7 Novembre 2019

Giovedì XXXI Settimana T. O.

Rm 14,7-12; Sal 26 (27); Lc 15,1-10

Colletta: Dio onnipotente e misericordioso, tu solo puoi dare ai tuoi fedeli il dono di servirti in modo lodevole e degno; fa’ che camminiamo senza ostacoli verso i beni da te promessi. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Le due parabole sono rivolte ai farisei e agli scribi i quali si scandalizzavano di Gesù perché accoglieva i peccatori e mangiava con loro. Le parabole mettono in relazione il perdono e la gioia, la conversione e la festa: come la moneta smarrita o la pecora perduta sono causa di gioia per chi le ritrova, così in cielo il Padre, con i suoi angeli, esulta di gioia quando uno dei suoi figli ritorna a lui. Due racconti per cantare l’amore gratuito di Dio, incommensurabile e senza condizioni.

Dal Vangelo secondo Luca 15,1-10: In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

Le due parabole lucane sono precedute da una breve introduzione che suggerisce il motivo per il quale Gesù volle raccontarle: «I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”» (v. 2). L’albagia, la mormorazione, il sentirsi giusti dinanzi a Dio e agli uomini (Cf. Lc 18,9), il considerare i peccatori gente dannata perché senza legge (Gv 7,49), erano atteggiamenti tipici dei Farisei a motivo del loro freddo legalismo con il quale avevano cancellato dai loro cuori e dal loro insegnamento la fedeltà, la giustizia, la misericordia (Cf. Mt 23,23-24).
Il Vangelo di Matteo (9,10-13) può suggerire il tema delle tre parabole lucane: «[Gesù] Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: “Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?”. Udito questo, disse: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori”». Quindi la misericordia, ma nel Vangelo di Luca vi è un di più ed è la gioia di Dio che ha ritrovato quello che era perduto; la gioia di aver ritrovato il figlio traviato; il gioioso peso della pecora smarrita che sulle spalle del pastore ritorna a casa: la gioia è un tema onnipresente nel Vangelo di Luca (1,47; 2,10; 6,23; 10,20.21; 15,5.7; etc.).
Che tutti i pubblicani e i peccatori facessero ressa attorno alla persona di Gesù per ascoltarlo è un’iperbole, ma sottintende e mette in evidenza in modo mirabile che ormai in Cristo è stato abbattuto il muro che era frammezzo e divideva l’umanità (Cf. Ef 2,14): «Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo» (Ef 2,13).

Carlo Ghidelli (Luca): È comunemente ammesso che il cap. 15 di Luca si pone al centro della grande sezione 9,51-19,28 (il viaggio verso Gerusalemme), la quale, a sua volta, sta al centro del terzo vangelo. Dal punto di vista contenutistico abbiamo qui anche la quintessenza del messaggio evangelico di Luca, ed è proprio per questo suo tipico messaggio che egli viene chiamato l’evangelista della misericordia. È molto importante cogliere la struttura letteraria del capitolo; - Vi è innanzitutto l’introduzione (vv. 1-3) che ci permette di situare le parabole stesse; - la prima parabola (vv. 4-7), quella della pecorella smarrita; - la seconda (vv. 8-10), quella della dramma perduta: queste due parabole sono certamente tra loro gemelle; - la terza parabola (vv. 11-32), quella del figlio prodigo, la quale però può essere utilmente suddivisa in due parti: 11-24: il figlio prodigo (con finale nel v. 24) e 25-32: il fratello maggiore (con finale, simile alla prima, nel v. 32). Notiamo che l’unico parallelo sinottico lo troviamo in Mt 18,12-14 per la pecorella smarrita, in un contesto che riguarda l’organizzazione dei discepoli e della comunità (in riferimento ai piccoli della comunità Matteo mette in rilievo la cura dei pastori); totalmente diverso è il punto di vista di Luca che sottolinea la gioia del ritrovamento (emerge così un altro tema caro a Luca, la gioia).
versetti 1-10: Queste due prime parabole vanno studiate insieme, dato il loro strettissimo legame: lo stesso interrogativo iniziale, le stesse forme verbali, lo stesso vocabolario, lo stesso tema di fondo, in particolare il procedimento antitetico: «perdere-trovare» (usato in senso materiale nelle prime due parabole e in senso morale nella terza; anche da questo dipende l’unità di tutto il capitolo).

La gioia della nuova vita - A. Ridouard e M.-F. Lacan: La parola di Gesù ha prodotto il suo frutto: coloro che credono in lui hanno in sé la pienezza della sua gioia (Gv 17,13); la loro comunità vive in una letizia semplice (Atti 2,46) e la predicazione della buona novella è dovunque fonte di grande gioia (8, 8); il battesimo riempie i fedeli di una gioia che viene dallo Spirito (13,52; cfr. 8,39; 13,48; 16,34) e che fa cantare gli apostoli nelle prove peggiori (16,23ss).
1. Le fonti della gioia spirituale. - Di fatto la gioia è un frutto dello Spirito (Gal 5,22) ed una nota caratteristica del regno di Dio (Rom 14,17). Non si tratta dell’entusiasmo passeggero che la parola suscita e la tribolazione distrugge (cfr. Mc 4,16), ma della gioia spirituale dei fedeli che, nella prova, sono di esempio (1Tess l,6s) e che, con la loro generosità gioiosa (2Cor 8,2; 9,7), con la loro perfezione (2Cor 13,9), con la loro unione (Fil 2,2), con la loro docilità (Ebr 13,17) e la loro fedeltà alla verità (2Gv 4; 3Gv 3s), sono presentemente e saranno nel giorno del Signore la gioia dei loro apostoli (1Tess 2,19s). La carità che rende i fedeli partecipi della verità (1Cor 13,6) procura loro una gioia costante che è alimentata dalla preghiera e dal ringraziamento incessanti (1Tess 5,16; Fil 3,1; 4,4ss). Come rendere grazie al Padre di essere trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, senza essere nella gioia (Col 1, 11 ss)? E la preghiera assidua è fonte di gioia perché la anima la speranza e perché il Dio della speranza vi risponde colmando di gioia il fedele (Rom 12,12; 15,13). Pietro lo invita quindi a benedire Dio con esultanza; la sua fede, che l’afflizione mette alla prova, ma che è sicura di ottenere la salvezza, gli procura una gioia ineffabile che è la pregustazione della gloria (1Piet 1,39).
2. La testimonianza della gioia nella prova. - Ma questa gioia non appartiene che alla fede provata. Per essere nella letizia al momento della rivelazione della gloria di Cristo, bisogna che il suo discepolo si rallegri nella misura in cui partecipa alle sue sofferenze (1Piet 4,13). Come il suo maestro, egli preferisce in terra la croce alla gioia (Ebr 12,2); accetta con gioia di essere spogliato dei suoi beni (Ebr 10,34), Considerando come gioia suprema l’essere messo alla prova in tutti i modi (Giac 1,2). Per gli apostoli, come per Cristo, la povertà e la persecuzione portano alla gioia perfetta. Nel suo ministero apostolico, Paolo gusta questa gioia della croce, che è un elemento della sua testimonianza: «afflitti», i ministri di Dio sono «sempre lieti» (2Cor 6,10). L’apostolo sovrabbonda di gioia nelle sue tribolazioni (2 Cor 7,4); con un disinteresse totale egli si rallegra purché Cristo sia annunciato (Fil 1,17s) e trova la sua gioia nel soffrire per i suoi fedeli e per la Chiesa (Col 1,24). Invita persino i Filippesi a condividere la gioia che egli avrebbe nel versare il proprio sangue come suprema testimonianza di fede (Fil 2,17s).
3. La partecipazione alla gioia eterna. - Ma la prova avrà fine e Dio vendicherà il sangue dei suoi servi giudicando Babilonia che se n’è ubriacata; ci sarà allora letizia in cielo (Apoc 18,20; 19,1-4) dove si celebreranno le nozze dell’agnello; coloro che vi prenderanno parte, renderanno gloria a Dio nella letizia (19,7ss). Sarà la manifestazione della gioia perfetta che è sin d’ora il retaggio dei figli di Dio; perché lo Spirito, che è stato dato loro, fa sì che essi abbiano comunione con il Padre e con il suo Figlio Gesù Cristo (1Gv 1,2ss; 3,1s.24). 

Gioia nelle tribolazioni - Giuseppe Barbaglio: Già in At 5,41 leggiamo che gli apostoli, denunciati al sinedrio, gioirono per gli oltraggi subiti a causa di Cristo. Si noti bene: nessuna perversione masochistica, cioè nessun amore per la sofferenza in quanto tale, ma adesione così totale al Signore e alla causa del suo vangelo da pagare con gioia ogni prezzo richiesto (cf. anche At 13,52). Però è soprattutto Paolo che nel NT ha abbinato paradossalmente gioia e sofferenza. Rievocando l’evangelizzazione di Tessalonica, ricorda come i credenti della comunità macedone avessero accolto la parola dell’apostolo «in mezzo a mille tribolazioni con la gioia dello Spirito santo» (1Ts 1,6). Egli stesso, apostolo «crocifisso», vive con l’animo pieno di gioia. Ai cristiani di Corinto confessa: «Afflitti, ma sempre lieti» (2Cor 6,10). Imprigionato e in attesa dell’esito del processo che potrebbe anche essere di condanna capitale, lungi dal cadere in preda alla depressione, vuole che gli amati filippesi condividano la sua gioia: «E anche se il mio sangue deve essere versato in libagione sul sacrificio e sull’offerta della vostra fede, sono contento, e ne godo con tutti voi. Allo stesso modo anche voi godetene e rallegratevi con me» (Fil 2,17-18). Avversari personali approfittavano della sua forzata inattività per moltiplicare gli sforzi di evangelizzazione? Egli passa sopra al loro spirito di rivalità e di rivalsa e gioisce: «purché in ogni maniera, per ipocrisia o per sincerità, Cristo venga annunziato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene» (Fil 1,18). Sempre dal carcere così scrive ai colossesi: «Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la chiesa» (1,24).
Insistente è poi la sua esortazione ai credenti di Filippi: «Per il resto, fratelli miei, state lieti nel Signore» (3,1); «Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi» (4,4). Eppure la chiesa filippese soffriva non poco per l’ambiente ostile. Il suo appello però non scade a facile raccomandazione moralistica, perché esce dal carcere in cui egli si trova relegato per causa di Cristo. In proposito si veda anche Gc 1,2: «Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove». Commentando la lettera ai Filippesi, K. Barth ha osservato che la gioia di Paolo è «un ostinato “malgrado tutto”». Ma si deve anche dire che egli gioisce proprio per questo «tutto»: la sua gioia è causata proprio dalle sofferenze, non solo esiste nonostante le sofferenze. Con la necessaria precisazione che si tratta di sofferenze da lui sopportate per il Signore e per le sue comunità. In realtà, egli gioisce di poter fedelmente compiere la sua missione, anche a costo della vita. Non lo si ritenga però un eroe secondo l’ideale greco che esaltava la virtù dell’andreia («virilità»). Paolo riconosce senza mezzi termini che all’origine della gioia sta lo Spirito. In particolare, afferma che la gioia è frutto dello Spirito (Gal 5,22), è gioia dello Spirito (1Ts 1,6), gioia nello Spirito (Rm 14,17). D’altra parte, l’apostolo conosce anche le gioie più sane e normali della vita. Egli gioisce nel ricevere buone notizie dalla comunità di Corinto: «Egli (Tito) infatti ci ha annunziato il vostro desiderio, il vostro dolore, il vostro affetto per me, cosicché la mia gioia si è ancora accresciuta» (2Cor 7,7). Sperimenta una grande gioia quando ha la prova tangibile che è rifiorita la premurosa attenzione degli amici filippesi per la sua persona (Fil 4,10). Ha evitato di portare a compimento un viaggio, già programmato, a Corinto perché aveva previsto che i corinzi gli avrebbero causato sofferenza, proprio loro da cui dipende la sua gioia (2Cor 2,2-3). In ogni modo il rapporto appare bilaterale: egli, da parte sua, contribuisce alla gioia dèi corinzi (2Cor 1,24).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. (Vangelo)  
Nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
 
Continua in noi, o Dio, la tua opera di salvezza,
perché i sacramenti che ci nutrono in questa vita
ci preparino a ricevere i beni promessi.
Per Cristo nostro Signore.