15 DICEMBRE 2019

III Domenica di Avvento

Is 35,1-6a.8a.10; Sal 145 [146]; Gc 5,7-10; Mt 11,2-11

Colletta: Sostieni, o Padre, con la forza del tuo amore il nostro cammino incontro a colui che viene e fa’ che, perseverando nella pazienza, maturiamo in noi il frutto della fede e accogliamo con rendimento di grazie il vangelo della gioia. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

I Lettura - Il profeta Isaia, rivolgendosi a gente sfiduciata e stanca, annuncia la venuta del Signore che sarà apportatrice di liberazione, di gioia e di consolazione. Tutto questo si compirà nella pienezza dei tempi, quando il Verbo di Dio si farà carne e verrà ad abitare in mezzo agli uomini. La speranza di Isaia così diventa realtà.

Salmo - Vieni, Signore, a salvarci. Questo salmo, che era recitato la mattina dai Giudei, invita i santi d’Israele a confidare solo in Dio, non “nei potenti, in un uomo che non può salvare”. Un invito che si rinnoverà “nella pienezza del tempo” (Gal 4,4) e vi troverà compiutezza. Solo in Gesù v’è salvezza, solo in lui vi è sorgente di bontà e di misericordia. È beato chi confida nel “nome di Gesù”, è beato chi ha la sua speranza in Lui. Gesù con la sua morte e risurrezione ha reso giustizia agli oppressi, ha dato il pane della vita eterna agli affamati, ha liberato gli uomini dalla schiavitù del mondo, del peccato, della morte. Ha ridato la vista ai ciechi e ha donato loro la luce della fede perché potessero contemplare “quello cose che occhio mai vide” (cfr. 1Cor 2,9). Egli protegge i forestieri, li accoglie nella sua casa e li fa sedere alla sua mensa: “voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù” (Ef 2,19-20).
Il regno del Signore dura in eterno, ed egli regna in eterno, per sempre, di generazione in generazione, nei cuori di coloro che lo hanno accolto nella fede.

II Lettura - Le lettere di Giacomo, Giuda e Pietro, insieme alle tre lettere di Giovanni, sono dette tradizionalmente «lettere cattoliche», cioè non dirette ad una singola comunità, ma a tutti i fedeli sparsi nel mondo. Giacomo, nel brano odierno, esorta i credenti alla perseveranza sull’esempio dell’agricoltore che «aspetta con costanza il prezioso frutto della terra». Una esortazione rivolta soprattutto ai discepoli del Cristo che vivono in mezzo alle ingiustizie e ai soprusi. Non bisogna aver paura perché Gesù è alle porte: il Signore venendo nella gloria eliminerà tutte le ingiustizie alle quali andavano soggetti i cristiani, apportando in questo modo il cambiamento tanto sospirato e agognato dagli umili e dai poveri.

Vangelo - Il Battista invia a Gesù un’ambasceria per chiedergli di manifestare la sua vera identità. Gesù ha modo così di annunciare il compimento nella sua persona di quanto era stato preconizzato nella sacra Scrittura per bocca dei profeti (Is 35,5-6; 61,1): ora, nella «pienezza del tempo» (Gal 4,4), nella persona di Gesù, Dio umanato (cfr. Gv 1,14), sono giunti i giorni del Messia in quanto Egli è colui che doveva venire.

Dal Vangelo secondo Matteo 11,2-11: In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».

Giovanni, che era in carcere … Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): vv. 2-3 II Battista, come informa Giuseppe Flavio, era stato imprigionato nella fortezza del Macheronte, che sorgeva su una collina presso la sponda nord-orientale del Mar Morto. L’espressione opere del Cristo, che allude all’attività taumaturgica di Gesù descritta nei cc. 8-9, è molto significativa. La domanda del Battista, «Sei tu colui che viene?», si riferisce al giudice escatologico da lui predetto (3,11-12). Il titolo ho erchómenos, il venturo, forse coniato dallo stesso Giovanni (cf. Gnilka, I, pp. 593-594), in seguito può aver assunto un significato più pregnante in senso messianico, in connessione con i passi biblici del «Figlio dell’uomo» che viene sulle nubi del cielo (Dn 7,13) e del re mansueto «che viene nel nome del Signore» (Sal 118,26), cavalcando un asino (Zc 9,9). Nell’Antico Testamenti era prevista la venuta di Dio nel giorno del giudizio (Ml 3,1; Zc 14,5); ma non si può escludere che il Battista abbia attribuito l’attuazione del giudizio finale al Messia (cf. 3,11-12).
vv. 4-5 Gesù risponde al Battista in modo velato, riferendosi alle sue opere, cioè ai miracoli. La sua attività taumaturgica in favore dei malati, l’annuncio del vangelo ai poveri, cioè alla gente umile e di nessun conto, rappresentavano l’adempimento delle profezie (Is 29,18-19; 35,5-6; 61,1), concernenti il tempo messianico. In altre parole, Gesù dà una risposta positiva a Giovanni: egli era il Messia atteso, che attuava la volontà del Padre, espressa nella Scrittura. Però la sua vera identità non corrispondeva alla concezione messianica politica dei giudei e neppure a quella giudiziaria annunciata dal Battista. Egli era stato inviato per proclamare la salvezza, dandone inizio con la sua attività taumaturgica e con l’annunzio del vangelo ai poveri. Non rientrava nella sua missione la funzione di giudice inappellabile, che doveva sterminare i peccatori prima dell’avvento del regno di Dio. Di qui l’invito a Giovanni a comprendere come il suo comportamento, ispirato alla bontà e alla misericordia, fosse in sintonia con le predizioni profetiche e quindi con la volontà di Dio.
v. 6 «Beato è colui che non si scandalizza in me». Con questa beatitudine il Precursore è sollecitato a modificare la sua immagine del Messia e ad accogliere con fede il messianismo umile che stava attuando Gesù, senza prendere motivo di scandalo dalla sua misericordia e longanimità. Il macarismo tuttavia come è formulato, assume una valenza di carattere generale. La concezione distorta che ne avevano i giudei, impediva ad essi di riconoscere Gesù come Messia perché scandalizzati dal suo comportamento, tanto difforme dalle loro attese terrene e trionfalistiche.

Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Il popolo attendeva la venuta di un nuovo profeta perché comunemente si credeva che le profezie si erano estinte con la morte del profeta Malachia, l’ultimo profeta, dell’Antico Testamento. Giovanni è il profeta atteso da Israele il quale ha assolto pienamente il ruolo di precursore che gli assegnava Malachia (cfr. Mt 17,10-13). Gesù, esaltando la persona di Giovanni, lo dichiara «più che un profeta», in quanto precursore di colui che dà inizio agli ultimi tempi. Matteo nel ricordare la venuta del Precursore cita l’Antico Testamento, o meglio opera una combinazione di Malachia (3,1) ed Esodo (23,20), con una significativa variazione: il «dinanzi a me», riferito a Dio, diviene qui «dinanzi a te», riferito a Gesù: il messaggero ora non precede Dio, ma Gesù, in questo modo il testo di Matteo diventa una chiara allusione alla divinità del Figlio di Maria (Mc 6,3). Se Giovanni il Battista è il più grande «fra i nati da donna», «il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui»: praticamente, il dono di entrare nel regno dei cieli è un privilegio incommensurabilmente così grande che perfino il «più piccolo» lì, è più grande del figlio di Zaccaria ed Elisabetta. Ancora una volta nell’annuncio del Cristo prevale il messaggio dell’amore. Gesù non è il giudice irato con la scure in mano: lui che è venuto primariamente per i poveri, gli indigenti, gli ultimi, i bisognosi di tutto si è «rivestito di debolezza» (Eb 5,2) per attrarre a sé gli uomini con i legami dell’amore. L’amore è l’unica via per entrare nel regno dei cieli, e lì il più grande sarà colui che in terra avrà amato più degli altri.

Rallegratevi, il Signore viene a salvarci!: Il salmo responsoriale (Sal 145 [146]) dà una spiegazione assai soddisfacente a tanta gioia: il Signore, viene a salvarci. Una gioia che penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla (Eb 4,12): «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino» (Fil 4,5). Il Signore, viene a salvarci: Egli è già venuto nel mistero della carne e verrà ancora una seconda volta «nella gloria per dare compimento al trionfo definitivo del bene sul male che, come il grano e la zizzania, saranno cresciuti insieme nel corso della storia» (CCC 681). La venuta del Signore riempie il cuore dell’uomo di gioia e soprattutto di perenne stabilità nella fede, perché Egli, il Signore, rimane fedele per sempre: «Questa parola è degna di fede: Se moriamo con Gesù Cristo, con lui vivremo; se perseveriamo, con lui anche regneremo; se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà; se siamo infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso» (2Tm 2,11-13). Una gioia che sazia la fame di giustizia e di verità: infatti, Egli dà il pane agli affamati. Dà agli esausti l’Eucarestia, il pane della vita. Una gioia che fa assaporare ai prigionieri la libertà. È la missione di Cristo, proclamata solennemente a Nazaret (Lc 4,18-19). Una liberazione piena che raggiunge l’uomo nella sua totalità, nella carne liberandolo dalla morte, ma soprattutto nello spirito liberandolo dalla schiavitù di Satana: «passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo» (Atti 11,38). Una liberazione che sradica le opere della carne (Gal 5,19), perché la «salvezza portata da Cristo è guarigione dalle piaghe interiori... e nell’ambito interiore e individuale schiavitù è anche la lussuria, la gelosia, l’avarizia e tutti gli altri vizi. La salvezza è una “scarcerazione” di tutti coloro che sono tenuti prigionieri da questi tirannici padroni dell’anima. Ma schiavitù sono anche il dubbio, il timore, la sfiducia, il sospetto, lo scrupolo irragionevole» (Vincenzo Raffa). Gioia che sfocia nella visione: il Signore ridona la vista ai ciechi. Egli è la luce del mondo ed è venuto nel mondo per dare la vista ai ciechi e a toglierla a chi crede di vedere. Questa la gioia profonda che scaturisce dalla salvezza donata agli uomini dal Figlio di Dio: la gioia di scoprire di essere bisogni di tutto, perché poveri di tutto; la gioia di scoprire che l’uomo ha bisogno soltanto del suo Amore: vieni, Signore Gesù, vieni a salvarci!

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!” (Vangelo).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Dio, nostro Padre,
la forza di questo sacramento
ci liberi dal peccato
e ci prepari alle feste ormai vicine.
Per Cristo nostro Signore.