3 DICEMBRE 2019

Martedì della I Settimana di Avvento

SAN FRANCESCO SAVERIO, SACERDOTE – MEMORIA

  Is 11,1-10; Sal 71 (72); Lc 10,21

Dal Martirologio: Memoria di san Francesco Saverio, sacerdote della Compagnia di Gesù, evangelizzatore delle Indie, che, nato in Navarra, fu tra i primi compagni di sant’Ignazio. Spinto dall’ardente desiderio di diffondere il Vangelo, annunciò con impegno Cristo a innumerevoli popolazioni in India, nelle isole Molucche e in altre ancora, in Giappone convertì poi molti alla fede e morì, infine, in Cina nell’isola di Sancian, stremato dalla malattia e dalle fatiche.

Colletta: O Dio, che hai chiamato molti popoli dell’Oriente alla luce del Vangelo, con la predicazione apostolica di san Francesco Saverio, fa’ che ogni comunità cristiana arda dello stesso fervore missionario, perché su tutta la terra la santa Chiesa si allieti di nuovi figli. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Gesù aveva inviato settantadue discepoli a due a due, davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi (Lc 10,1) come precursori spirituali. Terminata la missione, i settantadue erano tornati pieni di gioia (Lc 10,17). In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo: il motivo di questa gioia sta nel fatto che ai suoi discepoli è dato conoscere i misteri del regno di Dio (Lc 8,10). Gesù conosce il Padre così come il Padre conosce il Figlio e nella sua benevolenza lo rivela ai piccoli: “Vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. Egli infatti ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando giunse a lui questa voce dalla maestosa gloria: «Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento». Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte.” (2Pt 1,16-18).

Dal Vangelo secondo Luca 10,21-34: In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo». E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».

Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra... - L’espressione Signore del cielo e della terra, evoca l’azione creatrice di Dio (Cf. Gen 1,1). Il motivo della lode sta nel fatto che il Padre ha «nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le ha rivelate ai piccoli». Le cose nascoste «non si riferiscono a ciò che precede; si devono intendere invece dei “misteri del regno” in generale [Mt 13,11], rivelati ai “piccoli”, i discepoli [Cf. Mt 10,42], ma tenuti nascosti ai “sapienti”, i farisei e i loro dottori» (Bibbia di Gerusalemme).
Molti anni dopo Paolo ricorderà queste parole di Gesù ai cristiani di Corinto: «Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio» (1Cor 1,26-29).
... nessuno sa chi è il Figlio... La rivelazione della mutua conoscenza tra il Padre e il Figlio pone decisamente il brano evangelico in relazione «con alcuni passi della letteratura sapienziale riguardanti la sophia. Solo il Padre conosce il Figlio, come solo Dio la sapienza [Gb 28,12-27; Bar 3,32]. Solo il Figlio conosce il Padre, così come solo la sapienza conosce Dio [Sap 8,4; 9,1-18]. Gesù fa conoscere la rivelazione nascosta, come la sapienza rivela i segreti divini [Sap 9,1-18; 10,10] e invita a prendere il suo giogo su di sé, proprio come la sapienza [Prov 1,20-23; 8,1-36]» (Il Nuovo Testamento, Vangeli e Atti degli Apostoli).
... né chi è il Padre se non il Figlio... Gesù è l’unico rivelatore dei misteri divini, in quanto il Padre ne ha comunicato a lui, il Figlio, la conoscenza intera. Da questa affermazione si evince che Gesù è uguale al Padre nella natura e nella scienza, è Dio come il Padre, di cui è il Figlio Unico.
Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re - Luca mette in evidenza “la viva attesa dei tempi messianici (il regno di Dio) che ha contraddistinto e sorretto l’intera storia d’Israele. Si osservi che non si parla soltanto di vedere, ma anche di udire, poiché si tratta soprattutto di accogliere il messaggio di salvezza che promulgherà il Messia. Con questa dichiarazione Gesù si considera come il punto terminale della storia d’Israele, palesando cosi la sua chiara coscienza di essere il Messia lungamente atteso dal popolo eletto” (Benedetto Prete, I Quattro Vangeli).

La gioia - Christa Breuer: [Nel Nuovo Testamento] la gioia è legata alla persona di Cristo e alla salvezza in lui donata. Il messaggio di Gesù si chiama evangelo (Mc 1,1) e messaggio della gioia (Lc 2,10). La gioia è legata alla nascita del precursore (Lc I, 14). Maria gioisce della salvezza fattasi in lei manifesta (Lc 1,47). I magi gioiscono di aver trovato la stella (Mt 2,10). Giovanni Battista è pieno di gioia perché ha condotto la sposa a Cristo (Gv 3,20). Gesù gioisce per amore dei discepoli che sperimenteranno la risurrezione di Lazzaro (Gv 11,15). Nella parabola della pecorella smarrita, Gesù professa la sua gioia per il peccatore che si converte (Lc 15,5). Devono gioire coloro che sono perseguitati per amore della giustizia, poiché la loro ricompensa nei cieli è grande (Mt 5,12). La loro tristezza si trasformerà un giorno in gioia (Gv 16,20ss). La gioia diventa la forma di comportamento raccomandata ai discepoli del Signore. Essi debbono rallegrarsi perché i loro nomi sono scritti nei cieli (Lc 10,20). Se vivono secondo i suoi comandamenti, la g. di Gesù sarà in loro e la loro g. sarà piena (Gv 15,11). La gioia sta al centro delle parabole di Gesù. In esse il regno di Dio viene spesso paragonato a un banchetto o a una festa di nozze, che per gli orientali erano motivo di gioia particolare (cf. Mt 9,15). La gioia di seguire Gesù e di raggiungere il regno dei cieli assomiglia alla gioia di un uomo che trova nel campo un tesoro o una perla preziosissima: per la gioia di averli trovati vende tutto quello che ha per acquistarli (Mt 13,44ss).

La gioia spirituali, le sue fonti - A. Ridouard e M.-F. Lacan: 1. Le fonti della gioia spirituale. - Di fatto la gioia è un frutto dello Spirito (Gal 5,22) ed una nota caratteristica del regno di Dio (Rom 14,17). Non si tratta dell’entusiasmo passeggero che la parola suscita e la tribolazione distrugge (cfr. Mc 4,16), ma della gioia spirituale dei fedeli che, nella prova, sono di esempio (1 Tess l,6s) e che, con la loro generosità gioiosa (2Cor 8,2; 9,7), con la loro perfezione (2Cor 13,9), con la loro unione (Fil 2,2), con la loro docilità (Ebr 13,17) e la loro fedeltà alla verità (2Gv 4; 3Gv 3s), sono presentemente e saranno nel giorno del Signore la gioia dei loro apostoli (1Tess 2,19s). La carità che rende i fedeli partecipi della verità (1Cor 13,6) procura loro una gioia costante che è alimentata dalla preghiera e dal ringraziamento incessanti (1Tess 5,16; Fil 3,1; 4,4ss). Come rendere grazie al Padre di essere trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, senza essere nella gioia (Col 1,11ss)? E la preghiera assidua è fonte di gioia perché la anima la speranza e perché il Dio della speranza vi risponde colmando di gioia il fedele (Rom 12,12; 15,13). Pietro lo invita quindi a benedire Dio con esultanza; la sua fede, che l’afflizione mette alla prova, ma che è sicura di ottenere la salvezza, gli procura una gioia ineffabile Che è la pregustazione della gloria (1 Piet 1,39).
2. La testimonianza della gioia nella prova. - Ma questa gioia non appartiene che alla fede provata. Per essere nella letizia al momento della rivelazione della gloria di Cristo, bisogna che il suo discepolo si rallegri nella misura in cui partecipa alle sue sofferenze (1Piet 4,13). Come il suo maestro, egli preferisce in terra la croce alla gioia (Ebr 12,2); accetta con gioia di essere spogliato dei suoi beni (Ebr 10,34), considerando come gioia suprema l’essere messo alla prova in tutti i modi (Giac 1,2). Per gli apostoli, come per Cristo, la povertà e la persecuzione portano alla gioia perfetta. Nel suo ministero apostolico, Paolo gusta questa gioia della croce, che è un elemento della sua testimonianza: «afflitti», i ministri di Dio sono «sempre lieti» (2Cor 6,10). L’apostolo sovrabbonda di gioia nelle sue tribolazioni (2Cor 7,4); con un disinteresse totale egli si rallegra purché Cristo sia annunciato (Fil 1,17s) e trova la sua gioia nel soffrire per i suoi fedeli e per la Chiesa (Col 1,24). Invita persino i Filippesi a condividere la gioia che egli avrebbe nel versare il proprio sangue come suprema testimonianza di fede (Fil 2,17s).
3. La partecipazione alla gioia eterna. Ma la prova avrà fine e Dio vendicherà il sangue dei suoi servi giudicando Babilonia che se n’è ubriacata; ci sarà allora letizia in cielo (Apoc 18,20; 19,1-4) dove si celebreranno le nozze dell’agnello; coloro che vi prenderanno parte, renderanno gloria a Dio nella letizia (19,7ss). Sarà la manifestazione della gioia perfetta che è sin d’ora il retaggio dei figli di Dio; perché lo Spirito, che è stato dato loro, fa sì che essi abbiano comunione con il Padre e con il suo Figlio Gesù Cristo (1 Gv 1,2ss; 3,1s.24). 

Gioia e senso dell’umorismo: Gaudete et exsultate: 126. Ordinariamente la gioia cristiana è accompagnata dal senso dell’umorismo, così evidente, ad esempio, in san Tommaso Moro, in san Vincenzo de Paoli o in san Filippo Neri. Il malumore non è un segno di santità: «Caccia la malinconia dal tuo cuore» (Qo 11,10). È così tanto quello che riceviamo dal Signore «perché possiamo goderne» (1Tm 6,17), che a volte la tristezza è legata all’ingratitudine, con lo stare talmente chiusi in sé stessi da diventare incapaci di riconoscere i doni di Dio.
127. Il suo amore paterno ci invita: «Figlio, […] trattati bene […]. Non privarti di un giorno felice» (Sir 14,11.14). Ci vuole positivi, grati e non troppo complicati: «Nel giorno lieto sta’ allegro […]. Dio ha creato gli esseri umani retti, ma essi vanno in cerca di infinite complicazioni» (Qo 7,14.29). In ogni situazione, occorre mantenere uno spirito flessibile, e fare come san Paolo: «Ho imparato a bastare a me stesso in ogni occasione» (Fil 4,11). È quello che viveva san Francesco d’Assisi, capace di commuoversi di gratitudine davanti a un pezzo di pane duro, o di lodare felice Dio solo per la brezza che accarezzava il suo volto.
128. Non sto parlando della gioia consumista e individualista così presente in alcune esperienze culturali di oggi. Il consumismo infatti non fa che appesantire il cuore; può offrire piaceri occasionali e passeggeri, ma non gioia. Mi riferisco piuttosto a quella gioia che si vive in comunione, che si condivide e si partecipa, perché «si è più beati nel dare che nel ricevere» (At 20,35) e «Dio ama chi dona con gioia» (2Cor 9,7). L’amore fraterno moltiplica la nostra capacità di gioia, poiché ci rende capaci di gioire del bene degli altri: «Rallegratevi con quelli che sono nella gioia» (Rm 12,15). «Ci rallegriamo quando noi siamo deboli e voi siete forti» (2Cor 13,9). Invece, se «ci concentriamo soprattutto sulle nostre necessità, ci condanniamo a vivere con poca gioia».

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Il malumore non è un segno di santità” (Papa Francesco). 
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

L’Eucaristia che abbiamo celebrato, Signore,
ci comunichi la carità apostolica di san Francesco Saverio,
perché ognuno di noi viva in modo autentico
la sua vocazione cristiana,
e ottenga il premio promesso ai buoni operai del Vangelo.
Per Cristo nostro Signore.