare perché con lui sono già incominciati i tempi messianici” (Bibbia di Gerusalemme).
Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto è un chiaro annunzio della morte di Gesù.
Eloquente l’immagine del vestito e dell’otre ben conosciuta anche dai farisei. Il “vestito vecchio, i vecchi otri sono il giudaismo in ciò che esso ha di caduco nell’economia della salvezza; il panno non sgualcito e il vino nuovo sono lo spirito nuovo del regno di Dio. La pietà esagerata dei discepoli di Giovanni e dei farisei, con la pretesa di ringiovanire l’antico sistema, non fa che comprometterlo di più. Rifiutando sovraccarichi e rattoppi Gesù vuol fare qualcosa di completamente nuovo, sublimando lo spirito stesso della legge [cf. Mt 5,17s]” (Bibbia di Gerusalemme).
Gesù disse loro… Gesù rispondendo ai soliti piagnoni e contestatori rimprovera loro la crassa ignoranza: pur qualificandosi esperti esegeti della Parola di Dio non riconoscono il tempo che stanno vivendo. Se lo comprendessero non penserebbero di mescolare il “vecchio”, il digiuno, con il “nuovo”, la gioia della salvezza.
Nella risposta di Gesù si può trovare un sano equilibrio: il “vecchio” è stato portato a compimento e a perfezione nel “nuovo”, da qui i due “testamenti” si fondono conservando ognuno la loro peculiare ricchezza.

Dal Vangelo secondo Marco 2,18-22: In quel tempo, i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Vennero da Gesù e gli dissero: «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». Gesù disse loro: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora, in quel giorno, digiuneranno. Nessuno cuce un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo porta via qualcosa alla stoffa vecchia e lo strappo diventa peggiore. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri, e si perdono vino e otri. Ma vino nuovo in otri nuovi!».

Il digiuno e lo sposo - Jean Radermakers (Lettura Pastorale del Vangelo di Marco): La terza controversia non è situata né nel tempo né nello spazio. Viene indicata una sola circostanza, difficile da precisare: «i discepoli di Giovanni e i farisei erano in digiuno» (2,18). Si è pensato a un digiuno d’afflizione e di lutto, che sarebbe seguito all’arresto o alla morte di Giovanni Battista. Rifiutando di partecipare a questa manifestazione di solidarietà, Gesù avrebbe prestato il fianco al sospetto dei discepoli di Giovanni e forse anche dei farisei. Ma la prospettiva di Marco supera il quadro ristretto di tale occasione; l’assenza di precisione nel racconto suggerisce simile conclusione. Si tratta quindi del digiuno in generale: che motivo c’è di praticare il digiuno o di astenersene? Nel giudaismo, il digiuno è un segno di umiliazione, di dipendenza dell’uomo di fronte a Dio; è obbligatorio solo il giorno delle espiazioni (Lv 16,29; 23,29). Ma i farisei ne avevano stabilito l’uso regolare due volte la settimana e in occasione di un lutto (cf. 2 Sam 12,16.22). I discepoli di Gesù sarebbero meno stretti, su questo punto, di quelli di Giovanni e dei membri delle comunità farisaiche? La risposta di Gesù stupisce: infatti, alle due associazioni (haburot) che gli vengono citate, egli oppone un tipo completamente diverso di società, di comunità, quello seguito dai suoi discepoli. Paragonandoli agli invitati d’onore di una festa di nozze, egli s’identifica allo sposo la cui presenza non permette che la gioia.  

È lui lo sposo, innamorato del suo popolo, evocato dai profeti che designavano in tal modo il compagno divino dell’alleanza (Os 2,18; 3,3-5; Ez 16,8-14; Is 54,5-6; 62,4-6). Ma aggiunge: «Verranno giorni in cui lo sposo sarà loro tolto... e allora digiuneranno, in quel giorno» (2,20). Questa frase, dalla forma strana, fa allusione alla morte dello sposo nei termini adoperati da Isaia a proposito del servo sofferente: «La sua vita sarà tolta dalla terra» (Is 53,8). Nel contesto cristiano, si pensa immediatamente alla morte violenta di Gesù. Quindi, la sua risposta appare come una predizione ancora velata della sua passione. Si capisce già in tal modo il significato del digiuno nelle comunità apostoliche; digiunare o non digiunare dipenderà essenzialmente dall’assenza o dalla presenza dello sposo, e non più da una disposizione legale. Viene inaugurata una situazione nuova, in cui il digiuno esprimerà il desiderio di essere riuniti per sempre a Gesù, superando la lontananza costituita dalla morte. È questa situazione nuova che viene sottolineata dalle due brevi parabole sul nuovo e sul vecchio. La venuta dello sposo rinnova a tal punto l’uomo, che non può pensare di semplicemente adattarsi, a questa radicale novità; aprirsi ad essa, significa accettare che tutto ciò che è vecchio crolli, per far posto al nuovo: l’amore dello sposo trasfigura coloro che si lasciano penetrare dalla sua gioia. Le comunità sul tipo di quelle del Battista e dei farisei sembrano dunque definitivamente superate da quella inaugurata dallo sposo coi suoi compagni: «Vino nuovo in otri nuovi!» (2,22).


Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro? - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): v. 19a: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze, mentre lo sposo è con loro?...». La risposta di Gesù trascende il momento contingente: egli si rivela come lo sposo, che con la sua presenza ha inaugurato il tempo messianico, tempo di gioia e di salvezza. Il titolo di «sposo» nell’Antico Testamento era stato dato a JHWH (cf. Os 2,18; Is 54,5). Ora Gesù l’attribuisce a se stesso, manifestando così l’autocoscienza della sua filiazione divina. Nel giudaismo il Messia non era mai stato designato con quel titolo.
vv. 19b-20: «Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. Ma verranno giorni, quando sarà tolto loro lo sposo...». Ora l’accento si sposta dal tempo storico di Gesù a quello della chiesa, quando sarà prescritto il digiuno, per vivere in modo permanente la conversione e per conservare la fedeltà al Signore, in preparazione alla sua parusia nel giorno del giudizio finale. L’espressione si riferisce alla morte violenta di Gesù con un verbo molto forte: sarà tolto (arpathè[i] = sarà strappato, rapito, forse con un’allusione a Is 53,8). La disputa sul digiuno venne ad assumere nella riflessione ecclesiale un senso profetico, d’intenso valore cristologico. Gesù con la morte non cesserà d’essere realmente presente nella sua comunità messianica, ma non in modo fisico, bensì spirituale. Tuttavia il cammino della chiesa nel tempo intermedio, cioè prima della venuta gloriosa del Figlio dell’uomo, sarà contrassegnato dalla sofferenza e dalle persecuzioni.
«Allora digiuneranno, in quel giorno» non si riferisce al giorno del giudizio finale, bensì al venerdì, quale giorno di digiuno nella chiesa, in ricordo della crocifissione di Gesù.

La pratica del digiuno - R. Girad: La liturgia giudaica conosceva un «grande digiuno» nel giorno dell’espiazione (cfr. Atti 27,9); la sua pratica era una condizione di appartenenza al popolo di Dio (Lev 23,29). C’erano pure altri digiuni collettivi nei giorni anniversari delle sventure nazionali. Inoltre i Giudei pii digiunavano per devozione personale (Lc 2,37); così i discepoli di Giovanni Battista ed i Farisei (Mc 2,18), taluni dei quali digiunavano due volte la settimana (Lc 18,12). Con ciò si cercava di soddisfare uno degli elementi della  giustizia definita dalla legge e dai profeti. Se Gesù non prescrive nulla del genere ai suoi discepoli (Mc 2,18), non è perché disprezzi questa giustizia oppure voglia abolirla; ma viene a compierla; e perciò vieta di ostentarla ed invita, su taluni punti, a superarla (Mt 5,17.20; 6,1). Gesù insiste maggiormente sul distacco nei confronti delle ricchezze (Mt 19,21), sulla continenza volontaria (Mt 19,12) e soprattutto sulla rinuncia a se stessi per portare la croce (Mt 10, 38- 39).
Di fatto la pratica del digiuno non è esente da taluni pericoli: pericolo di formalismo, già denunciato dai profeti (Am 5,21; Ger 14,12); pericolo di orgoglio e di ostentazione, se si digiuna «per essere visti dagli uomini» (Mt 6,16). Per piacere a Dio, il vero digiuno deve essere unito all’amore del prossimo ed implicare una ricerca della vera giustizia (Is 58,2-11); esso non è separabile né dall’elemosina, né dalla preghiera. Infine, bisogna digiunare per amore di Dio (Zac 7,5). Gesù quindi invita a farlo con una perfetta discrezione: noto a Dio solo, questo digiuno sarà la pura espressione della speranza in lui, un digiuno umile che aprirà il cuore alla giustizia interiore, opera del Padre che vede ed agisce nel segreto (Mt 6,17s).
In materia di digiuno la Chiesa apostolica conservò le usanze del giudaismo, compiute nello spirito definito da Gesù. Gli Atti degli Apostoli menzionano celebrazioni cultuali implicanti digiuno e preghiera (Atti 13,2ss; 14,23). Durante il suo massacrante lavoro apostolico, Paolo non si accontenta di soffrire la fame e la sete quando lo esigono le circostanze; vi aggiunge ripetuti digiuni (2Cor 6,5; 11,27). La Chiesa è rimasta fedele a questa tradizione, cercando con la pratica del digiuno di mettere i fedeli in un atteggiamento di apertura totale alla grazia del Signore, in attesa del suo ritorno. Infatti, se la prima venuta di Cristo ha posto fine all’attesa di Israele, il tempo che consegue alla sua risurrezione non è quello della gioia totale in cui gli atti di penitenza sarebbero fuori posto. Difendendo, contro i farisei, i suoi discepoli che non digiunavano, Gesù stesso ha detto: «Possono forse digiunare gli amici dello sposo, finché lo sposo è con essi? Verranno giorni in cui lo sposo sarà loro tolto, ed allora in quei giorni digiuneranno» (Mc 2,19s par.). In attesa che lo sposo ritorni a noi, il digiuno penitenziale ha il suo posto nelle pratiche della Chiesa. 

Il digiuno - Catechismo degli Adulti [947]: La disciplina dei sentimenti si integra con la disciplina del corpo. In concreto, quest’ultima comprende i seguenti elementi: sobrietà nel cibo, nell’abbigliamento, nelle comodità, nei consumi superficiali e banali; controllo degli sguardi e delle conversazioni; rinuncia agli interessi inutili e pericolosi; dominio dell’istinto sessuale.
[695] D’altra parte si comprende come senza le dovute disposizioni la comunione sacramentale sarebbe inautentica. Già san Paolo esortava i cristiani: «Ciascuno, pertanto, esamini se stesso... perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna» (1Cor 11,28-29). Chi è consapevole di aver commesso peccato mortale, prima di accostarsi alla comunione eucaristica, deve pentirsi e tornare in grazia di Dio. Più precisamente deve recarsi dal sacerdote e ricevere l’assoluzione; non può limitarsi a fare il proposito di confessarsi al più presto, a meno che in una particolare situazione non sopravvengano motivi gravi. Desta preoccupazione la disinvoltura, con cui alcune persone, che non si confessano da lungo tempo, vanno a fare la comunione, soprattutto in occasione di feste solenni, di matrimoni e di funerali.
Sono doverosi anche alcuni segni esteriori di rispetto: osservare la legge del digiuno eucaristico, che obbliga a non prendere cibi e bevande, eccetto l’acqua, durante l’ora che precede la comunione; rispondere: «Amen» alle parole del ministro; presentare le mani pulite per ricevere il pane eucaristico; essere attenti ad eventuali frammenti, in modo da metterli in bocca e non lasciarli cadere.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora, in quel giorno, digiuneranno» (Vangelo).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Infondi in noi, o Padre, lo Spirito del tuo amore,
perché nutriti con l’unico pane di vita
formiamo un cuor solo e un’anima sola.
Per Cristo nostro Signore.