6 DICEMBRE 2019

Venerdì della I Settimana di Avvento

San Nicola Vescovo - Memoria

   Is 26,1-6; Sal 117 (118); Mt 7,21.24-27

Dal Martirologio: San Nicola, vescovo di Mira in Licia nell’odierna Turchia, celebre per la sua santità e la sua intercessione presso il trono della grazia divina.

Colletta:  Assisti il tuo popolo, Dio misericordioso, e per l’intercessione del vescovo san Nicola, che veneriamo nostro protettore, salvaci da ogni pericolo nel cammino che conduce alla salvezza. Per il nostro Signore Gesù Cristo ...

La cecità dai contemporanei di Gesù era considerata un castigo di Dio che palesava in questo modo i peccati occulti dell’infelice colpito dal terribile morbo. Il cieco, oltre a non poter studiare la Legge, a motivo della menomazione, era costretto ad elemosinare per avere un sostentamento, anche se molto magro. La cecità inoltre tagliava fuori il malato da ogni comunione sociale e religiosa. A motivo di questo convincimento i farisei consideravano i ciechi “gente perduta”, fuori dalla salvezza, ed erano convinti di essere nel giusto in quanto Dio, rendendo l’uomo cieco, avvalorava il loro insegnamento. Gesù non accetta questa riflessione, ed invece di provare ripulsa secondo i canoni sociali del suo tempo, si mostra molto compassionevole verso i ciechi, e la guarigione dei ciechi non soltanto manifesta la sua misericordia, ma è un segnale che sono giunti i tempi messianici. È la rivelazione che Gesù è il Cristo, il Messia desiderato e tanto atteso dal popolo d’Israele. Anche se per questa ultima rivelazione Gesù ha preferito muoversi con molta prudenza proprio per non suscitare facili entusiasmi. Gesù nell’operare la guarigione dei due ciechi premette come condizione la fede. Possiamo comprendere il perché di questa richiesta. Il dono della guarigione fisica è una luce che entra in un cuore già predisposto ad accogliere la Buona Novella, e illuminando tutto l’uomo lo rende atto a scelte improrogabili per essere discepolo di Gesù.

Dal Vangelo secondo Matteo 9,27-31: In quel tempo, mentre Gesù si allontanava, due ciechi lo seguirono gridando: «Figlio di Davide, abbi pietà di noi!». Entrato in casa, i ciechi gli si avvicinarono e Gesù disse loro: «Credete che io possa fare questo?». Gli risposero: «Sì, o Signore!». Allora toccò loro gli occhi e disse: «Avvenga per voi secondo la vostra fede». E si aprirono loro gli occhi. Quindi Gesù li ammonì dicendo: «Badate che nessuno lo sappia!». Ma essi, appena usciti, ne diffusero la notizia in tutta quella regione.

In quel tempo, mentre Gesù si allontanava, due ciechi lo seguirono - Ortensio Da Spinetoli (Matteo): Il presente racconto ha una orientazione e un intento diverso dal racconto analogo del cap. 20, dove Matteo riproduce la tradizione sinottica (Mc. 10,46-50) quasi immutata, mentre nell’attuale capitolo ha cercato di adattarla al contesto del libro II, in cui è inserita. L’intento cristologico non solo è conservato ma ridato con particolare attenzione. I due ciechi invece di essere fermi sulla strada (Mt. 20,30) seguono il corteo scandendo a pieni polmoni i titoli messianici del salvatore. Forse Gesù per non impedire questa singolare predicazione, passa sopra all’appellativo «figlio di David» e non mostra di ascoltarli fino a che non giunge in casa. La marcia dei ciechi al seguito di Cristo si riveste di un particolare simbolismo e si inquadra con i racconti di vocazione che abbondano nei capitoli 8-9. Anche i due ciechi, nonostante la loro condizione, hanno presentito il passaggio della grazia e si sono messi al seguito del messia davidico. Il punto saliente del racconto è, anche qui, la fede degli infelici. La parola non ritorna mai in Mt. 20,29-34, mentre è il termine chiave del presente testo. Il movimento che essi compiono verso il salvatore e la proclamazione dei titoli messianici lungo la via sono indici di fede; ma essa spicca nella domanda rivolta loro in casa : «credete» (v. 28). La guarigione è concessa a motivo della fede: «veduta la loro fede» dichiarata e proclamata pubblicamente. Il miracolo deve portare alla fede, ma prima di tutto la esige. In questo modo l’avvenimento trova la sua piena giustificazione nel presente contesto evangelico dove la fede è al centro dei racconti di guarigioni.

I miracoli sono sempre legati alla fede, ma non è la fede dell’uomo che guarisce, ma la potenza di Dio. Se la fede ne è la condizione perché Dio operi i miracoli, è la parola di Cristo che guarisce. Avere fede significa confessare la propria impotenza e proclamare nel contempo la propria fiducia nella potenza e nella misericordia di Dio. Fede è rifiuto di contare su se stessi per contare unicamente su Dio. Il grido degli ammalati che invocano il Cristo esprime sempre questo duplice atteggiamento.
Figlio di Davide, abbi pietà di noi! Questo titolo messianico, “comunemente accolto dal giudaismo [Mc 12,35; Gv 7,42] e di cui Matteo ha particolarmente sottolineato l’applicazione a Gesù [Mt 1,1; 12,23; 15,22;20,30p; 21,9.15]. Gesù l’ha accettato solo con riserva, perché implicava una concezione troppo umana del Messia [Mt 22,41-46; cfr. Mc 1,34], e gli ha preferito il titolo misterioso di Figlio dell’uomo [Mt 8,20]” (Bibbia di Gerusalemme).
Avvenga per voi secondo la vostra fede: è la fede ad aprire gli occhi dei due ciechi, e allarga il loro cuore alla testimonianza: essi, appena usciti, ne diffusero la notizia in tutta quella regione. La fede, “è un dono soprannaturale di Dio. Per credere, l’uomo ha bisogno degli aiuti interiori dello Spirito Santo. «Credere» è un atto umano, cosciente e libero, che ben s’accorda con la dignità della persona umana.” (CCC 179-180).
Quindi Gesù li ammonì dicendo: «Badate che nessuno lo sappia!». Gesù non voleva che i due ciechi guariti rendessero pubblico il miracolo perché “nel manifestarsi quale Messia, come il Figlio di Dio, Cristo doveva ottemperare a un piano graduale. Non voleva pertanto affrettare gli eventi, né che le folle entusiaste lo proclamassero Re messianico, secondo quella mentalità nazionalistica da cui Gesù assolutamente rifuggiva. E non si trattava solo di un rischio, ma di un pericolo ben reale. come si costatò in altro momento, quando avvenne la moltiplicazione dei pani e dei pesci: «Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, cominciò a dire: “Questi è davvero il profeta che deve venire nel inondo!”. Ma Gesù. sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re. si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo» [v 6,14]” (Bibbia di Navarra).
Ma essi, appena usciti, ne diffusero la notizia in tutta quella regione. San Girolamo afferma che i ciechi divulgarono l’accaduto non perché si rifiutassero di obbedire a Gesù. ma perché non trovarono altro modo per esprimere la loro gratitudine (cfr Comm. in Matthaeum, 9.3 l).

Figlio di Davide: Giovanni Paolo II (Angelus, 5 gennaio 1997): È un titolo, potremmo dire, di famiglia. Attraverso Giuseppe, suo padre putativo, Gesù è collegato con l’intera catena umana che di figlio in padre giunge fino al re Davide. Questa relazione genealogica sottolinea la concretezza dell’incarnazione: facendosi uomo, il Verbo eterno di Dio è entrato a pieno titolo nella famiglia umana, ponendosi nel solco di una particolare tradizione familiare. Anche in questo ha voluto essere uno di noi, sperimentando quel singolare legame che, annodando le generazioni, consente a ogni persona di sentirsi radicata non solo nel tempo e nello spazio, ma anche in un benefico tessuto di memorie e di affetti. Oltre, però, a questo significato antropologico, il titolo di “figlio di Davide” riveste anche un senso specifico che getta luce sul disegno di Dio. Ci ricorda infatti che l’evento cristiano è il vertice di una storia di salvezza che Dio attua progressivamente fin dall’Antico Testamento, offrendo al popolo ebreo una speciale “alleanza” e facendolo portatore di promesse salvifiche che, in Gesù di Nazaret, sarebbero state realizzate per l’intera umanità. Quando dunque i contemporanei lo chiamano “figlio di Davide”, riconoscono che in lui si compiono le promesse antiche, proclamano la definitiva realizzazione della speranza messianica. Ogni uomo può ormai attingere a questa speranza, facendo suo il grido che nel Vangelo si ritrova sulle labbra del cieco Bartimeo: “Gesù, figlio di David, abbi pietà di me” (Mc 10, 47). Invocando il “figlio di David”, l’umanità può ritrovare la luce degli occhi del cuore.

La cecità - F. Graber (Cieco in Dizionario dei Concetti Biblici del Nuovo Testamento): Nel tardo-giudaismo la cecità, dal momento che impediva gli uomini dallo studio della legge, era considerata come punizione di Dio per una qualche colpa umana (St.-B. II, 193): per es. in Pea 8,9, si dice che ogni giudice venale diverrà cieco nella sua vecchiaia. Al vedere un cieco si dice: «È glorificato il giudice della verità», volendo dire con ciò che la cecità è un giusto giudizio di Dio sui peccati di quell’uomo o anche sulla colpa dei suoi genitori che si ripercuote anche sui figli (Schlatter 222; Bultmann, 250ss). C’è addirittura chi crede di poter dedurre da determinate punizioni i peccati corrispettivi (St.B. l.c); questo modo di vedere le cose si aggancia a Dt 28,28. La comunità di Qumran (esseni) esclude dal proprio seno i ciechi, nonché altri affetti da deficienze fisiche (cf. lQSa II 6; 1QM VII 4s); dovrebbe esserci qui una connessione con Lv 21,18, per quanto la disposizione venga motivata col fatto che nella comunità si trovano angeli-santi.
Nel Nuovo Testamento la cecità viene variamente giudicata: 1) Gesù offre la sua comunanza anche ai ciechi e così dà loro di aver parte al regno di Dio; contrariamente alla prassi vigente a Qumran, egli esorta colui che gli dà ospitalità a invitare poveri e ciechi (Lc 14, 13.21). 2) Le molte guarigioni di ciechi operate da Gesù (Mt 9,27ss; 12,22; 15,30; 21,14; Mc 8,22ss; 10,46 par.; Lc 7,21) sono segni messianici. Quando Giovanni, che non sapeva che pensare di Gesù, si rivolge a lui con una richiesta di spiegazione, Gesù risponde: «I ciechi ricuperano la vista» (Mt 11,5) facendo così riferimento a Is 29,18 e 35,5. Gesù dimostra che il tempo della salvezza promesso dal profeta è divenuto, ora, presente nella sua comparsa e nella sua opera, che è ormai cominciata l’epoca del paradiso in cui non vi sarà più cecità di sorta.
Nella guarigione del cieco nato, in Gv 9,1ss, Gesù respinge la questione, ovvia per il giudaismo, di chi fosse la colpa di questa cecità congenita, e trasforma la domanda: «per qual causa quest’uomo è cieco?» nella seguente: «per qual fine egli è cieco?». In primo piano balza non già il peccato dell’uomo come eventuale causa della sofferenza, ma l’opera salvifica di Dio (v. 3): «è così, perché si manifestassero in lui le opere di Dio». Il che ci riporta di nuovo nel cuore del problema sul potere, la missione e il significato di Gesù: nel momento che Gesù, luce del mondo, dona al cieco la luce degli occhi, è un’opera di Dio che si compie in lui (v. 3) e nello stesso tempo, in tale opera, Dio rivela Gesù come luce del mondo. «Gesù rende visibile la realtà del perdono divino, facendo di distrutta, dipendente, una vita sana e libera» (Schlatter 224).
3) In At 13,11 si narra di un accecamento conseguente a una maledizione. Il passo intende illustrare la superiorità dei messaggeri cristiani sul mago pagano. L’insuccesso del mago illustra il potere di Dio sulla magia e sul’opera dei demoni.
4) Abbiamo il significato traslato in Mt 15,14, dove Gesù chiama i farisei «ciechi, guide di ciechi». In tal modo egli vuol alludere, così come in Rm 2,19, a quel che i giudei scribi pensavano di loro stessi rivendicavano per sé il titolo onorifico di hodègói typhlôn (guide di ciechi), perché si consideravano gli unici interpreti competenti della legge, e quindi anche gli unici a poter far da guida e da criterio legittimo ai «ciechi» pagani, ai quali essi comunicavano verità e conoscenza come «portatori di luce». La cecità del fariseo non provoca in Gesù alcun senso di compassione, bensì un giudizio di condanna, perché è indizio dello stato d’indurimento (cf. anche Mt 23,16s.19.26; 16,4) Il parallelo a Mt 15,14 in Lc 6, 39 va inteso certamente in maniera diversa. Lc 6, 39, se lo connettiamo col detto sul giudicare, dovrebbe ansi interpretato: «come puoi elevarti a giudice tu che sei cieco e non disponi di alcun criterio?».

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Avvenga per voi secondo la vostra fede». (Vangelo)
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Fortifica, Signore, la nostra fede
con questo cibo di vita eterna,
perché sull’esempio di san Nicola professiamo
la verità in cui egli ha creduto, e testimoniamo nelle opere
l’insegnamento che ci ha trasmesso.
Per Cristo nostro Signore.