10 DICEMBRE 2019
Martedì II Settimana di Avvento
Is 40,1-11; Sal 95 (96); Mt 18,12-14
Colletta: O Dio, che hai fatto giungere ai confini della terra il lieto annunzio del Salvatore, fa’ che tutti gli uomini accolgano con sincera esultanza la gloria del suo Natale. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
La parabola della “pecora perduta e ritrovata” vuole mettere in evidenza la sollecitudine del Pastore, la sua misericordia, e la sua gioia nel riabbracciare chi è ritornato nella casa del Padre, anche dopo una vita spesa nei stravizi. Possiamo pensare anche che la parabola è rivolta ai pastori d’Israele, i farisei, e gli scribi, i quali più che preoccuparsi dei “lontani”, ben spesso si scandalizzano del fatto che Gesù riceva i peccatori e mangi addirittura con loro. La pecora perduta e ritrovata è causa di gioia per chi la ritrova, così è gioia per il Padre che è nei cieli: la fonte di questa gioia è la sua volontà salvifica: Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda. I piccoli sono i discepoli di Gesù, soprattutto i piccoli che sono deboli o infermi, facilmente influenzabili o instabili nel loro percorso cristiano. Il cuore del buon Pastore è rivolto con molta attenzione e grande premura verso quest’ultimi, naturalmente senza trascurare coloro che stanno al sicuro nel recinto dell’ovile.
Dal Vangelo secondo Matteo 18,12-14: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita? In verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda».
Se un uomo ha cento pecore... - Ortensio Da Spinetoli (Matteo): La pecora che ha perso i contatti con l’ovile rischia di smarrirsi e di perdersi per sempre, per questo il pastore, per non lasciarla finire in un precipizio, abbandona tutto e si mette alla sua ricerca. Matteo toglie ogni equivoco mediante l’osservazione finale che pone in bocca a Gesù: «Non vuole il Padre vostro che è nei cieli che uno solo di questi piccoli si perda» (v. 14). Il comportamento del buon pastore coincide con quello di Dio, ma rispecchia contemporaneamente il modo di agire di Cristo. Forse lo scopo primitivo della parabola, indipendentemente dall’attuale contesto sinottico (Matteo Luca), era illustrare la misericordia del salvatore, espressione della sollecitudine divina, verso gli uomini bisognosi di grazia e di perdono. Gli evangelisti hanno calato l’esempio e l’insegnamento di Gesù, la vera buona novella, nel loro ambiente ecclesiale, spingendo l’attenzione della comunità o dei pastori verso quanti hanno più bisogno di salute: i pagani e i peccatori. La gioia che il pastore prova per il ritrovamento della pecora smarrita fa passare in second’ordine ogni altra cosa, persino ciò che possedeva e non era andato perduto. La frase del v. 13 - si rallegra più per una che per novantanove - non indica l’indifferenza per i sudditi fedeli, ma sottolinea la necessità e l’urgenza della ricerca della pecora smarrita, la sollecitudine verso le anime più deboli e più bisognose. Si tratta di una situazione espressa in termini paradossali, più che matematici. Colui che è in pericolo ha una precedenza assoluta a essere soccorso.
In verità io vi dico: se riesce a trovare la pecora smarrita, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite - La gioia è il filo conduttore della parabola della “pecora smarrita”. Un elemento, essenziale nella riflessione su questa parabola, è la consapevolezza della “gioia di Dio”: In verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite.
L’atteggiamento di Dio si manifesta, dunque, non nel rimprovero, che sarebbe giusto e motivato secondo la logica umana, ma nella gioia per la pecora ritrovata. Una gioia grande che esplode nel cuore del Padre che è nei cieli.
Con l’incarnazione di Cristo (Cf. Gv 1,14) la gioia invade la faccia della terra come un fiume in piena (Cf. Lc 2,10). In Gesù le promesse si adempiono e il regno di Dio viene inaugurato nella gioia. Giovanni Battista esulta di gioia nel grembo della madre all’avvicinarsi del Redentore (Cf. Lc 1,44): è l’amico dello sposo che esulta di gioia alla voce dello sposo (Cf. Gv 3,28). Maria esprime i suoi sentimenti nel Magnificat che è il canto della gioia per eccellenza: «Vicina al Cristo, essa ricapitola in sé tutte le gioie, essa vive la gioia perfetta promessa alla Chiesa: Mater plena sanctae laetitiae, e giustamente i suoi figli qui in terra, volgendosi verso colei che è madre della speranza e madre della grazia, la invocano come la causa della loro gioia: Causa nostrae laetitiae» (Paolo VI).
Per il cristiano, la gioia è il frutto dello Spirito Santo (Cf. Gal 5,22) ed è l’elemento fondante del regno di Dio (Cf. Rom 14,17). La gioia cristiana nasce dalla carità (Cf. 1Cor 13,6), dalla fede (Cf. 1Pt 1,3-9; Fil 1,25), dalla speranza e dalla preghiera perseverante (Cf. Rom 12,12; 15,13). Si irrobustisce nelle prove e nelle persecuzioni procurando una quantità smisurata ed eterna di gloria (Cf. 2Cor 4,17). Pur «afflitto da varie prove», il cristiano esulta di «indicibile gioia» (1Pt 1,8); vive nella gioia e la manifesta a tutti gli uomini: «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! » (Fil 4,4-5).
La gioia cristiana diventa così per gli uomini il segno reale della venuta del Signore e del suo perdono.
Annuncio della gioia cristiana nell’Antico testamento - Gaudete in Domino: Per essenza, la gioia cristiana è partecipazione spirituale alla gioia insondabile, insieme divina e umana, che è nel cuore di Gesù Cristo glorificato. Non appena Dio Padre comincia a manifestare nella storia il disegno della sua benevolenza, che aveva prestabilito in Cristo, per darvi compimento nella pienezza dei tempi , questa gioia si annuncia misteriosamente in seno al Popolo di Dio, per quanto la sua identità non sia svelata.
Così Abramo, nostro Padre, scelto in vista del compimento futuro della Promessa, e sperando contro ogni speranza, riceve, fin dalla nascita del figlio Isacco, le primizie profetiche di questa gioia. Essa si trova come trasfigurata attraverso una prova di morte, quando questo figlio unico gli è restituito vivo, prefigurazione della risurrezione di Colui che deve venire: il Figlio unico di Dio promesso al sacrificio redentore. Abramo esultò al pensiero di vedere il Giorno del Cristo, il Giorno della salvezza: egli «lo vide e se ne rallegrò».
La gioia della salvezza si dilata e si comunica poi lungo il corso della storia profetica dell’antico Israele. Essa si mantiene e rinasce indefettibilmente attraverso tragiche prove dovute alle infedeltà colpevoli del popolo eletto e alle persecuzioni esterne che vorrebbero staccarlo dal suo Dio. Questa gioia, sempre minacciata e risorgente, è propria del popolo nato da Abramo.
Si tratta sempre di una esperienza esaltante di liberazione e di restaurazione - per lo meno annunziate - che ha per origine l’amore misericordioso di Dio verso il suo popolo prediletto, in favore del quale egli compie, per pura grazia e potenza miracolosa, le promesse dell’Alleanza. Tale è la gioia della Pasqua mosaica, che sopravvenne come figura della liberazione escatologica che sarebbe stata realizzata da Gesù Cristo nel contesto pasquale della nuova ed eterna Alleanza. Si tratta ancora della gioia veramente attuale, cantata in varie riprese dai salmi, quella di vivere con Dio e per Dio. Si tratta infine e sopratutto della gioia gloriosa e soprannaturale, profetizzata in favore della nuova Gerusalemme, liberata dall’esilio ed amata di un amore mistico da Dio stesso. Il senso ultimo di questo traboccare inaudito dell’amore redentore non potrà apparire che nell’ora della nuova Pasqua e del nuovo Esodo. Allora il Popolo di Dio sarà condotto, nella morte e nella risurrezione del Servo sofferente, da questo mondo al Padre, dalla Gerusalemme simbolica di quaggiù alla Gerusalemme di lassù: «Dopo essere stata derelitta, odiata, senza che alcuno passasse da te, io farò di te l’orgoglio dei secoli, la gioia di tutte le generazioni ... Come un giovane sposa una vergine, così ti sposerà il tuo architetto; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te».
La gioia della nuova vita - A. Ridouard e M. F. Lacan: La parola di Gesù ha prodotto il suo frutto: coloro che credono in lui hanno in sé la pienezza della sua gioia (Gv 17,13); la loro comunità vive in una letizia semplice (Atti 2,46) e la predicazione della buona novella è dovunque fonte di grande gioia (8,8); il battesimo riempie i fedeli di una gioia che viene dallo Spirito (13,52; cfr. 8,39; 13,48; 16, 4) e che fa cantare gli apostoli nelle prove peggiori (16,23 ss).
1. Le fonti della gioia spirituale. - Di fatto la gioia è un frutto dello Spirito (Gal 5, 22) ed una nota caratteristica del regno di Dio (Rom 14,17). Non si tratta dell’entusiasmo passeggero che la parola suscita e la tribolazione distrugge (cfr. Mc 4,16), ma della gioia spirituale dei fedeli che, nella prova, sono di esempio (Tess l,6s) e che, con la loro generosità gioiosa (2Cor 8,2; 9,7), con la loro perfezione (2Cor 13,9), con la loro unione (Fil 2,2), con la loro docilità (Ebr 13,17) e la loro fedeltà alla verità ( Gv 4; 3Gv 3s), sono presentemente e saranno nel giorno del Signore la gioia dei loro apostoli (1Tess 2,19s). La carità che rende i fedeli partecipi della verità (1Cor 13,6) procura loro una gioia costante che è alimentata dalla preghiera e dal ringraziamento incessanti (1Tess 5,16; Fil 3,1; 4,4ss). Come rendere grazie al Padre di essere trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, senza essere nella gioia (Col 1,11ss)? E la preghiera assidua è fonte di gioia perché la anima la speranza e perché il Dio della speranza vi risponde colmando di gioia il fedele (Rom 12,12; 15,13). Pietro lo invita quindi a benedire Dio con esultanza; la sua fede, che l’afflizione mette alla prova, ma che è sicura di ottenere la salvezza, gli procura una gioia ineffabile che è la pregustazione della gloria (1Piet 1,39).
2. La testimonianza della gioia nella prova. - Ma questa gioia non appartiene che alla fede provata. Per essere nella letizia al momento della rivelazione della gloria di Cristo, bisogna che il suo discepolo si rallegri nella misura in cui partecipa alle sue sofferenze (1Piet 4,13). Come il suo maestro, egli preferisce in terra la croce alla gioia (Ebr 12,2); accetta con gioia di essere spogliato dei suoi beni (Ebr 10, 34), considerando come gioia suprema l’essere messo alla prova in tutti i modi (Giac 1,2). Per gli apostoli, come per Cristo, la povertà e la persecuzione portano alla gioia perfetta. Nel suo ministero apostolico, Paolo gusta questa gioia della croce, che è un elemento della sua testimonianza: «afflitti», i ministri di Dio sono «sempre lieti» (2Cor 6,10). L’apostolo sovrabbonda di gioia nelle sue tribolazioni (2Cor 7,4); con un disinteresse totale egli si rallegra purché Cristo sia annunciato (Fil 1,17s) e trova la sua gioia nel soffrire per i suoi fedeli e per la Chiesa (Col 1,24). Invita persino i Filippesi a condividere la gioia che egli avrebbe nel versare il proprio sangue come suprema testimonianza di fede (Fil 2,17s).
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda». (Vangelo)
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
O Signore, il pegno della redenzione
che abbiamo ricevuto in questo sacramento,
ci sostenga nel cammino della vita terrena
e ci guidi alla gloria futura.
Per Cristo nostro Signore.
che abbiamo ricevuto in questo sacramento,
ci sostenga nel cammino della vita terrena
e ci guidi alla gloria futura.
Per Cristo nostro Signore.