26 Novembre 2019

Martedì XXXIV Settimana T. O.

 Dn 2,31-45; Salmo Responsoriale da Dn 3,57-61; Lc 21,5-11

Colletta: Ridesta, Signore, la volontà dei tuoi fedeli perché, collaborando con impegno alla tua opera di salvezza, ottengano in misura sempre più abbondante i doni della tua misericordia. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Il tempio di Gerusalemme fu distrutto una prima volta, nel 587 a. C., dal re di Babilonia, Nabucodonosor, nel corso della guerra condotta contro l’Egitto per la conquista della Siria. Di queste vicende rimangono testimonianze archeologiche. Sono state rinvenute delle iscrizioni di tali avvenimenti su tavolette ritrovate nella zona dove sorgeva Babilonia e in numerosi reperti archeologici trovati a Gerusalemme.
Il tempio era stato costruito dal re Salomone intorno al 960 a. C. per essere “la casa del Signore”. La sacra Scrittura fa un elenco dettagliato dell’incalcolabile materiale utilizzato per la costruzione del tempio (1Cr 22,1ss; 1Re 6,1ss).
Il tempio sorgeva sulla spianata dove oggi si trovano le moschee di Al Aqsa e di Omar.
Fu ricostruito nel 515 a.C., dopo che Ciro, re dei Persiani, conquistata Babilonia, permise agli ebrei di lasciare questa città, dove li aveva deportati Nabucodonosor.
Il tempio fu arricchito e abbellito in epoca romana, chi mise mano a questa opera di ricostruzione e di abbellimento fu Erode il Grande. Il Vangelo di Giovanni ricorda i “quarantasei anni” che furono necessari per portare a termine i lavori (Gv 2,26). Il tempio fu distrutto definitivamente dall’imperatore Tito nel luglio del 70 d.C., per soffocare la rivolta degli ebrei contro Roma. Nel 73 fu soffocata nel sangue un nuova insurrezione, ma la distruzione divenne ancora più radicale sessant’anni dopo, quando l’imperatore Adriano rase completamente al suolo Gerusalemme in seguito all’ennesima sommossa.
L’imperatore Adriano, con sadica magnanimità, concesse una singolare punizione a quegli ebrei che, pur di aver salva la vita, accettarono di rimanere sul posto come schiavi. L’imperatore romano accordava loro il diritto di poter piangere i loro cari davanti il muro in rovina del tempio distrutto, un giorno all’anno, il nove del mese di Ab. Questo ordine era stato concepito come un monito, per far ricordare loro la sconfitta, il massacro dei loro padri, ma si trasformò in seguito per tutti gli Ebrei in un culto, un luogo simbolico dove piangere, pregare, ma soprattutto attendere il giorno del castigo divino su chi aveva oppresso e cancellato dalla loro terra un popolo.

L’evangelista Luca che aveva già parlato del ritorno glorioso di Gesù alla fine dei tempi (Lc 17,22-37), qui, tratta della rovina di Gerusalemme (21,5-7) e dei segni premonitori che precedono la venuta gloriosa del Figlio dell’uomo (21,8-19). Nel racconto della distruzione della città santa e del suo tempio, si può cogliere anche un’allusione alla fine del mondo. Come la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio segna la fine di una nazione con le sue leggi, le sue tradizioni e la nascita di nuovi assetti politici-religiosi, così la venuta del Signore contrassegna la fine di un mondo vecchio e la comparsa di nuovi cieli e una terra nuova (2Pt 3,13). Per il cristiano, la venuta del Signore è giorno di gioia, compimento delle promesse e liberazione piena. Poiché il giorno del Signore verrà nell’ora che non immaginiamo, il discepolo fedele, non lasciandosi trascinare da false sicurezze, deve prepararsi alla venuta del Redentore con la preghiera, la vigilanza, la penitenza e la fiducia nella salvezza che Dio gli offre.

Dal Vangelo secondo Luca 21,5-11: In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. 

Verranno giorni... Il racconto lucano si differenzia sostanzialmente da quello marciano in quanto Luca, a differenza di Marco, rimuove la cornice apocalittica e distingue la distruzione di Gerusalemme dai segni che precedono la manifestazione gloriosa del Figlio dell’uomo.
Le parole di Gesù si avvereranno quando il malgoverno romano e i fermenti religiosi provocheranno la gravissima rivolta che si protrasse dal 66 al 70 per la quale fu necessario l’intervento delle legioni romane comandate da Tito il quale, sedata la rivolta, distrusse la città e il tempio.
Alla profezia sulla rovina del tempio segue il discorso sui segni premonitori la fine del mondo.
Il discorso è un compendio di fatti e avvenimenti comuni che attraversano quotidianamente la storia dell’uomo: proprio per la loro abituale ripetitività i discepoli non devono dare la stura ad ambigue interpretazioni. Innanzi tutto l’apparizione di falsi profeti poi l’esplosione di guerre e rivoluzioni.
Forse il testo lucano si riferisce ai disordini seguiti alla morte di Nerone. La storia umana sarà sempre piena di apparizioni di sedicenti profeti e di orrende carneficine che fatalmente accompagneranno i passi del mondo fino alla sua totale consumazione.
A questi fatti seguiranno terremoti, carestie e pestilenze, accompagnati da fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo: anche se questi eventi precederanno la fine del mondo essa però non è prossima.
I cristiani saranno coinvolti in questi luttuosi avvenimenti, ma non si faranno travolgere dalla paura, resteranno in fervorosa attesa della venuta di Gesù, il quale giudicherà l’umanità.

Badate di non lasciarvi ingannare - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): versetto 8 Per quanto concerne i segni precursori della rovina di Gerusalemme l’autore del terzo vangelo segue fondamentalmente il racconto di Marco; egli tuttavia vi aggiunge dei nuovi elementi e vi apre delle nuove prospettive; per una spiegazione più estesa dei dati comuni ai tre sinottici rinviamo il lettore al commento dei testi di Mt., 21,4-14; Mc., 13,4-13; le presenti note illustreranno i tratti propri di Luca. Il tempo è imminente. Non seguiteli; all’apparizione dei falsi Messia, l’evangelista aggiunge anche quella dei falsi profeti che proclamano l’imminenza della fine del mondo attuale («il tempo è imminente»; cf. Lc., 17,23). «Non seguiteli»; il Maestro, ammonendo di non dar ascolto a queste false predizioni, avverte gli uditori di non attendere entro un tempo prossimo la fine del «secolo» presente, fine che coincide con l’avvento del regno glorioso del Messia. Già da questa prima precisazione si nota come l’evangelista tenda a chiarire le affermazioni di Marco.
versetto 9 Di guerre e di insurrezioni; in luogo dell’espressione: «rumori di guerre», che ricorre in Matteo e Marco, si ha: «insurrezioni»; il termine indica: sommossa, rivoluzione, guerra civile. Bisogna che prima ciò avvengama non (seguirà) subito la fine; con una frase elaborata l’autore precisa le prospettive indicate oscuramente nei testi paralleli di Matteo e di Marco. L’evangelista con le espressioni: «prima» e «non subito» mette a fuoco il senso del discorso escatologico assicurando innanzitutto il lettore che la fine non è immediata.
versetti 10-11 Con il linguaggio proprio del genere apocalittico – genere che ricorre ad immagini imponenti e di carattere cosmico — Luca descrive i segni precursori della fine. I due verss., secondo la prospettiva indicata dall’evangelista, si riferiscono alla fine di Gerusalemme, anche se la descrizione che essi presentano ha una portata cosmica (cf. verss. 25-26); infatti subito dopo, cioè al vers. 12, i segni di cui si parla sono messi in relazione con le prove riservate ai discepoli; i due verss. quindi vanno considerati come una spiegazione più particolareggiata del vers. 9. I segni sono descritti con una particolare grandiosità ed imponenza di immagini; l’evangelista infatti ha in proprio le seguenti espressioni: grandi («terremoti», cioè: violenti terremoti); pestilenze; fatti terrificanti (= fenomeni spaventosi) e nel cielo segni portentosi; tali segni celesti alludono a eclissi di sole o di luna o ad altri fenomeni, come apparizioni di comete.

Non sarà lasciata pietra su pietra: Giovanni Paolo II (Omelia, 19 Novembre 1995): [...] il brano del Vangelo tratto da Luca ha un carattere escatologico. In esso, però, non è preponderante il tema della fine del mondo, ma l’annuncio della distruzione di Gerusalemme. “Verranno giorni – dice Gesù – in cui di tutto quello che ammirate non resterà pietra su pietra che non venga distrutta” (Lc 21, 6). Chi ascoltava queste parole aveva visto con i propri occhi la magnificenza del tempio di Gerusalemme. Il Signore, pertanto, annunciava eventi relativamente vicini nel tempo. È noto, infatti, che la distruzione di Gerusalemme e del tempio ebbero luogo nel settanta dopo Cristo.
Alla domanda: “Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?” (Lc 21,7), Cristo dà una risposta che direttamente riguarda la distruzione di Gerusalemme, ma potrebbe anche riferirsi alla fine del mondo. Preannuncia guerre e rivolgimenti, ammonendo contro i falsi messia: “Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo” (Lc 21,10-11).
Simili eventi accompagnarono la caduta di Israele e la distruzione di Gerusalemme ad opera dei Romani, ma si può dire che si sono realizzati anche in altre epoche della storia. Non ha forse visto il nostro secolo molte guerre e rivoluzioni? La storia dell’uomo e quella dell’umanità portano il segno del loro destino escatologico. L’orientamento del tempo verso le “ultime realtà” ci rende consapevoli di non avere sulla terra una stabile dimora. Siamo infatti in attesa di un eterno destino, costituito da quel mondo futuro, l’eone redento, in cui abitano stabilmente la giustizia e la pace.
4. Le parole di Cristo si riferiscono indubbiamente pure alla comunità dei primi discepoli: essi dovranno attraversare prove difficili, saranno consegnati alle sinagoghe e saranno messi in prigione, trascinati davanti a re ed a governanti a causa del suo nome (cf. Lc 21,12). E subito aggiunge: “Questo vi darà occasione di rendere testimonianza” (Lc 21,13). Cristo, che dirà: “Mi sarete testimoni... fino agli estremi confini della terra” (At 1,8), sottolinea qui che non si tratterà di una testimonianza facile, ma tanto più difficile per il fatto che quanti professano pubblicamente la loro fede potranno sperimentare la persecuzione da parte dei loro cari. “Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e metteranno a morte alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome” (Lc 21,16-17). Noi, oggi, ascoltiamo ancora una volta queste gravi parole che hanno preparato gli Apostoli e tutta la Chiesa ad affrontare varie prove, non soltanto quelle incontrate dai cristiani dei primi secoli ma anche quelle del nostro secolo.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Noi, oggi, ascoltiamo ancora una volta queste gravi parole che hanno preparato gli Apostoli e tutta la Chiesa ad affrontare varie prove, non soltanto quelle incontrate dai cristiani dei primi secoli ma anche quelle del nostro secolo.” (Giovanni Paolo II).
Nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Dio, che in questi santi misteri
ci hai dato la gioia di unirci alla tua stessa vita,
non permettere che ci separiamo mai da te, fonte di ogni bene.
Per Cristo nostro Signore.