2 Gennaio 2020


SANTI BASILIO E GREGORIO NAZIANZENO - MEMORIA 

1Gv 2,22-28; Sal 97 (98); Gv 1,19-28
  
Dal Martirologio: Memoria dei santi Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno, vescovi e dottori della Chiesa.
Basilio, vescovo di Cesarea in Cappadocia, detto Magno per dottrina e sapienza, insegnò ai suoi monaci la meditazione delle Scritture e il lavoro nell’obbedienza e nella carità fraterna e ne disciplinò la vita con regole da lui stesso composte; istruì i fedeli con insigni scritti e rifulse per la cura pastorale dei poveri e dei malati; morì il primo di gennaio.
Gregorio, suo amico, vescovo di Sásima, quindi di Costantinopoli e infine di Nazianzo, difese con grande ardore la divinità del
Verbo e per questo motivo fu chiamato anche il Teologo.
Si rallegra la Chiesa nella comune memoria di così grandi dottori.

Colletta: O Dio, che hai illuminato la tua Chiesa con l’insegnamento e l’esempio dei santi Basilio e Gregorio Nazianzeno, donaci uno spirito umile e ardente, per conoscere la tua verità e attuarla con un coraggioso programma di vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Questa è la testimonianza di Giovanni: l’occasione per rendere testimonianza alla luce (Gv 1,7), da parte del Battista, è data dalle domande dei Giudei, i quali vogliono conoscere la verità sulla persona del battezzatore. Gli inviati dei Giudei, i sacerdoti e i levìti, praticamente, a motivo della crescente notorietà del Battista, della sua predicazione e del suo apostolato, vogliono avere degli elementi probanti per discernere se si tratti di un mestatore o di un messaggero di Dio. Forse perché tra i seguaci, ma anche fuori da questa cerchia, serpeggiava la segreta speranza che Giovanni fosse il Messia. Lo rivela la risposta che Giovanni dà alla prima domanda dei suoi interlocutori: «Tu, chi sei?», «Io non sono il Cristo». È il primo tentativo di allontanare dalla sua persona le speranze messianiche tanto attese dal popolo. Segue una seconda domanda: «Sei tu Elia?», a cui il Battista risponde: «Non lo sono». A un secco no di Giovanni segue la terza domanda: «Sei tu il profeta?». Anche a questa domanda Giovanni risponde con un no deciso. Dopo tre risposte negative, all’incalzare degli inviati, arriva finalmente la risposta positiva: «Io sono voce di uno che grida nel deserto». L’attenzione quindi viene spostata perentoriamente sul vero Messia che è già in mezzo al popolo, ma non ancora manifestato: «In mezzo a voi sta uno che non conoscete». Bisogna, dunque, disporsi ad accoglierlo, con la conversione e la penitenza cui allude il battesimo di Giovanni.

Dal Vangelo secondo Giovanni 1,19-28: Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elìa?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa». Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elìa, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

Questa è la testimonianza - Salvatore Alberto Panimolle (Lettura Pastorale del Vangelo di Giovanni - I Volume): Con la sua testimonianza, il Battista ha preparato la via del Signore, ossia ha indicato con il dito chi è il Cristo. il rivelatore; quindi ha predisposto il cuore del popolo di Dio a credere nel Verbo-luce (Gv 1,7). Il precursore infatti è venuto a battezzare con acqua, affinché il Messia fosse rivelato a Israele (Gv 1,31).
L’opera preparatoria di Giovanni consiste quindi nel presentare il rivelatore escatologico, l’eletto di Dio, l’agnello Dio che distrugge il peccato, affinché tutti possano accogliere la sua persona e la sua parola. Perciò a livello redazionale il “Kyrios” di questo passo indica Gesù, ossia è riferito al Messia esaltato alla destra del Padre.
Come disse il profeta Isaia (v. 23). La missione del Battista rappresenta un adempimento dell’oracolo veterotestamentario. Il compimento della profezia isaiana da parte di Giovanni è ricordata esplicitamente nell’epilogo del ministero pubblico di Gesù, dove si mette in risalto l’incredulità dei giudei, non ostante gli straordinari segni operati da Gesù (Gv 12,38ss). L’adempimento degli oracoli di Isaia sembra quindi formare una seconda inclusione della rivelazione pubblica di Gesù (Gv 1,19ss; 12,37ss), come il prologo (Gv 1,1-18) costituisce una prima inclusione con l’ultimo brano della prima parte del vangelo giovanneo (Gv 12,44-50).

La testimonianza di Giovanni - Henri van den Bussche (Giovanni): Tra le diverse testimonianze del Battista, Giovanni sceglie, per metterla in rilievo, la testimonianza pubblica pronunciata di fronte agli inviati ufficiali del giudaismo. Incontro certamente drammatico: l’inviato ufficiale di Dio messo a confronto coi mandatari del Popolo di Dio! L’esito sarà deludente e Giovanni non omette di segnalare questo insuccesso nel quale vede il presagio del rifiuto definitivo. Il carattere ufficiale di questi approcci è chiaramente sottolineato. Invece di limitarsi a indicare i messaggeri col termine generico di «Giudei», egli ci tiene a precisare che si tratta di sacerdoti e di leviti, in breve, l’elite di Israele. Mentre parla spesso dei Giudei e anche dei farisei e delle autorità, cita eccezionalmente i sacerdoti. Questa volta essi rappresentano le autorità religiose che risiedono a Gerusalemme e sono incaricati di una missione ufficiale: fare un’inchiesta sull’ortodossia del movimento suscitato dal Battista, stendere un verbale (1,19.22). La risposta del Battista è riferita come una dichiarazione ufficiale (homologein). Colui che risponde loro non tiene conto della sua opinione personale, ma consapevole di rivolgersi à mandatari ufficiali, parla come inviato ufficiale di Dio, venuto precisamente per manifestare il Messia a Israele (v. 31), per mostrarglielo presente. Compito senza uguali nella storia della salvezza. Poco importa per l’evangelista il momento preciso in cui è stata formulata questa testimonianza; essa si situa chiaramente dopo il battesimo di Gesù. Ciò che merita più attenzione è il posto che egli occupa nello sviluppo della storia della salvezza. Ben più di un semplice profeta tra gli altri, di un semplice testimone che si rivolge all’uomo qualunque, la testimonianza del Battista si situa nel momento preciso in cui la storia di Israele passa dall’attesa al compimento. Testimone ufficiale del Messia per Israele, egli riprenderà la parola, ma come teste a carico questa volta, nel momento in cui Israele respingerà il suo Messia (3,22-36). Il carattere ufficiale della testimonianza richiede che si precisi il luogo dell’incontro: Betania o Betaraba (1,28). Questo racconto ha l’aspetto di un documento giuridico. In seguito, si farà riferimento a questa disposizione ufficiale, che sarà conservata come una deposizione a carico negli archivi d’Israele.

I testimoni di Gesù - M. Prat e P. Grelot: 1. La testimonianza apostolica. - Per giungere agli uomini la testimonianza assume una forma concreta: la predicazione del vangelo (Mt 24,14). Per portarla a tutto il mondo gli apostoli sono costituiti testimoni di Gesù (Atti 1,8): dovranno attestare solennemente dinanzi agli uomini tutti i fatti avvenuti dal battesimo di Giovanni fino alla ascensione di Gesù, e specialmente la risurrezione che ha consacrato la sua sovranità (1,22; 2,32; ecc.). La missione di Paolo viene definita negli stessi termini: sulla via di Damasco egli è stato costituito testimone di Cristo dinanzi a tutti gli uomini (22,15; 26,16); in terra pagana egli attesta dovunque la risurrezione di Gesù (1Cor 15,15), e la fede nasce nelle comunità con l’accettazione di questa testimonianza (2Tess 1,10; 1Cor 1,6). Stessa identificazione del vangelo e della testimonianza negli scritti giovannei. Il racconto evangelico è un’attestazione data da un testimone oculare (Gv 19,35; 21,24); ma la testimonianza, ispirata dallo Spirito (Gv 16,13), verte pure sul mistero che i fatti nascondono: il mistero del Verbo di vita venuto nella carne (1Gv 1,2; 4,14). I credenti che hanno accettato questa testimonianza apostolica hanno ormai in sé la testimonianza stessa di Gesù, che è la profezia dei tempi nuovi (Apoc 12,17; 19,21). Perciò i testimoni incaricati di trasmetterla riprendono i tratti dei profeti antichi (11,3-7).
2. Dalla testimonianza al martirio. - La funzione dei testimoni di Gesù è messa ancor più in evidenza quando devono rendere testimonianza dinanzi alle autorità ed ai tribunali, secondo la prospettiva che Gesù apriva già ai Dodici (Mc 13,9; Mt 10,18; Lc 21,13s). Allora l’attestazione assume un carattere solenne, ma prelude sovente alla sofferenza. Di fatto, se i credenti sono perseguitati, si è «a motivo della testimonianza di Gesù» (Apoc 1,9). Stefano per primo ha suggellato la sua testimonianza con il suo sangue versato (Atti 22,20). La stessa sorte attende quaggiù i testimoni del vangelo (Apoc 11,7): quanti saranno sgozzati «per la testimonianza di Gesù e la parola di Dio» (6,9; 17,6). Babilonia, la potenza nemica che si accanisce contro la città celeste, si inebrierà del sangue di questi testimoni, di questi martiri (17,6). Ma riporterà soltanto una vittoria apparente. In realtà saranno essi ad aver vinto, con Cristo, il diavolo, «mediante il sangue dell’agnello e la parola della loro testimonianza» (12,11). Il martirio è la testimonianza della fede consacrata dalla testimonianza del sangue.

La testimonianza dei discepoli di Cristo - Lumen gentium 10: Cristo Signore, pontefice assunto di mezzo agli uomini (cfr. Eb 5,1-5), fece del nuovo popolo «un regno e sacerdoti per il Dio e il Padre suo» (Ap 1,6; cfr. 5,9-10). Infatti per la rigenerazione e l’unzione dello Spirito Santo i battezzati vengono consacrati per formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo, per offrire, mediante tutte le attività del cristiano, spirituali sacrifici, e far conoscere i prodigi di colui, che dalle tenebre li chiamò all’ammirabile sua luce (cfr. 1 Pt 2,4-10). Tutti quindi i discepoli di Cristo, perseverando nella preghiera e lodando insieme Dio (cfr. At 2,42-47), offrano se stessi come vittima viva, santa, gradevole a Dio (cfr. Rm 12,1), rendano dovunque testimonianza di Cristo e, a chi la richieda, rendano ragione della speranza che è in essi di una vita eterna (cfr. 1 Pt 3,15) Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo. Il sacerdote ministeriale, con la potestà sacra di cui è investito, forma e regge il popolo sacerdotale, compie il sacrificio eucaristico nel ruolo di Cristo e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo; i fedeli, in virtù del loro regale sacerdozio, concorrono all’offerta dell’Eucaristia, ed esercitano il loro sacerdozio col ricevere i sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l’abnegazione e la carità operosa.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Dio di nessuna cosa tanto si rallegra, come della conversione e della salvezza dell’uomo” (Sam Gregorio Nazianzeno).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Padre, che ci hai nutrito di Cristo, pane vivo,
formaci alla scuola del suo Vangelo, perché
sull’esempio dei Santi Basilio e Gregorio Nazianzeno
conosciamo la sua verità e la testimoniamo nella carità fraterna.
Per Cristo nostro Signore.