29 Dicembre 2019

DOMENICA FRA OTTAVA DI NATALE

SANTA FAMIGLIA

Sir 3,3-7.14-17a; Sal 127 (128); Col 3,12-21; Mt 2,13-15.19-23


Colletta: O Dio, nostro creatore e Padre, tu hai voluto che il tuo Figlio, generato prima dell’aurora del mondo, divenisse membro dell’umana famiglia; ravviva in noi la venerazione per il dono e il mistero della vita, perché i genitori si sentano partecipi della fecondità del tuo amore, e i figli crescano in sapienza, età e grazia, rendendo lode al tuo santo nome. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

I Lettura: Il testo del Siracide sottolinea che i figli che onorano i genitori sono benedetti da Dio, questo significa che per tanto amore filiale saranno esauditi nel giorno della loro preghiera e vivranno a lungo. L’osservanza del quarto comandamento, «onora tuo padre e tua madre», non solo è fonte di benedizioni celesti, ma è anche espiazione dei peccati e dà sicurezza di avere gioia dai propri figli e di non essere dimenticati da Dio.

Salmo: “La tua sposa, come vite feconda... Quanti concepiscono una Gerusalemme spirituale e sanno che è celeste, che scende dall’alto, che è nostra madre, vedranno realizzate le benedizioni di questo salmo. La sposa spirituale è la Sapienza” (Origene, In Luc., 39).

II Lettura: San Paolo nella seconda lettura indica alcune virtù proprie del cristianesimo, che per loro natura sono adatte a mantenere la fraternità in Cristo e a favorirla: la misericordia, la bontà, l’umiltà, la mansuetudine, la pazienza, soprattutto il perdono, sull’esempio del Signore Gesù Cristo. Infine, i rapporti familiari, sia degli sposi fra loro, sia dei genitori con i loro figli e viceversa, devono svolgersi nel più autentico spirito cristiano, «come si conviene nel Signore» Gesù.

Vangelo: Giuseppe fugge con «il bambino e sua madre» in Egitto, il più agevole luogo di rifugio per gli abitanti della Palestina quando su di loro sovrastava qualche minaccia. Matteo applica la profezia di Osea (11,1) a Gesù, perché «secondo la credenza generalizzata del giudaismo, il tempo del Messia avrebbe riattualizzato il tempo di Mosè. L’evangelista, quindi, afferma che Gesù è il Messia, il Figlio di Dio per eccellenza, che subisce la stessa sorte del popolo che viene a salvare» (F. F. Ramos). Morto il re Erode, Giuseppe fa ritorno «nel paese d’Israele» scegliendo, per prudenza, di stabilirsi a Nazareth, fuori dalla giurisdizione di Archelao, erede di Erode. Anche qui Matteo fa cenno a una profezia, ma non è chiaro a quale oracolo faccia allusione. Si può pensare a nazîr di Gdc 13,5.7 o a neçer, «virgulto», di Is 11,1. Sembra che Matteo voglia affermare che Gesù, derivando da Nazaret il titolo di nazareno, ha anche meritato quello di virgulto, apparendo così suscitatore di speranza messianica. È da ammirare la docilità di Giuseppe alla volontà di Dio, per questo Matteo ama chiamarlo uomo «giusto» (1,19).

Dal Vangelo secondo Matteo 2,13-15.19-23: I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio». Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino».  Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».

I Magi erano appena partiti - Felipe F. Ramos: Il nostro testo riflette non solo quello che avvenne al momento della nascita di Gesù, ma anche la situazione che viveva la Chiesa quando fu scritto il vangelo di Matteo. Una delle accuse giudaiche contro i cristiani era questa: che Gesù aveva praticato la magia che aveva appresa in Egitto. Il nostro racconto ribatte decisamente quest’accusa dimostrando che Gesù era stato bensì in Egitto, ma quando era neonato e che l’accusa era priva di valore. Abbiamo dunque, qui, un racconto apologetico.
A grandi uomini dell’antichità furono attribuite simili storie di crudele persecuzione con l’intento di eliminarli.
Così avvenne a Romolo e Remo, ad Augusto, a Sargon e a Ciro. E qui appunto troveremmo il tenore leggendario della nostra storia. Ma il nostro autore si eleva al di sopra della leggenda, non ricordando l’eco di eroi pagani, ma di Mosè, il fondatore dell’antico popolo di Dio. Un faraone empio tentò d’eliminare anche lui. Così Matteo appagò il suo desiderio di presentare Gesù come un novello Mosè, cosa che dovrà essere tenuta presente in altre circostanze del vangelo.
Abbiamo così raggiunto il fine teologico di questa lettura: Gesù è il novello Mosè e subisce la sua stessa sorte: è perseguitato e deve fuggire (Es 4,19). Ma il contenuto teologico non si ferma qui: nel ritorno di Gesù in Palestina, si adempie la Scrittura che dice: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio». La citazione è presa dal profeta Osea (11,1) e, originariamente, si riferiva all’uscita di Israele dall’Egitto: «Israele è il mio figlio primogenito» (Es 4,22). Matteo applica la citazione a Gesù, perché, secondo la credenza generalizzata nel giudaismo, il tempo del Messia avrebbe riattualizzato il tempo di Mosè. L’evangelista, quindi, afferma che Gesù è il Messia, il Figlio di Dio per eccellenza, che subisce la stessa sorte del popolo che egli viene a salvare.

La famiglia in tutti i popoli è la pietra angolare della società. In Israele, uniti dai legami della più stretta solidarietà, i membri della famiglia formano un solo corpo e una sola anima. Secondo una espressione molto conosciuta nella sacra Scrittura, ciascuno è «l’osso e la carne» di coloro che gli sono apparentati (Gen 2,23; 29,14; 37,27; 2Sam 5,1; 19,13). Gesù manifesta palesemente tutto il suo interesse per la famiglia. Per sant’Agostino il fatto che Egli «abbia accettato l’invito e sia andato alle nozze [di Cana], è una conferma che egli è l’autore del matrimonio». Per quanto riguarda il divorzio Egli si pone al di sopra di ogni controversia e di ogni scuola del suo tempo e rifacendosi alle intenzioni di Dio nella creazione dell’uomo e della donna lo condanna con fermezza. Per Gesù il matrimonio rientra nel disegno primordiale di Dio, il quale non prevede alcuna eccezione alla indissolubilità, proprio perché questa è iscritta nella natura dell’uomo e della donna in quanto esseri complementari. La disposizione mosaica circa il divorzio (Dt 24,1ss) aveva valore transitorio e dimostrava non tanto un’accondiscendenza di Dio, quanto la durezza di cuore degli ebrei, chiusi alle esigenze dell’autentica volontà di Dio. Come conseguenza, il divorzio, con passaggio ad altre nozze, è semplicemente adulterio e l’adulterio è espressamente proibito dal sesto comandamento (Es 20,14; Dt 5,18). Gesù non si è mai discostato da questi insegnamenti proprio per difendere l’integrità della famiglia. E così fa la Chiesa.

Gesù nato e vissuto in una famiglia umana ne rispetta la struttura e le leggi che le tradizioni del suo popolo avevano formato. Con la Madre e i discepoli, partecipa a Cana alle nozze di due giovani, forse parenti o amici (Gv 2,1-2), intendendo «così dimostrare quanto la verità della famiglia sia iscritta nella Rivelazione di Dio e nella storia della salvezza» (Giovanni Paolo II). Ai farisei Gesù ricorda il comandamento che impone il rispetto dei genitori, rifacendosi all’insegnamento della Legge (Mc 7,9-13) e che loro trascuravano. Insegna con forza l’unità e l’indissolubilità del matrimonio (Mt 18,1-12). Nella sua parola «emerge la figura del padre, come garante fondamentale della famiglia [...]. In molte parabole, il protagonista è il capo della «casa», il pater familias. La chiamata ad entrare nel regno è assimilata all’invito che fa un padre che prepara le nozze del figlio [Mt 22,2]; la vigilanza nell’attesa del regno ha come riscontro l’atteggiamento del padre che veglia sulle sorti della sua casa [Mt 24,43], e il giudizio escatologico è paragonato ad un padre che trae dal patrimonio familiare cose vecchie e nuove [Mt 13,52]» (B. Liverani). Tanto era importante la famiglia per i cristiani della prima ora che essa viene descritta come il primissimo luogo nel quale si svolgevano le celebrazioni liturgiche e come nucleo centrale della vita della comunità (cfr. At 2,46; 16,15). Oggi a pagare per le tante famiglie disastrate sono i giovani. L’eclissi della famiglia dalla scena dei valori ha spinto i giovani ad affidarsi, per la loro formazione, a realtà surrogate che si sono dimostrate scuole alienanti e deformanti con danni a volte irreversibili. Non si risolve il problema con le perizie psichiatriche, ma ricostruendo la famiglia. L’educazione spetta innanzi tutto alla famiglia, che è «una scuola di umanità più ricca» (GS 52). Dire sì alla famiglia significa riconquistare il diritto all’educazione e aprire il mondo alla vita. 

Famiglia ed Eucarestia - Vincenzo Raffa (Liturgia Festiva): La Chiesa riattualizza il mistero della santa Famiglia specialmente nell’Eucaristia, che è per l’appunto il sacramento nel quale vengono stretti i vincoli dell’amore, della pace, della felicità familiare e sociale. Coloro che partecipano con le dovute disposizioni alla celebrazione eucaristica ottengono di rivestirsi di misericordia, bontà e di tutti gli altri sentimenti raccomandati da san Paolo, e ricevono la forza di agire secondo le indicazioni della legge divina. Nell’Eucaristia, soprattutto, la famiglia può elevare, nel più perfetto dei modi, il suo rendimento di grazie a Dio Padre per mezzo di Cristo, come dice ancora san Paolo nella seconda lettura.
L’Eucaristia è il banchetto che vede riuniti alla mensa del Signore i membri di ogni famiglia autenticamente cristiana e fa prendere maggiormente coscienza del loro inserimento nella più grande famiglia di Dio, quella costituita dalla Chiesa. È soprattutto all’altare che essi stringono la comunione con Cristo e, mediante la luce e la forza compaginante dello Spirito Santo, sperimentano l’esigenza dell’unità mistica e della fraternità spirituale fra i cristiani.
Il patto, la mutua donazione, la complementarietà, la cooperazione, l’amore fra coniugi e, su altro piano, fra i diversi membri della famiglia cristiana entrano nell’ordine della salvezza in quanto sono segni espressivi del patto, della mutua donazione, della complementarietà, della cooperazione e dell’amore intercorrenti fra Cristo e la Chiesa. Ma questi rapporti fra Cristo e la Chiesa caratterizzano anche l’Eucaristia, nella quale si rinnova, fra lo Sposo divino e la sua Sposa, l’alleanza e la donazione mutua: «corpo dato» «sangue versato» per voi e per tutti - Lc 22, 19; la Chiesa offre a Dio tutta se stessa.
L’Eucaristia dunque esprime la realtà fondante del matrimonio-sacramento e della famiglia cristiana e, in quanto segno specificamente sacramentale e quindi produttivo, la rinvigorisce, la ricostruisce, l’alimenta, la purifica, la rende luminosa ed edificante anche per gli altri.
La partecipazione all’Eucaristia «diventa inesauribile sorgente del dinamismo missionario ed apostolico della famiglia cristiana» (Esortaz. apost. «Familiaris consortio» di Giovanni Paolo II del 22 nov. 1981, n. 57) ed anche della sua capacità di rinnovamento della società e di sviluppo della Chiesa.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** L’educazione spetta innanzi tutto alla famiglia, che è «una scuola di umanità più ricca».
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Padre misericordioso, che ci hai nutriti alla tua mensa,
donaci di seguire gli esempi della santa Famiglia,
perché dopo le prove di questa vita
siamo associati alla sua gloria in cielo.
Per Cristo nostro Signore.