18 Gennaio 2020

Sabato - Prima Settimana del Tempo Ordinario
 
1Sam 9,1-4.17-19.26a; 10,1a; Sal 20; Mc 2,13-17

Colletta: Ispira nella tua paterna bontà, o Signore, i pensieri e i propositi del tuo popolo in preghiera, perché veda ciò che deve fare e abbia la forza di compiere ciò che ha veduto. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

La chiamata di Levi è raccontata anche in Lc 5,27-29 e Mt 9,9 dove Levi è chiamato Matteo. Per festeggiare Levi appronta un banchetto e tra gli invitati è presente Gesù e con lui a tavola vi erano molti pubblicani e peccatori. Gli scribi, più che sorpresi, sono esacerbati contro Gesù che ha accettato di partecipare a un banchetto dove erano presenti persone da essi disprezzate e ritenute alla stregua di peccatori pubblici. Il rimprovero è rivolto ai discepoli, ma naturalmente giunge alle orecchie di Gesù, il quale giustifica  la sua condotta servendosi di una massima conosciuta dagli Ebrei e dai pagani: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori». Per Benedetto Prete il “detto prende un’accentuazione particolare sulle labbra di Cristo ed è un rimprovero velato all’atteggiamento religioso degli Scribi. Il medico in caso di malattia contagiosa o di epidemia non deve preoccuparsi di sé, ma deve coraggiosamente accorrere presso i bisognosi del suo aiuto. Gli Scribi, tenendosi lontani dagli uomini che ritengono peccatori perché gelosi della propria purità legale, non seguono certamente la via migliore per curarli e condurli al bene”.
Il Vangelo mette in risalto la potenza della parola di Cristo: essa chiama alla sequela l’esattore di tasse Matteo muovendolo dal di dentro per una risposta pronta e positiva, ha il potere (exousia) di annunziare la remissione dei peccati, di proclamare ai poveri il vangelo, la buona notizia, e di annunziare la liberazione ai prigionieri. Tra le righe la gioia, la festa per sottolineare l’attenzione amorosa di Dio per i più disperati, per i peccatori, per coloro che a motivo della loro vita o mestiere erano considerati dannati. 
La prontezza nel seguire Gesù è paradigma di tutte le vocazioni.

Dal Vangelo secondo Marco 2,13-17: In quel tempo, Gesù uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli insegnava loro. Passando, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre stava a tavola in casa di lui, anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. Allora gli scribi dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».

Passando, vide Levi, il figlio di Alfeo - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Il miracolo che Marco ha finito di narrare apre una serie d’incontri polemici di Gesù con i suoi avversari. L’evangelista (cf. Mc., 2,1-3, 35), seguito in ciò da Luca (cf. Lc., 5,16-6, 11), presenta cinque occasioni che determinarono altrettanti conflitti dottrinali tra il Maestro e gli Scribi; esse sono: la guarigione del paralitico (2,1-12), la chiamata di Levi (2,13-17), il digiuno (2,18-22), le spighe raccolte in giorno di sabato (2,23-28), la guarigione della mano atrofizzata (3,1-6). Lo storico informa che una duplice corrente si era formata in coloro che avevano seguito Gesù nella sua opera dottrinale e taumaturgica: da una parte l’entusiasmo frenetico del popolo, dall’altra la freddezza invidiosa e l’opposizione crescente dei rappresentanti della Legge (gli Scribi). Marco, prima di passare al racconto del secondo conflitto dottrinale ricorda al lettore l’avvenimento (la chiamata di Levi) che lo ha determinato. Vide Levi figlio di Alfeo; da Mt., 9,9; 10,3, sappiamo che Levi il pubblicano e l’apostolo Matteo sono la stessa persona. Il Nuovo Testamento offre molteplici esempi di persone che hanno due nomi (Simone-Pietro; Saulo-Paolo; Giovanni-Marco; Giuseppe-Barnaba). Marco e Luca chiamano il futuro apostolo con il nome di Levi per un senso di rispetto e di deferenza verso di lui; essi non amano ricordare troppo apertamente al lettore che Matteo, uno dei Dodici, proveniva da una classe sociale odiata dagli Ebrei, com’era quella degli esattori delle imposte. Cafarnao era un posto importante di dogana, essendo situata sulle piste carovaniere che da Damasco conducevano al Mediterraneo e verso sud (Palestina, Egitto). E questisi alzò e lo seguì; la generosa risposta di Levi manifesta la potenza umano-divina della parola di Gesù. Il futuro apostolo offre un esempio meraviglioso di obbedienza pronta ed incondizionata che rimane una delle testimonianze più belle delazione della grazia nelle anime. Una risposta così generosa ed immediata all’appello di Gesù mostra in Levi una nobiltà eccezionale di sentimento ed un animo aperto all’ideale, nonostante la professione che esercitava.

La vocazione di Levi è raccontata anche da Matteo (9,9) e da Luca (5,27-28), ma con una differenza degna di nota: nei vangeli di Marco e di Luca il nome del vocato è Levi, nel Vangelo di Matteo è Matteo. Le soluzioni di tale diversità sono varie: o il gabelliere aveva due nomi o Gesù gli diede il sopranome di Matteo, che significa dono di Dio, oppure, come alcuni credono, sono stati «Marco e Luca a sostituire il nome di Matteo con Levi per non offuscare la dignità di uno dei Dodici, trattandosi di un pubblicano» (Angelico Poppi). Ma, alla fine, come sostengono altri, può darsi che «si tratti effettivamente di due persone diverse, e che Levi sia stato sostituito per il ruolo che questi svolse nell’evangelizzazione delle comunità matteane, dove ebbe origine il nostro vangelo, anche se Matteo non ne fu necessariamente il redattore» (Angelico Poppi).
Il mestiere di Matteo è quello di esattore delle tasse e per questo motivo è esecrato dal popolo perché creduto ladro (Cf. Lc 3,11) e disprezzato dai Farisei i quali, considerandolo peccatore pubblico perché impuro, lo ritenevano hic et nunc un condannato alla Geenna. Forse al soldo di Erode Antipa o degli odiati Romani, Matteo, a differenza dei suoi detrattori si mostra pronto ad accogliere con gioia la parola della salvezza: è il mercante accorto che ha trovato «una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra» (Cf. Mt 13,45-46). Per san Beda Venerabile non «c’è da meravigliarsi che un pubblicano alla prima parola del Signore, che lo invitava, abbia abbandonato i guadagni della terra che gli stavano a cuore e, lasciate le ricchezze, abbia accettato di seguire colui che vedeva non avere ricchezza alcuna. Infatti lo stesso Signore che lo chiamò esternamente con la parola, lo istruì all’interno con una invisibile spinta a seguirlo».
Non viene specificato se la casa dove viene apparecchiato il banchetto è quella di Matteo o quella di Gesù dove dimorava da quando aveva abbandonato Nazaret (Cf. Mt 4,13). Nel testo parallelo di Luca (5, 27-32) è il pubblicano divenuto discepolo che prepara in casa sua un banchetto per Gesù al quale invita anche i suoi pari. Per Angelo Lancellotti «è probabilmente il banchetto d’addio che il nuovo “apostolo” dà ai suoi ex-colleghi per sottolineare la serietà e il carattere definitivo della sua risposta alla singolare chiamata del Maestro di Nazaret». In ogni caso mettersi a tavola con i pubblicani e i peccatori significa rendersi impuri.
Alle proteste dei farisei, sempiterni scandalizzati di tutti e di tutto quello che non rientrava nel loro modo di pensare, Gesù risponde con un proverbio abbastanza eloquente e con una citazione veterotestamentaria tratta da Osea 6,6, qui certamente non al suo posto (Cf. Mt 12,7). Nella citazione fatta dall’evangelista Matteo vi si trova una notevole e sostanziale differenza: mentre in Osea l’oggetto diretto della religiosità fatta di «amore e conoscenza» è Dio, nel Vangelo è il peccatore.
Gesù non è venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori, perché diventino giusti attraverso la loro fede in lui (Cf. Gal 2,16), attraverso l’abbandono totale e fiducioso in lui, che «è stato consegnato alla morte a causa delle nostre colpe ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione» (Rom 4,25; Cf. seconda lettura).
Viene smantellata quella peregrina idea che faceva considerare la salvezza come una miscela di obbedienza pedissequa della Legge e di supererogazione di opere buone (Cf. Lc 18,9-14). Tutto è grazia e come corrispondenza al dono gratuito della salvezza Dio desidera unicamente il nostro amore (Cf. Dt 6,5), come Matteo il pubblicano immantinente gli ha dato.

Benedetto XVI (Udienza Generale 30 agosto 2006): Gesù accoglie nel gruppo dei suoi intimi un uomo che, secondo le concezioni in voga nell’Israele del tempo, era considerato un pubblico peccatore. Matteo, infatti, non solo maneggiava denaro ritenuto impuro a motivo della sua provenienza da gente estranea al popolo di Dio, ma collaborava anche con un’autorità straniera odiosamente avida, i cui tributi potevano essere determinati anche in modo arbitrario. Per questi motivi, più di una volta i Vangeli parlano unitariamente di “pubblicani e peccatori” (Mt 9,10; Lc 15,1), di “pubblicani e prostitute” (Mt 21,31). Inoltre essi vedono nei pubblicani un esempio di grettezza (cfr Mt 5,46: amano solo coloro che li amano) e menzionano uno di loro, Zaccheo, come “capo dei pubblicani e ricco” (Lc 19,2), mentre l'opinione popolare li associava a “ladri, ingiusti, adulteri” (Lc 18, 11). Un primo dato salta all’occhio sulla base di questi accenni: Gesù non esclude nessuno dalla propria amicizia. Anzi, proprio mentre si trova a tavola in casa di Matteo-Levi, in risposta a chi esprimeva scandalo per il fatto che egli frequentava compagnie poco raccomandabili, pronuncia l'importante dichiarazione: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati: non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori” (Mc 2,17).
Il buon annuncio del Vangelo consiste proprio in questo: nell’offerta della grazia di Dio al peccatore! Altrove, con la celebre parabola del fariseo e del pubblicano saliti al Tempio per pregare, Gesù indica addirittura un anonimo pubblicano come esempio apprezzabile di umile fiducia nella misericordia divina: mentre il fariseo si vanta della propria perfezione morale, “il pubblicano ... non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore»”. E Gesù commenta: “Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato, ma chi si umilia sarà esaltato” (Lc 18,13-14). Nella figura di Matteo, dunque, i Vangeli ci propongono un vero e proprio paradosso: chi è apparentemente più lontano dalla santità può diventare persino un modello di accoglienza della misericordia di Dio e lasciarne intravedere i meravigliosi effetti nella propria esistenza. A questo proposito, san Giovanni Crisostomo fa un’annotazione significativa: egli osserva che solo nel racconto di alcune chiamate si accenna al lavoro che gli interessati stavano svolgendo. Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni sono chiamati mentre stanno pescando, Matteo appunto mentre riscuote il tributo. Si tratta di lavori di poco conto – commenta il Crisostomo -  “poiché non c'è nulla di più detestabile del gabelliere e nulla di più comune della pesca” (In Matth. Hom.PL 57, 363). La chiamata di Gesù giunge dunque anche a persone di basso rango sociale, mentre attendono al loro lavoro ordinario.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori». (Vangelo)
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Dio onnipotente, che ci hai nutriti alla tua mensa,
donaci di esprimere in un fedele servizio
la forza rinnovatrice di questi santi misteri.
Per Cristo nostro Signore.