6 Novembre 2019

Mercoledì XXXI Settimana T. O.

Rm 13,8-10; Sal 111 (112); Lc 14,25-33

Colletta: Dio onnipotente e misericordioso, tu solo puoi dare ai tuoi fedeli il dono di servirti in modo lodevole e degno; fa’ che camminiamo senza ostacoli verso i beni da te promessi. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Il grande numero di gente che segue Gesù potrebbe essere una tentazione, nel senso che Gesù possa sentirsi appagato e per timore di perdere tale consenso mitigare il suo messaggio di conversione. Tutt’altro, conoscendo cosa c’è nel cuore dell’uomo (Gv 2,24), Gesù voltandosi disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Non vuole scoraggiare la folla numerosa che andava con lui, ma vuole ricordare a chi lo segue che al di là delle guarigioni, dei miracoli e della fame saziata vi sono scelte profonde da operare per mettersi sul suo cammino. Il linguaggio usato da Gesù è molto forte, e i termini adoperati dall’evangelista Luca “denotano atteggiamenti o comportamenti non emozioni. Ciò che Luca intende non sono i sentimenti che uno prova verso i genitori e la famiglia, ma il modo di comportarsi quando si stratta di scelte che interessano il Regno” (Luke Timothy Johnson, Il Vangelo di Luca).
Le due parabole vogliono suggerire che il discepolato cristiano non è un’avventura, ma una risoluzione che deve essere preceduta da una serie riflessione. Chi comprende che non è disposto ad impegnare tutta la sua vita per il Vangelo e non ha volontà o coraggio di distaccarsi da tutto ciò che gli è caro non deve neppure incominciare. Una volta “che si è scelto occorre procedere fedelmente: un fallimento procurato da leggerezza, o indecisione, da nostalgie o da altri futili motivi, sarebbe imperdonabile” (Carlo Ghidelli, Luca).

Dal Vangelo secondo Luca 14,25-33: In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

Un amore totale - Basilio Caballero (La Parola per Ogni Giorno): Gesù continua la sua salita verso Gerusalemme, dove lo aspetta il destino del messia mansueto. In questo contesto dinamico del cammino, acquistano pieno significato le massime che indirizza a tutti: chi non pospone gli affetti familiari, chi non porta la sua croce dietro di me e chi non rinuncia a tutti i suoi beni, « non può essere mio discepolo » (perché « non è degno di me », dice in Mt 10,34ss). Poi illustra queste regole con due brevi parabole, esclusive di Luca. Davanti a un impegno di tale valore come la sequela di Cristo, non si può procedere impulsivamente e alla leggera, ma con la seria responsabilità di chi soppesa i mezzi alla sua portata prima di costruire una casa o dare battaglia. Gesù chiede apertamente al suo discepolo di staccarsi dalla famiglia e dai beni materiali, perché entrambi i settori possono condizionare, ostacolare e, a volte, impedire la sequela. In altre occasioni, oltre al primato sugli affetti familiari e sui beni, reclamò anche la priorità sullo stesso io e la stessa vita del discepolo. Così, chi vuole conservare la propria vita per sé, la perde; invece, chi la perde per lui, la trova. Paradossi che sono più che un semplice gioco di parole. « Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo ». L’espressione « portare la croce » ci ricorda inevitabilmente la crocifissione, metodo d’esecuzione orientale che i romani applicavano a schiavi e ribelli. La loro legge proibiva di applicarla ai cittadini romani. L’uso convenzionale della croce come simbolo cristiano rende difficile a noi, credenti attuali, di capire la durezza di queste parole quando Gesù le pronunciò. Ma egli aggiunse: « dietro di me », intendendo che egli ci precede con il suo esempio. Ci devono essere ragioni molto forti e convincenti perché Gesù si arrischi a proporre questo programma. San Paolo lo spiega così: « Certa è questa parola: Se moriamo con lui, vivremo anche con lui; se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo » (2Tm 2,11s). Da questa prospettiva di vita piena con Cristo non risultano negative, dure e difficili da assimilare le regole che Gesù dà nel vangelo di oggi. L’abnegazione e il dolore, la croce e la morte non hanno valore in se stesse, perché sono solamente mezzi per raggiungere un fine. È il loro scopo di acquistare la vita che dà loro la consistenza, il significato e l’efficacia di un amore pieno.

La croce, contrassegno del discepolo di Gesù - Giuseppe Barbaglio: Nei vangeli sinottici ricorre due volte la formula «prendere (o portare) la propria croce». In realtà, essa esprime una precisa esigenza di comportamento qualificativa del discepolato di Cristo. Nella triplice tradizione sinottica troviamo la prima testimonianza del detto di Cristo: «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8,34; cf. Mt 16,24). Come si vede, prendere la propria croce costituisce l’indispensabile condizione per poter «andare dietro» a Gesù. In altre parole, la sequela di Cristo esige piena disponibilità a percorrere la via crucis, cioè a far getto della propria vita. Dunque un estremo coinvolgimento della persona. È con indubbia originalità che Luca interpreta la parola di Cristo sulla linea della quotidianità del vivere: portare la croce non è un momento eroico finale, ma coinvolge tutta la vita del discepolo ponendola sotto il segno della passione. Per questo aggiunge il determinativo «ogni giorno».
Il secondo passo evangelico in cui ricorre la nostra espressione appartiene invece alla fonte dei detti di Gesù (sigla Q), da cui hanno attinto Matteo (10,38) e Luca (14,27). Con probabilità è proprio Luca che ci ha conservato il tenore originario della parola di Cristo: «Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo». Portare la croce e dunque fattore costitutivo dell’essere de discepolo di Gesù. La formulazione matteana invece attenua questo radicalismo, mettendo l’accento sull’essere degno discepolo di Cristo. Emerge qui il pragmatismo del primo evangelista che, pastore preoccupato della coerenza della comunità cristiana, prende di petto i credenti della sua chiesa esortandoli a vivere da autentici discepoli del Signore che si qualificano per le loro «buone opere» (Mt 5,16).
Ma qual è l’origine della formula? Il giudaismo del tempo ignorava questa espressione. Con probabilità, essa risale alla comunità cristiana primitiva che, interprete del radicalismo di Gesù espresso nel detto immediatamente precedente («Se uno viene a me e non odia suo padre, sui madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Lc 14,26; cf. Mt 10,37), ha inteso affermare la necessaria partecipazione dei credenti alla via crucis del Signore.

La croce, segno del cristiano - J. Audusseau e X. Léeon-Dufour: 1. La croce di Cristo. - Rivelando che i due testimoni erano stati martirizzati «là dove Cristo fu crocifisso» (Apoc 11,8), l’Apocalisse identifica la sorte dei discepoli e quella del maestro. Lo esigeva già Gesù: «Chi vuole seguirmi, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mi 16,24 par.). Il discepolo non deve soltanto morire a se stesso: la croce che porta è il segno che egli muore al mondo, che ha spezzato tutti i suoi legami naturali (Mt 10,33-39 par.), che accetta la condizione di perseguitato, a cui forse si toglierà la vita (Mt 23,34). Ma nello stesso tempo essa è pure il segno della sua gloria anticipata (cfr. Gv 12,26).
2. La vita crocifissa. - La croce di Cristo, che, secondo Paolo, separava le due economie della legge e della fede, diventa nel cuore del cristiano la frontiera tra i due mondi della carne e dello spirito. Essa è la sua sola giustificazione e la sua sola sapienza. Se si è convertito, è stato perché ai suoi occhi furono dipinti i tratti di Gesù in croce (Gal 3,1). Se è giustificato, non è per le opere della legge, ma per la sua fede nel crocifisso; infatti egli stesso è stato crocifisso con Cristo nel battesimo, cosicché è morto alla legge per vivere a Dio (Gal 2,19) e non ha più nulla a che vedere con il mondo (6,14). Egli pone quindi la sua fiducia nella sola forza di Cristo, altrimenti si mostrerebbe «nemico della croce» (Fil 3, 18).
3. La croce, titolo di gloria del cristiano. - Nella vita quotidiana del cristiano, «l’uomo vecchio è crocifisso» (Rom 6, 6), cosicché è pienamente liberato dal peccato. Il suo giudizio è trasformato dalla sapienza della croce (1Cor 2). Mediante questa sapienza egli, sull’esempio di Gesù, diventerà umile ed «obbediente fino alla morte, ed alla morte di croce» (Fil 2,1-8). Più generalmente, egli deve contemplare il «modello» del Cristo, che «sul legno ha portato le nostre colpe nel suo corpo, affinché, morti alle nostre colpe, viviamo per la giustizia» (1Piet 2,21-24). Infine, se è vero che deve sempre temere l’apostasia, che lo porterebbe a «crocifiggere nuovamente per proprio conto il Figlio di Dio» (Ebr 6,6), egli può tuttavia esclamare fieramente con Paolo: «Per me, non sia mai ch’io mi glori d’altro all’infuori della croce del nostro Signore Gesù Cristo, grazie al quale il mondo è per me crocifisso, ed io lo sono per il mondo» (Gal 6, 14).

Liberi dall’angoscia - Catechismo degli Adulti n. 151: Gesù, quando sente dire che Erode Antipa vuole ucciderlo, come ha già fatto con Giovanni Battista, non cambia strada: «Andate a dire a quella volpe: Ecco, io scaccio i demòni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno avrò finito. Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io vada per la mia strada» (Lc 13,32-33).
I discepoli sono chiamati a dar prova dello stesso coraggio. Non temano di essere anticonformisti e diversi dagli altri, di essere insultati e perseguitati; non si lascino sedurre dalla strada larga, dove cammina la maggioranza, o dai falsi maestri, che spacciano dottrine alla moda. Rinuncino all’idolatria del proprio io; mettano da parte le paure e gli interessi immediati, diano la loro vita e prendano la croce, come il condannato che esce dal tribunale e si avvia al luogo del supplizio, in mezzo alla folla che lo schernisce e lo maledice: «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà» (Mc 8,34-35).
n. 817 «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8,34). Il discepolo di Gesù deve assumere il suo atteggiamento filiale di obbedienza al Padre e al divino disegno di salvezza, che lo ha condotto alla croce e alla risurrezione. «Pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5,8-9). Camminare dietro a Cristo significa camminare nella carità, avere i suoi medesimi sentimenti, amare come egli ha amato, fino a dare la vita per i fratelli: «Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli... Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità» (1Gv 3,16-18). Ma è impossibile amare come Cristo ha amato, se egli stesso non ama in noi; è impossibile andargli dietro, se egli stesso non viene a vivere dentro di noi. Ebbene, comunicandoci lo Spirito Santo, egli entra nella nostra esistenza e la vive con noi, sì che ogni cristiano può dire come Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). Egli perciò non rimane un modello esteriore; anzi, viene interiorizzato in virtù dello Spirito.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.” (Vangelo).
Nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
 
Continua in noi, o Dio, la tua opera di salvezza,
perché i sacramenti che ci nutrono in questa vita
ci preparino a ricevere i beni promessi.
Per Cristo nostro Signore.