8 Novembre 2019

Venerdì XXXI Settimana T. O.

Rm 15,14-21; Sal 97 (98); Lc 16,1-8

Colletta: Dio onnipotente e misericordioso, tu solo puoi dare ai tuoi fedeli il dono di servirti in modo lodevole e degno; fa’ che camminiamo senza ostacoli verso i beni da te promessi. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Scaltro, ladro, l’amministratore infedele non è un modello da imitare. Infatti, il messaggio è svelato nel versetto 8: I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. È una palese accusa che viene mossa ai quei cristiani ignavi per le cose del Cielo, furbi, scaltri manipolatori, ottimi arrampicatori per le cose della terra. Quindi non è un invito ad essere disonesti nell’amministrazione dei beni altrui, Gesù non invita i suoi discepoli ad essere ladri o infedeli, ma ad farsi scaltri per i veri valori, pronti a tutto pur di guadagnare il Cielo. Un simile consiglio-monito lo troviamo in Mt 10,16 dove i discepoli sono invitati ad essere furbi come i serpenti: “Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”. 

Dal Vangelo secondo Luca 16,1-8: In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce».   

Carlo Ghidelli (Luca): Diceva anche ai discepoli: notiamo che cambia l’indicazione degli uditori. - un uomo ricco ... un amministratore ...: ecco i protagonisti della parabola. Circa l’amministratore va subito rilevato il modo con cui Luca lo caratterizza al v. 8, lo chiama infatti ingiusto (T.G.: oikonomos tés adikias: con un genitivo qualificativo alla ma­niera ebraica). Nello stesso versetto si indica il motivo per cui egli può essere preso come modello: per la sua abilità, perché ha agito con scaltrezza (phronimàs: sentiamo già il contrasto con il ricco insensato - aphrȏn - di Luca 12,20s), e questa sua scaltrezza consiste appunto nel fatto che ha saputo prevedere e provvedere per il momento nel quale i suoi beni finiranno (v. 9 dove il verbo greco eklipé richiama ancora una volta il tesoro indefettibile - anekleipton - di Lc 12,33). Nessuno scandalo, dunque, nel fatto che qui si loda un amministratore infedele, ingiusto, come più tardi si paragonerà Dio ad un giudice senza giustizia (18,1-8), oppure come in Mt 10,16 i discepoli sono invitati ad essere furbi come i serpenti.

Un uomo ricco aveva un amministratore… - Luke Timothy Johnson (Il Vangelo di Luca): I guai dell’amministratore sono scaturiti dal modo in cui egli usava del patrimonio, i beni che appartengono a un «altro», il suo padrone. Sperpera gli averi che gli sono stati affidati da gestire (16,1). Quando il padrone lo viene a sapere scoppia la crisi. Il padrone esige un rendiconto (16,2). Il carattere di crisi che l’aneddoto presenta è essenziale. È la capacità mostrata dall’amministratore nell’affrontare questa crisi, una vera «visitazione del Signore», che costituisce il punto essenziale della storiella, il motivo dell’ammirazione del padrone e l’esempio proposto ai discepoli. La scaltrezza dell’amministratore consiste nel continuare a sperperare gli averi affidatigli fino all’ultima occasione (riducendo gli importi dovuti al padrone)! Ma questa volta lo sperpero si trasforma da un rifiuto (la perdita del suo posto: «non puoi più essere amministratore», v. 2) a un’accoglienza (da parte dei nuovi amici dai quali si aspetta un quid pro quo, v. 4).
Delle due morali conseguenti direttamente dalla parabola, la prima si rifà alla scaltrezza della trovata dell’amministratore: i figli della luce dovrebbero essere altrettanto circospetti nella loro risposta alla «visitazione del loro Signore». La seconda morale deriva dalla prima, ma questa volta ha per oggetto l’uso delle ricchezze. Come l’amministratore ha sfruttato la ricchezza (altrui!) per assicurarsi un futuro per se stesso, così dovrebbero fare i discepoli. Tenendo presente il linguaggio usato altrove da Luca circa la necessità di assicurarsi un tesoro nei cieli (12,33), non c’è dubbio che questo detto si riferisce all’elemosina.

Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare - Rosanna Virgili (Vangelo secondo Luca): Curiosamente, dell’economo della nostra parabola non si dice, all’inizio, la verità, ma si denuncia solo l’accusa che grava su di lui di sperperare i beni del padrone (v. 1). Del resto si sa che l’amministratore di un latifondo avesse carta bianca e che fosse fuori da ogni controllo da parte del padrone. Il padrone si basa, insomma, su delle dicerie. Ma non decide in base a quelle e prima vuole sentire la versione dell’uomo d i cui aveva avuto fiducia, e per questo lo chiama a rendiconto. Ma la reazione che l’uomo ha dinanzi alle parole del padrone che gli commina di licenziarlo se i conti non fossero tornati, danno al lettore la prova della sua disonestà. Si spaventa a tal punto da vedersi già sulla strada e da questo deriva la sua creatività istintiva per rimediare alla disgrazia prima che accada.
L’intelligenza dell’amministratore sta nel capire che, a questo punto, deve giocare con la vera ricchezza, quella morale. Così egli dimostra di non essere un amministratore sciocco che assolutizza la ricchezza materiale e che, al momento opportuno, è pronto a rinunciare alla sua parte nel debito che alcuni avevano verso il suo padrone. Di fatto egli elimina da esso la percentuale che spettava a lui! Sentire le parole di un economo che, senza remore, dice ai debitori: invece di cento scrivi cinquanta, o scrivi ottanta (vv. 6-7) potrebbe sembrare un orrore dal punto di vista dell’onestà economica, ma l’elogio imprevedibile che il padrone gli rivolge proprio per quello che considera “scaltrezza” e non furto, induce a fare una riflessione adeguata. Innanzitutto c’è che l’amministratore si riconosce debitore nei confronti del suo padrone e si mette, dunque, sullo stesso piano di chi lo era formalmente e che doveva pagare a lui il suo debito. L’amministratore scende dal suo scranno di creditore e si siede a terra insieme ai debitori: tutti sono debitori verso un unico padrone. Bisogna, dunque, pagare il debito. Non è facile per i debitori che non ne abbiano piena disponibilità. Allora occorre aiutarli e l’amministratore lo fa mettendoci del suo. Il debito verrà pagato al padrone e i debitori saranno sgravati di un prezzo insostenibile. Essi se ne ricorderanno quando avrà bisogno del loro aiuto. L’astuzia (frónimos) sta nel manipolare i beni materiali al fine di creare beni spirituali: condividere il debito per creare crediti di amore, crediti morali e spirituali. Essa consiste in un atto di giudizio intelligente (frónesis) sulla vera ricchezza di cui la ricchezza materiale può diventare teatro, occasione, palestra. È l’unico motivo positivo che Luca concede alla ricchezza materiale, che, in tutti gli altri casi, è vista come un grande ostacolo alla sequela ed alla fedeltà a Gesù (cf. 18,24).

Il discepolo deve rifiutare ogni ricorso all’astuzia - Roberto Tufariello: Pur essendo il centro delle più subdole e delittuose manovre da parte dei suoi avversari, che gli tendono tranelli (Mt 22,15), Gesù, il cui sguardo divino penetra sin nelle pieghe più riposte di quelle anime tenebrose (Mt 9,4; Mc 3,16; Lc 11,17; Gv 2,23-25), rifiuta ogni ricorso non solo all’astuzia, ma anche a quello che il mondo chiama «politica» (Gv 5,9-47), affermando sempre serenamente e apertamente il suo pensiero (Mt 26,55). Egli è veramente «l’Amen di Dio» (2Cor 1,19), «il Santo, il Verace» (Ap 3,14). D’altronde egli sa che i suoi nemici non potranno nuocergli (Mt 12,14-15; Gv 7,44-53; 8,24-39) finché non sarà giunta la sua «ora», che è anche l’ora dell’apparente trionfo del potere delle tenebre (Lc 22,53), ma è - e ciò conta per lui al di sopra di ogni altra cosa - l’ora prestabilita dal Padre (Gv 13,1; 14,29-31; 17,1).
Come i Bambini - Dai propri discepoli Cristo esige un atteggiamento conforme al suo. Le astute manovre dei «figli di questo mondo» potranno anche servir loro di esempio, purché sappiano trasferirle nella prospettiva del regno dei cieli, come documenta la parabola lucana dell’astuto amministratore (leggere Lc 16,1-8).
Nella consapevolezza di essere figli del Padre celeste, che si prende cura anche delle creature più infime (Mt 10,29-31), i cristiani non devono escogitare astute manovre per controbattere le insidie dei loro nemici, ma possono vivere con la serena e limpida fiducia del fanciullo, che gioca ignaro nella casa paterna, anche se l’antico Avversario e i suoi adepti congiureranno contro di loro sino alla fine dei tempi (Mt 7,15; Lc 10,3). È questa la vera prudenza «che viene dall’alto» e che si oppone a quella «terrena, carnale, diabolica», come afferma la lettera di Giacomo (3,15). La prima lettera di Pietro perciò esorta i destinatari in questi termini: «Deposta dunque ogni malizia e ogni frode e ipocrisia, le gelosie e ogni maldicenza, come bambini appena nati bramate il puro latte spirituale, per crescere con esso verso la salvezza» (2,1-2). E l’apostolo Paolo, da autentico discepolo di Cristo, può offrire ai cristiani di Corinto la testimonianza di una condotta limpida: «... al contrario, rifiutando le dissimulazioni vergognose, senza comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma annunziando apertamente la verità, ci presentiamo davanti a ogni coscienza, al cospetto di Dio» (2Cor 4,2).

Papa Francesco (Angelus 22 settembre 2019): La parabola contenuta nel Vangelo di questa domenica (cfr Lc 16,1-13) ha come protagonista un amministratore furbo e disonesto che, accusato di aver dilapidato i beni del padrone, sta per essere licenziato. In questa situazione difficile, egli non recrimina, non cerca giustificazioni né si lascia scoraggiare, ma escogita una via d’uscita per assicurarsi un futuro tranquillo. Reagisce dapprima con lucidità, riconoscendo i propri limiti: «Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno» (v. 3); poi agisce con astuzia, derubando per l’ultima volta il suo padrone. Infatti, chiama i debitori e riduce i debiti che hanno nei confronti del padrone, per farseli amici ed essere poi da loro ricompensato. Questo è farsi amici con la corruzione e ottenere gratitudine con la corruzione, come purtroppo è consuetudine oggi.
Gesù presenta questo esempio non certo per esortare alla disonestà, ma alla scaltrezza. Infatti sottolinea: «Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza» (v. 8), cioè con quel misto di intelligenza e furbizia, che ti permette di superare situazioni difficili. La chiave di lettura di questo racconto sta nell’invito di Gesù alla fine della parabola: «Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne» (v. 9). Sembra un po’ confuso, questo, ma non lo è: la “ricchezza disonesta” è il denaro – detto anche “sterco del diavolo” – e in generale i beni materiali.
La ricchezza può spingere a erigere muri, creare divisioni e discriminazioni. Gesù, al contrario, invita i suoi discepoli ad invertire la rotta: “Fatevi degli amici con la ricchezza”. È un invito a saper trasformare beni e ricchezze in relazioni, perché le persone valgono più delle cose e contano più delle ricchezze possedute. Nella vita, infatti, porta frutto non chi ha tante ricchezze, ma chi crea e mantiene vivi tanti legami, tante relazioni, tante amicizie attraverso le diverse “ricchezze”, cioè i diversi doni di cui Dio l’ha dotato. Ma Gesù indica anche la finalità ultima della sua esortazione: “Fatevi degli amici con la ricchezza, perché essi vi accolgano nelle dimore eterne”. Ad accoglierci in Paradiso, se saremo capaci di trasformare le ricchezze in strumenti di fraternità e di solidarietà, non ci sarà soltanto Dio, ma anche coloro con i quali abbiamo condiviso, amministrandolo bene, quanto il Signore ha messo nelle nostre mani.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza.” (Vangelo).
Nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
 
Continua in noi, o Dio, la tua opera di salvezza,
perché i sacramenti che ci nutrono in questa vita
ci preparino a ricevere i beni promessi.
Per Cristo nostro Signore.