7 DICEMBRE 2019

Sabato della I Settimana di Avvento

S. AMBROGIO, VESCOVO E DOTTORE DELLA CHIESA
MEMORIA
  
 Is 30,19-21.23-26; Sal 146 (147); Mt 9,35-10,1.6-8

Dal Martirologio: Memoria di sant’Ambrogio, vescovo di Milano e dottore della Chiesa, che si addormentò nel Signore il 4 aprile, ma è venerato in particolare in questo giorno, nel quale ricevette, ancora catecumeno, l’episcopato di questa celebre sede, mentre era prefetto della città. Vero pastore e maestro dei fedeli, fu pieno di carità verso tutti, difese strenuamente la libertà della Chiesa e la retta dottrina della fede contro l’arianesimo e istruì nella devozione il popolo con commentari e inni per il canto.  

Colletta: O Dio, che nel vescovo sant’Ambrogio ci hai dato un insigne maestro della fede cattolica e un esempio di apostolica fortezza, suscita nella Chiesa uomini secondo il tuo cuore, che la guidino con coraggio e sapienza. Per il nostro Signore Gesù Cristo...  

Matteo sottolinea che gli apostoli sono il prolungamento di Gesù: i loro poteri sono gli stessi del Maestro che glieli trasmette. Gesù dà ai suoi “dodici discepoli” il potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità. Il crollo del’impero di satana e la sanità liberatoria da ogni forma infermità sono i prodromi che il “regno dei cieli è vicino”. La missione è entro i confini del popolo d’Israele, il quale deve essere il primo a ricevere l’annuncio della Buona Novella. Ma è chiaro che lo sguardo deve allontanarsi dai confini della Palestina per raggiungere gli angoli più remoti della terra, da qui la necessità di chiedere al Padrone della messe operai volenterosi che si donino pienamente alla missione evangelizzatrice. La predicazione apostolica sarà confermata dai miracoli e dalle guarigioni che i missionari opereranno nel nome di Gesù: “Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni”. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date, quest’ultima nota pone l’accento sulla gratuita della chiamata e dei doni. Solo in questa profonda comprensione l’apostolo può essere sicuro di una mietitura abbondante.

Dal Vangelo secondo Matteo 9,35-10,1.6-8: In quel tempo, Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!». Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità. E li inviò ordinando loro: «Rivolgetevi alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».

Gesù percorreva tutte le città e i villaggi… - Benedetto Prete (I Quattro vangeli): 9,36 L’esperienza fatta in Galilea da Gesù e dai suoi apostoli aveva loro rivelato la triste condizione spirituale delle popolazioni. Il maestro ne è profondamente commosso e rattristato; il popolo si trovava come un gregge stanco ed affamato senza le cure premurose di un pastore. Il versetto contiene un’amara allusione alle guide spirituali del tempo, le quali, chiuse in un orgoglio compiacente della propria religiosità, non curavano gli umili ed i semplici.
9,37-38 Si passa dall’immagine del gregge a quella della messe (Luca conserva il paragone della messe in un contesto più logico e cronologicamente più esatto; cf. Lc., 10,2). Nei due paragoni (gregge-messe) è soggiacente lo stesso pensiero. Sono egualmente necessari i pastori come pure i mietitori, altrimenti il gregge langue e la messe marcisce. Gesù invita tutti a pregare Dio, affinché si degni suscitare ed inviare degli operai nel campo della raccolta; il Signore provvede quando è pregato. Cristo, come uomo, è limitato; egli non può essere dovunque, né può far giungere a tutti la parola della salvezza, per questo fa chiedere al Padre dei collaboratori. Le parole del Maestro rivelano una sublime concezione dell’apostolato: l’apostolo è un inviato ed un collaboratore scelto da Dio.
10,6 Andate prima alle pecore perdute della casa d’Israele; nel piano della salvezza, Israele era il primo beneficiario dei beni messianici (cf. Mt., 15,24; Romani, 1,16); gli apostoli non devono svolgere la loro attività in regioni non ebraiche (la Siria a Nord era pagana e la Samaria a Sud aveva una popolazione mista) ma nella Galilea, dove vi erano le pecore perdute d’Israele. La casa d’Israele: ebraismo per: il popolo d’Israele. Mc. e Lc. omettono per delicatezza questo versetto il quale suonava duro ai lettori del loro Vangelo, i quali provenivano dal paganesimo.
10,8 I miracoli costituiscono una garanzia per la verità che promulgano gli apostoli. Gratuitamente avete ricevutogratuitamente date; è un tratto molto concreto nel discorso missionario; il richiamo non è superfluo, come prova l’episodio di Simon Mago (Atti, 8, 18-21), il quale desiderava acquistare con denaro il potere di comunicare lo Spirito Santo per operare prodigi; gli inviati devono comunicare la verità e compiere i miracoli senza nulla esigere in denaro.

Gesù, il buon pastore - C. Lesquivit e X. Léon-Dufour: I sinottici presentano numerosi tratti che annunzíano l’allegoria gíovannea. La nascita di Gesù a Betlemme ha realizzato la profezia di Michea (Mt 2,6 = Mi 5,1); la sua misericordia rivela in lui il pastore voluto da Mosè (Num 27,17), perché egli viene in aiuto alle pecore senza pastore (Mt 9, 36; Mc 6, 34). Gesù si considera come inviato alle pecore perdute di Israele (Mt 15,24; 10,6; Lc 19,10). Il «piccolo gregge» dei discepoli che egli ha radunato (Lc 12, 32) rappresenta la comunità escatologica alla quale è promesso il regno dei santi (cfr. Dan 7,27); esso sarà perseguitato dai lupi esterni (Mt 10,16; Rom 8,36) e da quelli interni, travestiti da pecore (Mt 7,15). Sarà disperso, ma, secondo la profezia di Zaccaria, il pastore che sarà stato colpito lo radunerà nella Galilea delle nazioni (Mt 26,31 s; cfr. Zac 13,7). Infine, al termine del tempo, il Signore delle pecore separerà nel gregge i buoni ed i cattivi (Mt 25,31s).
In questo spirito altri scrittori del NT presentano «il grande pastore delle pecore» (Ebr 13,20), maggiore di Mosè, il «capo dei pastori» (1Píet 5,4), «il pastore ed il guardiano» che ha ricondotto le anime smarrite guarendole con le sue stesse lividure (1Piet 2,24s). Infine nell’Apocalisse, che sembra seguire una tradizione apocrifa sul messia conquistatore, Cristo-agnello diventa il pastore che conduce alle fonti della vita (Apoc 7,17) e che colpisce i pagani con uno scettro di ferro (19,15; 12,5).
Nel quarto vangelo queste indicazioni sparse formano un quadro grandioso che presenta la Chiesa vivente sotto il vincastro dell’unico pastore (Gv 10). C’è tuttavia una sfumatura: non si tratta tanto del re, signore del gregge, quanto del Figlio di Dio che rivela ai suoi l’amore del Padre. Il discorso di Gesù riprende i dati anteriori e li approfondisce. Come in Ezechiele (Ez 34,17), si tratta di un giudizio (Gv 9, 39). Israele rassomiglia a pecore spremute (Ez 34,3), in balla «dei ladri, dei predoni» (Gv 10,l.10), disperse (Ez 34,5s.12; Gv 10,12). Gesù, come Jahve, le «fa uscite» e le «guida al buon pascolo» (Ez 34,10-14; Gv 10,11.3.9.16); allora esse conosceranno il Signore (Ez 34, 15.30; Gv 10,15) che le ha salvate (Ez 34,22; Gv 10,9). L’«unico pastore» annunziato (Ez 34,23), «sono io», dice Gesù (Gv 10,11).
Gesù precisa ancora. Egli è il mediatore unico, la porta per accedere alle pecore (10,7) e per andare ai pascoli (10,9s). Egli solo delega il potere pastorale (cfr. 21,15ss); egli solo dà la vita nella piena libertà dell’uscire e dell’entrare (cfr. Num 27,17). Una nuova esistenza è fondata sulla mutua conoscenza del pastore e delle pecore (10,3s.14s), amore reciproco fondato sull’amore che unisce il Padre ed il Figlio (14,20; 15,10; 17,8s.18-23). Infine Gesù è il pastore perfetto perché dà la sua vita per le pecore (10,15.17s); egli non è soltanto «percosso» (Mt 26,31; Zac 13,7), ma dà spontaneamente la propria vita (10,18); le pecore disperse che egli raduna vengono sia dal recinto di Israele che delle nazioni (10,16; 11,52). Infine il gregge unico così radunato è unito per sempre, perché l’amore del Padre onnipotente lo custodisce e gli assicura la vita eterna (10,27-30).

Benedetto XVI (Discorso 14 settembre 2006): “La messe è molta”, dice il Signore. E quando dice: “…è molta”, non si riferisce soltanto a quel momento e a quelle vie della Palestina su cui pellegrinava durante la sua vita terrena; è parola che vale anche per oggi. Ciò significa: nei cuori degli uomini cresce una messe. Ciò significa, ancora una volta: nel loro intimo c’è l’attesa di Dio; l’attesa di una direttiva che sia luce, che indichi la via. L’attesa di una parola che sia più che una semplice parola. La speranza, l’attesa dell’amore che, al di là dell’attimo presente, eternamente ci sostenga e ci accolga. La messe è molta e attende operai in tutte le generazioni. E in tutte le generazioni, pur se in modo differente, vale sempre anche l’altra parola: gli operai sono pochi.
“Pregate il padrone della messe che mandi operai!” Ciò significa: la messe c’è, ma Dio vuole servirsi degli uomini, perché essa venga portata nel granaio. Dio ha bisogno di uomini. Ha bisogno di persone che dicano: Sì, io sono disposto a diventare il Tuo operaio per la messe, sono disposto ad aiutare affinché questa messe che sta maturando nei cuori degli uomini possa veramente entrare nei granai dell’eternità e diventare perenne comunione divina di gioia e di amore. “Pregate il padrone della messe!” Questo vuol dire anche: non possiamo semplicemente “produrre” vocazioni, esse devono venire da Dio. Non possiamo, come forse in altre professioni, per mezzo di una propaganda ben mirata, mediante, per cosi dire, strategie adeguate, semplicemente reclutare delle persone. La chiamata, partendo dal cuore di Dio, deve sempre trovare la via al cuore dell’uomo. E tuttavia: proprio perché arrivi nei cuori degli uomini è necessaria anche la nostra collaborazione. Chiederlo al padrone della messe significa certamente innanzitutto pregare per questo, scuotere il suo cuore e dire: “Fallo per favore! Risveglia gli uomini! Accendi in loro l’entusiasmo e la gioia per il Vangelo! Fa’ loro capire che questo è il tesoro più prezioso di ogni altro tesoro e che colui che l’ha scoperto deve trasmetterlo!”
Noi scuotiamo il cuore di Dio. Ma il pregare Dio non si realizza soltanto mediante parole di preghiera; comporta anche un mutamento della parola in azione, affinché dal nostro cuore orante scocchi poi la scintilla della gioia in Dio, della gioia per il Vangelo, e susciti in altri cuori la disponibilità a dire un loro “sì”. Come persone di preghiera, colme della Sua luce, raggiungiamo gli altri e, coinvolgendoli nella nostra preghiera, li facciamo entrare nel raggio della presenza di Dio, il quale farà poi la sua parte. In questo senso vogliamo sempre di nuovo pregare il Padrone della messe, scuotere il suo cuore, e con Dio toccare nella nostra preghiera anche i cuori degli uomini, perché Egli, secondo la sua volontà, vi faccia maturare il “sì”, la disponibilità; la costanza, attraverso tutte le confusioni del tempo, attraverso il calore della giornata ed anche attraverso il buio della notte, di perseverare fedelmente nel servizio, traendo proprio da esso continuamente la consapevolezza che - anche se faticoso - questo sforzo è bello, è utile, perché conduce all’essenziale, ad ottenere cioè che gli uomini ricevano ciò che attendono: la luce di Dio e l’amore di Dio.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!». (Vangelo)
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Dio, che ci hai rinnovati
con la potenza misteriosa di questo sacramento,
fa’ che alla scuola di sant’Ambrogio vescovo
camminiamo da forti sulla via della salvezza,
per giungere alla gioia del convito eterno.
Per Cristo nostro Signore.