16 DICEMBRE 2019

Lunedì della III Settimana di Avvento

Nm 24,2-7. 15-17b; Sal 24 (25); Mt 21,23-27

Colletta: Ascolta, o Padre, la nostra preghiera, e con la luce del tuo Figlio che viene a visitarci rischiara le tenebre del nostro cuore. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

Gli atti insoliti, l’ingresso messianico a Gerusalemme, espulsione dei mercanti, guarigioni miracolose, compiuti da Gesù sopra tutto nel tempio, preoccupano eccessivamente le guide spirituali di Israele. Comprendono che sono “gesti profetici”, ma vogliono sapere chi dà autorità a Gesù per compiere simili atti. Gesù risponde con una domanda, Se mi rispondete, anch’io vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?. I capi dei sacerdoti e gli anziani comprendono che la domanda è una trappola e per paura non rispondono dicendo: Non lo sappiamo. A tanta ipocrisia, Gesù risponde indignato: Neanch’io vi dico con quale autorità faccio queste cose. Se avessero avuto nel cuore un po’ di umiltà, e si sarebbero sforzati di essere un po’ più leali ... ma ormai sul quadrante di Dio sta per scoccare l’ora di Gesù!

Dal Vangelo secondo Matteo 21,23-27: In quel tempo, Gesù entrò nel tempio e, mentre insegnava, gli si avvicinarono i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo e dissero: «Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?». Gesù rispose loro: «Anch’io vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, anch’io vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?». Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: “Dal cielo”, ci risponderà: “Perché allora non gli avete creduto?”. Se diciamo: “Dagli uomini”, abbiamo paura della folla, perché tutti considerano Giovanni un profeta». Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo». Allora anch’egli disse loro: «Neanch’io vi dico con quale autorità faccio queste cose».

Gesù entrò nel tempio… - Basilio Caballero (Il Vangelo di ogni giorno): La prima lettura ci mostra Balaam, profeta e indovino pagano, che ha davanti a sé l’accampamento degli israeliti di passaggio per il deserto verso la terra promessa. E invece di maledire, come gli aveva chiesto il timoroso re di Moab, sotto lo Spirito del Signore e suo malgrado Balaam profetizza che una figura regale, uscita da Giacobbe, regnerà su Israele e su numerosi popoli. Profezia che la tradizione ecclesiale ha inteso, nel suo pieno significato, come riferita al messia Gesù, la cui venuta aspettiamo.
Il vangelo, a sua volta, ci dice che nessuno è tanto sordo alla parola di Dio come chi non vuole udirla. A questa classe di persone appartenevano le guide del popolo che, mentre Gesù insegna nel tempio di Gerusalemme, gli chiedono: Con quale autorità fai questo? Si riferivano, senza dubbio, non solo all’insegnamento, ma anche a fatti immediatamente precedenti, come l’ingresso messianico di Gesù a Gerusalemme e, soprattutto, la purificazione del tempio con la cacciata dei mercanti e dei cambiavalute.
A questi guardiani dell’ortodossia Gesù replicò: «Vi farò anch’io una domanda e se voi mi risponderete, vi dirò anche con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?». «Non lo sappiamo», risposero, per non compromettersi né con la loro stessa incredulità né con la gente, che reputava Giovanni un profeta. La tattica di Gesù aveva dato dei risultati, e il suo successivo silenzio fu molto eloquente (cfr. Mc 11,27ss).
Se Gesù definì Giovanni  più di un profeta» e «il più grande tra i nati di donna», e i capi religiosi dicono di non sapere chi era, come potrebbero ammettere chi è Cristo e la sua autorità divina? Qui si concretizza l’affermazione del maestro sul sapere dei semplici. Come Dio, neanche lui rivela i suoi segreti a quelli che non si aprono con umiltà al mistero dall’alto. Il suo rifiuto di rispondere sulla sua autorità equivale a negare tacitamente quella dei suoi esaminatori, che inoltre si accusano da soli. Come responsabili religiosi dovrebbero saper distinguere i profeti veri da quelli falsi.

Con quale autorità fai queste cose? - Felipe F. Ramos: Una delle cose che maggiormente impressionarono i contemporanei di Gesù fu la sua autorità, l’autorità con cui parlava e insegnava: «insegnava come colui che ha autorità, e non come gli scribi». I dottori della legge, quando insegnavano, cercavano il giusto fondamento al loro insegnamento nella legge o nella tradizione. Gesù parlava e insegnava senza bisogno di basarsi su appoggi di nessun genere. La sua parola aveva l’autorità in se stessa: «Avete inteso che fu detto agli antichi... ma io vi dico...» (v. le antitesi del c. 5).
La stessa autorità espressa nelle sue parole si manifesta nella sua condotta. La domanda dei sommi sacerdoti e degli anziani ebbe come base l’autorità dimostrata da Gesù nella sua entrata nella città santa e nella scena della purificazione del tempio. La sua condotta rivelava così straordinarie pretese messianiche - implicite soprattutto nella corrispondente citazione della Scrittura - che i massimi responsabili del tempio gli impongono di giustificare il suo modo di agire.
La risposta di Gesù comincia, secondo lo stile delle discussioni rabbiniche, con una controdomanda. Non si tratta necessariamente di un’evasione, ma di una risorsa letteraria per arrivare alla vera risposta. Gesù non li interroga sulla loro dottrina, ma sul battesimo di Giovanni. Dov’è la forza della replica di Gesù? Semplicemente nel fatto che conduce i suoi avversari a riconoscere la loro ignoranza. Ma il riconoscimento della propria ignoranza non è cercato per se stesso: diremmo piuttosto che la risposta di Gesù è il classico argomento che va dal minore al maggiore, come se dicesse: Se non avete saputo scoprire chi era Giovanni, molto meno riuscirete a sapere chi sono io. Giovanni, infatti, era un profeta e «più che un profeta» (11,9-10). E se questo fu Giovanni, chi è Gesù? In questa occasione, il silenzio fu più eloquente che il più brillante discorso. D’altra parte Gesù non rivela il mistero della sua persona a chi ha già fatto in anticipo la sua composizione del luogo, per inquadrarlo secondo il suo modo di pensare. Egli si fa conoscere solo ai «piccoli».

Gesù depositario dell’autorità - F. Amiot e P. Grelot: 1. Gesù depositario dell’autorità. - Durante la sua vita pubblica Gesù appare come il depositario di un’autorità (exousìa) singolare: predica con autorità (Mt 7,29 par.), ha il potere di rimettere i peccati (Mt 9,6ss), è padrone del sabato (Mc 2,28 par.). Potere completamente religioso d’un inviato divino, dinanzi al quale i Giudei si pongono la domanda essenziale: con quale autorità fa queste cose (Mt 21,23 par.)? A tale domanda Gesù non risponde direttamente (Mt 21,27 par.). Ma i segni che compie spingono gli spiriti verso una risposta: egli ha potere (exousia) sulla malattia (Mt 8,8s par.), sugli elementi (Mc 4,41 par.), sui demoni (Mt 12,28 par.). La sua autorità si estende dunque fino alle cose politiche; in questo campo il potere che egli ha rifiutato di avere da Satana (Lc 4,5ss), lo ha ricevuto in realtà da Dio. Tuttavia di questo potere egli non approfitta tra gli uomini. Mentre i capi di questo mondo dimostrano il loro potere esercitando il dominio, egli sta in mezzo ai suoi come colui che serve (Lc 22,25ss). Egli è maestro e signore (Gv 13,13); ma è venuto per servire e per dare la propria vita (Mc 10,42ss par.). E perché egli assume in tal modo la condizione di schiavo, ogni ginocchio si piegherà alla fine dinanzi a lui (Fil 2,5-11). Per questo, una volta risuscitato, potrà dire ai suoi che «gli è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra» (Mt 28,18)
2. Gesù dinanzi alle autorità terrene. - L’atteggiamento di Gesù nei confronti delle autorità terrene è tanto più significativo. Dinanzi alle autorità giudaiche egli rivendica la sua qualità di figlio dell’uomo (Mt 26,63s par.), base d’un potere attestato dalle Scritture (Dan 7,14). Dinanzi all’autorità politica la sua posizione è più sfumata. Egli riconosce la competenza propria di Cesare (Mt 22,21 par.); ma ciò non gli impedisce di vedere l’ingiustizia dei rappresentanti dell’autorità (Mt 20,25; Lc 13,32). Quando compare dinanzi a Pilato, non ne discute il potere, di cui conosce l’origine divina; ma mette in rilievo l’iniquità di cui è vittima (Gv 19,11), e rivendica a se stesso il regno che non è di questo mondo (Gv 18,36). Se dunque lo spirituale e il temporale, ciascuno a modo suo, derivano per principio da lui, egli nondimeno consacra la loro netta distinzione e fa capire che, per il momento, il temporale conserva nel suo ordine una vera consistenza; questo stato di cose durerà fino al suo ritorno in gloria. I due poteri si confondevano nella teocrazia ebraica; non sarà più così nella Chiesa.

Il battesimo di Giovanni da dove veniva? - G. R. Beasley-Murray: Giovanni battezzava «nel deserto predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati» (Mc 1,4), in attesa del battesimo in Spirito e fuoco, che avrebbe inaugurato il messia (Mt 3,11). Is 4,2-5 e Ml 3,1-5 fanno cenno a questo battesimo messianico, simbolo di un giudizio universale che unificherà il popolo eletto e lo preparerà al regno di Dio, annienterà i malvagi sicché non avranno parte alcuna al regno. Il battesimo di Giovanni aveva due punti focali: esprimeva il «ritorno» a Dio (penitenza, conversione) mediante il quale il giudeo si vedeva integrato al popolo penitente ed era reso sicuro del perdono e della purificazione. Inoltre quel battesimo era un anticipo del battesimo messianico in Spirito e fuoco, e offriva la speranza di far parte del regno di Dio (cf. nei particolari Beasley-Murray, Taufe, 53ss), E un’ipotesi credibile che Giovanni concepisse le lustrazioni di una comunità come quella degli esseni quale strumento perché si adempissero le profezie veterotestamentarie circa la purificazione degli ultimi giorni che doveva precedere la grande purificazione messianica. E pure possibile che il rito fosse per lui paragonabile ai gesti simbolici che già i profeti avevano manifestato prima di lui.

Vipere, ciechi, sepolcri imbiancati ... e dovremmo aggiungere anche ipocriti. Certo non è un rosario che fa onore ai farisei, ma in verità non sono così ciechi così come si crede. Sono astuti, perfidi, maligni, attaccati alla roba, ma un po’ di sale nella zucca ce l’hanno! Sanno che Giovanni Battista è un profeta, sanno comprendere le sue parole, e sanno che il mandante è Dio. Ma altro è saperlo, altro è accettare le sue parole. Significava rivoltare la loro vita come un calzino, significava mettersi in fila con le prostitute per ricevere il battesimo di penitenza, e mescolarsi con i pubblicani e tendere la mano per chiedere la grazia del perdono. Sono superbi, altezzosi, orgogliosi, caparbi fino alla follia, ed è un punto d’onore a guidarli nella loro cieca e sterile ipocrisia. Loro, che si reputavano la “sapienza incarnata”, le guide indefettibili del popolo d’Israele, avrebbero dovuto ammettere con umiltà e sincerità, dinanzi a un rabbi sconosciuto, e per loro anche un po’ maleducato, di avere sbagliato tutto. Di essersi ingannati e di avere ingannato, o meglio di sapere dove stava la verità, ma di non averla voluta accettare perché attaccati alle lodi del popolo, agli applausi, e sopratutto alla roba e al denaro delle vedove e degli ingenui che finivano nelle loro reti di ragni avidi di ricchezza e di gloria. Non lo sappiamo, ma lo sapevano, e Gesù prende gusto nel non rispondere alla loro domanda. Così il Cielo si comporta con le anime melliflue, deboli, untuose, ipocrite; si chiude, non risponde, e quando succede tutto questo è l’inizio della catastrofe, l’anima incomincia a morire, e piano va a finire negli abissi infernali. In verità, e questa è la lezione che oggi possiamo ricavare dal brano evangelico, all’Inferno ci va chi ostinatamente si chiude alla Luce, chi vigliaccamente dice di non sapere chi è Gesù, e così sbarrare la propria vita al dono della sua misericordia, del suo amore, del suo perdono!

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** All’Inferno ci va chi ostinatamente si chiude alla Luce, chi vigliaccamente dice di non sapere chi è Gesù, e così sbarrare la propria vita al dono della sua misericordia, del suo amore, del suo perdono!
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Signore Dio nostro,
il sacramento che abbiamo ricevuto
ci rinnovi nella mente e nel cuore,
perché possiamo comunicare alla tua vita immortale.
Per Cristo nostro Signore.