28 Dicembre 2019

OTTAVA DI NATALE

SANTI INNOCENTI MARTIRI - FESTA

1Gv 1,5-2,2; Sal 123 (124); Mt 2,13-18

Santi Innocenti: Oggi la Chiesa canta le lodi dei santi Innocenti: il re Erode avendo saputo dai Magi che a Betlemme era nato il re dei Giudei, nella sua ferocia empietà, temendo per il suo trono, mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio perché insieme ad essi morisse il bambino Gesù. I bambini, “senza saperlo, muoiono per Cristo... Non parlano ancora e già confessano Cristo! Non sono ancora capaci di affrontare la lotta, perché non muovono ancora le membra e tuttavia già portano trionfanti la palma della vittoria” (San Quodvultus).

Colletta: Signore nostro Dio, che oggi nei santi Innocenti sei stato glorificato non a parole, ma col sangue, concedi anche a noi di esprimere nella vita la fede che professiamo con le labbra. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

Giuseppe fugge con «il bambino e sua madre» in Egitto, il più agevole luogo di rifugio per gli abitanti della Palestina quando su di loro sovrastava qualche minaccia. Matteo applica la profezia di Osea (11,1) a Gesù, perché «secondo la credenza generalizzata del giudaismo, il tempo del Messia avrebbe riattualizzato il tempo di Mosè. L’evangelista, quindi, afferma che Gesù è il Messia, il Figlio di Dio per eccellenza, che subisce la stessa sorte del popolo che viene a salvare» (F. F. Ramos). Morto il re Erode, Giuseppe fa ritorno «nel paese d’Israele» scegliendo, per prudenza, di stabilirsi a Nazareth, fuori dalla giurisdizione di Archelao, erede di Erode. Anche qui Matteo fa cenno a una profezia, ma non è chiaro a quale oracolo faccia allusione. Si può pensare a nazîr di Gdc 13,5.7 o a neçer, «virgulto», di Is 11,1. Sembra che Matteo voglia affermare che Gesù, derivando da Nazaret il titolo di nazareno, ha anche meritato quello di virgulto, apparendo così suscitatore di speranza messianica. È da ammirare la docilità di Giuseppe alla volontà di Dio, per questo Matteo ama chiamarlo uomo «giusto» (1,19).

Dal Vangelo secondo Matteo 2,13-18: I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio». Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi.  Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremìa: «Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più».

Proprio perché uomo «giusto» (Mt 1,19), Giuseppe può fruire delle «comunicazioni celesti» che lo sostengono e lo illuminano sopra tutto quando è necessario prendere delle decisioni.
L’angelo dopo aver ordinato a Giuseppe di prendere con sé «il bambino e sua madre», una sottolineatura che non va trascurata, lo invita a fuggire in Egitto. La evidenziazione non va trascurata perché concisamente esclude il «concepimento fisico» del bambino.
L’Egitto, nella mentalità biblica, ha un doppio significato: da una parte è il luogo di rifugio dei perseguitati politici (cf. 1Re 11,40; Ger 26,1), dall’altra indica il paese dal quale aveva avuto inizio la lunga marcia verso il deserto dove il popolo ritroverà la libertà e l’identità di nazione.
Ed è da tenere a mente che la liberazione dalla schiavitù egiziana fu portata avanti da Mosè, un perseguitato politico che visse quell’esperienza drammatica sia durante l’infanzia (cf. Es 2,1-10), sia durante la giovinezza (cf. Es 2,15). Il dato cristologico che Matteo vuole fornire ai suoi lettori quindi è eloquentemente chiaro: Gesù è il nuovo Mosé che libererà il suo popolo da una più perniciosa schiavitù e guidandolo per il deserto della vita lo condurrà in una «nuova terra» (Is 65,17) dove abbondantemente scorre il latte della grazia e il miele dell’amicizia divina.
Tale intenzione è rafforzata dalla citazione di Osea - «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio» - fatta direttamente dal testo ebraico senza riprendere la versione dei Settanta. Israele era considerato il figlio primogenito di Dio (cf. Sir 36,11), ora Gesù ripercorre il cammino, anzi assume su di sé l’esperienza storica del popolo eletto per portarla a compimento. E questo è un altro grande annuncio che Matteo fa ai suoi lettori: il disegno di Dio, disegno di liberazione e di salvezza, si compie in Gesù, il Figlio unigenito del Padre (cf. Gv 1,18).
Nella seconda parte del vangelo, Giuseppe dall’angelo riceve l’ordine di ritornare in patria. Il luogo dove stabilirsi non è scelto a caso. Tutto entra dentro un progetto ben preciso, delineato fin dall’eternità dalla sapienza divina.
La scelta di Nazaret, una borgata sconosciuta alla stessa Bibbia, dà la possibilità all’evangelista Matteo di richiamare alla memoria dei suoi lettori un altro vaticino: «Sarà chiamato Nazareno». Ma non è chiaro a quale citazione biblica risalire.
Forse a Giudici 13,5.7, dove Sansone, nella versione greca, viene chiamato naziraios, cioè consacrato. O probabilmente a Isaia 11,1 dove il termine ebraico neser significa virgulto, «o meglio ancora naçar, “conservare”, di Is 42,6, Is 49,8, da cui naçur [il “resto”]» (Bibbia di Gerusalemme).
Il termine di Matteo «Nazoreo» (Nazôraios), adottato da Matteo, Giovanni e Atti e «il suo sinonimo “Nazareno” [Nazarênos, adottato da Marco; Luca ha le due forme] sono la trascrizione corrente di un aggettivo aramaico [nasraja], anch’esso proveniente dal nome della città di Nazaret [Nasrat]. Applicato a Gesù, di cui caratterizzava l’origine [cf. Mt 26,69, Mt 26,71], poi ai suoi seguaci [cf. At 24,5], questo termine si è conservato nel mondo semitico per designare i discepoli di Gesù, mentre il nome di “cristiano” (At 11,26) è prevalso nel mondo greco-romano» (Bibbia di Gerusalemme).
Più che la citazione, è molto più importante sottolineare che la permanenza di Gesù e l’esordio del suo ministero a partire da quella regione appartengono a un disegno preciso di Dio, come dichiarerà più in avanti lo stesso evangelista: «Il paese di Zàbulon e il paese di Nèftali, sulla via del mare, al di là del Giordano, Galilea delle genti; il popolo immerso nelle tenebre ha visto una grande luce; su quelli che dimoravano in terra e ombra di morte una luce si è levata» (Mt 4,15-16; Is 8,23-9,1). In tanto travaglio, non irrilevante è il ruolo di Giuseppe. Egli è il collaboratore che Dio sceglie per portare a compimento il suo disegno di salvezza. La famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, così viene ad assumere un ruolo attivo nel compimento della volontà del Padre sul suo Unigenito.

La fuga in Egitto - Redemptoris custos 14: Dopo la presentazione al tempio l'evangelista Luca annota: «Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui» (Lc 2,39-40).
Ma, secondo il testo di Matteo, prima ancora di questo ritorno in Galilea, è da collocare un evento molto importante, per il quale la divina Provvidenza ricorre di nuovo a Giuseppe. Leggiamo: «Essi (i magi) erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: "Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo"» (Mt 2,13). In occasione della venuta dei magi dall'Oriente, Erode aveva saputo della nascita del «re dei Giudei» (cfr. Mt 2,2). E quando i magi partirono, egli «mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù» (Mt 2,16). In questo modo, uccidendo tutti, voleva uccidere quel neonato «re dei Giudei», del quale era venuto a conoscenza durante la visita dei magi alla sua corte. Allora Giuseppe, avendo udito in sogno l'avvertimento, «prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Dall'Egitto ho chiamato mio figlio”» (Mt 2,14-15; cfr. Os 11,1).
In tal modo la via del ritorno di Gesù da Betlemme a Nazaret passò attraverso l'Egitto. Come Israele aveva preso la via dell'esodo «dalla condizione di schiavitù» per iniziare l'antica alleanza, così Giuseppe, depositario e cooperatore del mistero provvidenziale di Dio, custodisce anche in esilio colui che realizza la nuova alleanza.

I bambini innocenti di Betlemme, uccisi per ordine di Erode, sono diventati partecipi della nascita e della passione redentrice di Cristo: Lettera alle Famiglie - Gratissimam sane 21: Il breve racconto della infanzia di Gesù ci riferisce in maniera molto significativa, quasi contemporaneamente, la sua nascita e il pericolo che Egli deve subito affrontare. Luca riporta le parole profetiche pronunciate dal vecchio Simeone quando il Bambino viene presentato al Signore nel Tempio, quaranta giorni dopo la nascita. Egli parla di «luce» e di «segno di contraddizione»; a Maria, poi, predice: «Anche a te una spada trafiggerà l’anima» (cfr. Lc 2,32-35). Matteo, invece, si sofferma sulle insidie tramate nei confronti di Gesù da parte di Erode: informato dai Magi, giunti dall’Oriente per vedere il nuovo re che doveva nascere (cfr. Mt 2,2), egli si sente minacciato nel suo potere e, dopo la loro partenza, ordina di uccidere tutti i bambini di Betlemme e dei dintorni dai due anni in giù. Gesù sfugge alle mani di Erode grazie ad un particolare intervento divino e grazie alla sollecitudine paterna di Giuseppe, che lo porta insieme a sua Madre in Egitto, dove soggiornano fino alla morte di Erode. Tornano poi a Nazaret, loro città natale, dove la Santa Famiglia inizia il lungo periodo di un’esistenza nascosta, scandita dall’adempimento fedele e generoso dei doveri quotidiani (cfr. Mt 2,1-23; Lc 2,39-52). Appare di un’eloquenza profetica il fatto che Gesù, sin dalla nascita, sia stato posto di fronte a minacce e pericoli. Già come Bambino Egli è «segno di contraddizione». Un’eloquenza profetica riveste inoltre il dramma dei bambini innocenti di Betlemme, uccisi per ordine di Erode e diventati, secondo l’antica liturgia della Chiesa, partecipi della nascita e della passione redentrice di Cristo. Attraverso la loro «passione», essi completano «quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24). Nei Vangeli dell’infanzia, dunque, l’annuncio della vita, che si compie in modo mirabile nell’evento della nascita del Redentore, viene fortemente contrapposto alla minaccia alla vita, una vita che abbraccia nella sua interezza il mistero dell’Incarnazione e della realtà divino-umana di Cristo.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  I santi innocenti “senza saperlo, muoiono per Cristo... Non parlano ancora e già confessano Cristo! Non sono ancora capaci di affrontare la lotta, perché non muovono ancora le membra e tuttavia già portano trionfanti la palma della vittoria” (San Quodvultus).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Padre misericordioso,
che ci hai nutriti alla tua mensa,
apri ai tuoi fedeli i tesori della redenzione
nella festa dei santi Innocenti, che senza parlare
confessarono col sangue il tuo Figlio, Salvatore del mondo.
Per Cristo nostro Signore.