25 Novembre 2019

Lunedì XXXIV Settimana T. O.

 Dn 1,1-6.8-20; Sal da Dn 3,52-56; Lc 21,1-4

Colletta: Ridesta, Signore, la volontà dei tuoi fedeli perché, collaborando con impegno alla tua opera di salvezza, ottengano in misura sempre più abbondante i doni della tua misericordia. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Gesù non teme di accusare palesemente di falso e di disonestà gli scribi notoriamente conosciuti come esperti interpreti della Legge. Sedutosi dinanzi al tesoro sembra prendersi un po’ di riposo contemplando la grandezza del tempio, dimora della gloria di Dio, ma non può non soffermarsi sulla ipocrisia di coloro che sfacciatamente si autoproclamano «maestri in Israele» (Gv 3,10). E questa volta lo fa con garbo, quasi in punta di piedi, evidenziando il gesto generoso di una vedova che mette nelle casse del tesoro tutta la sua sussistenza. È un modo spiccio per insegnare ai suoi discepoli la carità, quella delle occasioni ordinarie che non ha come contraccambio gli applausi degli uomini.

Dal Vangelo secondo Luca 21,1-4: In quel tempo, Gesù alzàti gli occhi, vide i ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro del tempio. Vide anche una vedova povera, che vi gettava due monetine, e disse: «In verità vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato più di tutti. Tutti costoro, infatti, hanno gettato come offerta parte del loro superfluo. Ella invece, nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere».

Vide anche una povera vedova - Hugues Cousin: Il racconto ... è strettamente collegato al precedente: Gesù ha appena finito di mettere in guardia, che si guarda attorno e nota un singolare contrasto.
Le offerte fatte dai ricchi per il tesoro del tempio non sono paragonabili con quella, apparentemente assai modesta - «due monetine» da dieci centesimi - di una vedova povera. Con solennità, Gesù corregge questa valutazione: l’importante non è quello che si offre, ma la somma che si serba in proprio possesso; ora, a differenza dei ricchi, la vedova ha offerto tutto quello che aveva per vivere e non ha conservato nulla.
Ciò nonostante, possiamo dire che Gesù elogia questa vedova e la propone come modello ai discepoli? Ci è noto l’interesse costante che Gesù, in Luca, prova verso gli umili, tra cui le vedove (4,25-26; 7,12; 18,3.5; 20,47), spesso emarginate in una società largamente dominata dagli uomini. Soprattutto, il legame tra questa scena quella precedente - la critica ai dottori della legge che «strappano alle vedove quello che ancora possiedono» - ci aiuta a comprendere come Luca interpreta questo racconto. Qui Gesù non fa tanto l’elogio di una vedova povera, quanto un lamento sul modo in cui essa viene sfruttata; indirettamente denuncia una pratica diffusa tra i dottori della legge, che convincono le vedove a spogliarsi di tutto a loro vantaggio. Il difensore di coloro che vengono sfruttati non può che condannare un sistema di valori che porta a una tale aberrazione.

Gesù alzàti gli occhi, vide i ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro del tempio. Il tesoro era un locale posto in un atrio del tempio dove erano collocate tredici cassette destinate a raccogliere le elemosine il cui ricavato doveva servire per il buon funzionamento del tempio e del culto. Erano di ferro e il tintinnio della moneta che scivolava dentro, ai buoni intenditori, dava il reale ammontare delle offerte. Sulle cassette erano poste delle targhette su cui era indicata la destinazione dell’obolo. Per cui a volte stazionava lì un addetto del tempio il cui compito era di indicare, soprattutto a chi non sapeva leggere, la buca dove introdurre la moneta. Poi strillava il valore delle offerte, certamente quelle più consistenti, suscitando consensi di ammirazione.
Tra i tanti paludati, applauditi a scena aperta, si fa spazio una povera vedova che getta nel tesoro «due monetine». E così accade che il suono delle monete e lo strillone, denunciando l’esigua offerta, suscitano tra i presenti brontolii e mugolii di disapprovazione. Il tintinnio, lo strillo e i mugugni non sono sfuggiti nemmeno a Gesù ma con una risonanza nel suo cuore molto, molto diversa. Gesù a questo punto chiama a sé i discepoli che forse si erano allontanati per cicalare con i detrattori della povera donna. Li chiama per insegnare loro come Dio vede, valuta e giudica i gesti degli uomini, a differenza degli umani spesso prigionieri della loro effimera sapienza. Quello che conta agli occhi di Dio è il valore morale del dono non quello commerciale, perché Dio guarda il cuore (cfr. 1Re 16,7). È anche una lezione sulla carità. Quella spicciola, quella di tutti i giorni che non porta lo sporco della bava della superbia.
Ma c’è un altro insegnamento che dovrebbe lasciare insonni tutti i credenti. La vedova, facendo scivolare nel tesoro «tutto quanto aveva per vivere», compie un atto di fede pieno, totale. Dando tutto ha manifestato di fidarsi di Dio e lo ha fatto in un modo molto pratico, lo ha fatto non riservando nulla per sé e il suo futuro. Ha abbandonato tutte le sue sicurezze e si è affidata completamente a Dio sostenuta dalla certezza che il Signore, «Padre dei poveri e difensore delle vedove» (Sal 68,6), non l’avrebbe abbandonata. Questo gesto così diventa per la comunità cristiana un serio esame di coscienza: la mia fede è vissuta veramente come adesione totale a Dio? Tale adesione è tanto sconvolgente da impregnare tutto il mio cuore, tutta la mia mente, tutta la mia vita?

Le vedove ai tempi di Gesù appartenevano ad una classe sociale posta ai margini della società. Alla mercé di una società poco incline alla carità, erano facilmente esposte alla povertà, a mille angherie e a pericoli di ogni sorta. La vedova, obbligata a indossare abiti che ne designavano la condizione (cfr. Gen 38,14.19), era priva di ogni diritto anche quello di ereditare dal marito. Non aveva neppure un difensore legale, e quindi era in balia dei giudici iniqui. La parabola del giudice disonesto è molto palese in questo senso (cfr. Lc 18,1-8; Is 1,23; 10,2; 2Sam 14,4ss).
Nonostante tutto la società ebraica imponeva delle regole ben precise per tutelare i diritti delle vedove. Al creditore era vietato di prendere in pegno la veste della vedova (cfr. Dt 24,17), e in Lev 22,13 si legge: «Se la figlia del sacerdote è rimasta vedova o è stata ripudiata e non ha figli, ed è tornata ad abitare da suo padre come quando era giovane, potrà mangiare il cibo del padre».
La legge del levirato (= levir, cognato, che traduce l’ebraico jabam) obbligava la vedova senza figli maschi a maritare il cognato. Il primo figlio veniva attribuito al defunto e riceveva la sua parte di eredità. L’istituzione, che era in vigore anche presso gli assiri e gli hittiti, aveva lo scopo di perpetuare la discendenza e di assicurare la stabilità del patrimonio familiare (cfr. Dt 25,5-10). Un’altra norma voleva che nella mietitura del campo il mannello dimenticato era «per il forestiero, per l’orfano e per la vedova» (Dt 24,19).
Comunque, queste pratiche benevole non erano seguite da tutti gli Israeliti, ma lasciate alla generosità degli uomini pii. Ma non era raro che alla generosità dei pochi si contrapponesse la malvagità di coloro che non si vergognavano di predare le vedove (cfr. Gb 24,3; Sap 2,10; Is 10,2). In questo contesto di cattiveria, l’iniquo era paragonato agli idoli pagani considerati incapaci di avere pietà della vedova e di beneficare l’orfano (cfr. Bar 6,37). In contrapposizione con Iahvé onorato dal popolo eletto come «Padre degli orfani e difensore delle vedove» (Sal 68,6).
Da qui l’accorato appello dei profeti a difendere la causa delle vedove (cfr. Is 1,17). Nella predicazione profetica disprezzare una vedova significava attirarsi i castighi di Dio e ciò equivaleva ad essere maledetti (cfr. Dt 27,19; Ger 22,1-5). Di contro soccorrere gli orfani e le vedove sottendeva essere amati e benedetti da Dio (Ger 7,6-7).
Nei Vangeli, Gesù rimprovera i Farisei di spogliare le case delle vedove (cfr. Mc 12,40) e loda una «povera vedova» che depone nel tesoro del tempio due quattrini, tutta la sua sussistenza (cfr. Mc 12,43-44). San Paolo invita Timoteo ad onorare le vedove (cfr. 1Tm 5,3). Così farà san Giacomo con i suoi lettori: «Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze» (Gc 1,27).
Esisteva un catalogo nel quale venivano iscritte le vedove che la Chiesa assisteva con premura e generosità. L’iscrizione era sottoposta ad alcune condizioni: «Una vedova sia iscritta nel catalogo delle vedove quando abbia non meno di sessant’anni, sia moglie di un solo uomo, sia conosciuta per le sue opere buone: abbia cioè allevato figli, praticato l’ospitalità, lavato i piedi ai santi, sia venuta in soccorso agli afflitti, abbia esercitato ogni opera di bene» (1Tm 5,9-10). Se Paolo in generale suggeriva alle vedove di restare nello stato vedovile (cfr. 1Cor 7,8) alle più giovani, per comprensibili motivi, consigliava di risposarsi (cfr. 1Tm 5,11-15).
La necessità della assistenza delle vedove farà nascere nella Chiesa il ministero del diaconato (cfr. At 6,5ss). Ma dovranno passare ancora molti anni prima che la rivalutazione della vedova, e della donna in particolare, trovi il suo compimento.

Benedetto XVI (Omelia 8 Novembre 2009): Al centro della Liturgia della Parola [...] troviamo il personaggio della vedova povera, o, più precisamente, troviamo il gesto che ella compie gettando nel tesoro del Tempio gli ultimi spiccioli che le rimangono. Un gesto che, grazie allo sguardo attento di Gesù, è diventato proverbiale: “l’obolo della vedova”, infatti, è sinonimo della generosità di chi dà senza riserve il poco che possiede. Prima ancora, però, vorrei sottolineare l’importanza dell’ambiente in cui si svolge tale episodio evangelico, cioè il Tempio di Gerusalemme, centro religioso del popolo d’Israele e il cuore di tutta la sua vita. Il Tempio è il luogo del culto pubblico e solenne, ma anche del pellegrinaggio, dei riti tradizionali, e delle dispute rabbiniche, come quelle riportate nel Vangelo tra Gesù e i rabbini di quel tempo, nelle quali, però, Gesù insegna con una singolare autorevolezza, quella del Figlio di Dio. Egli pronuncia giudizi severi - come abbiamo sentito - nei confronti degli scribi, a motivo della loro ipocrisia: essi, infatti, mentre ostentano grande religiosità, sfruttano la povera gente imponendo obblighi che loro stessi non osservano. Gesù, insomma, si dimostra affezionato al Tempio come casa di preghiera, ma proprio per questo lo vuole purificare da usanze improprie, anzi, vuole rivelarne il significato più profondo, legato al compimento del suo stesso Mistero, il Mistero della Sua morte e risurrezione, nella quale Egli stesso diventa il nuovo e definitivo Tempio, il luogo dove si incontrano Dio e l’uomo, il Creatore e la Sua creatura.
L’episodio dell’obolo della vedova si inscrive in tale contesto e ci conduce, attraverso lo sguardo stesso di Gesù, a fissare l’attenzione su un particolare fuggevole ma decisivo: il gesto di una vedova, molto povera, che getta nel tesoro del Tempio due monetine. Anche a noi, come quel giorno ai discepoli, Gesù dice: Fate attenzione! Guardate bene che cosa fa quella vedova, perché il suo atto contiene un grande insegnamento; esso, infatti, esprime la caratteristica fondamentale di coloro che sono le “pietre vive” di questo nuovo Tempio, cioè il dono completo di sé al Signore e al prossimo; la vedova del Vangelo, come anche quella dell’Antico Testamento, dà tutto, dà se stessa, e si mette nelle mani di Dio, per gli altri. È questo il significato perenne dell’offerta della vedova povera, che Gesù esalta perché ha dato più dei ricchi, i quali offrono parte del loro superfluo, mentre lei ha dato tutto ciò che aveva per vivere (cfr Mc 12,44), e così ha dato se stessa.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «In verità vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato più di tutti. Tutti costoro, infatti, hanno gettato come offerta parte del loro superfluo. Ella invece, nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere» (Vangelo).
Nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Dio, che in questi santi misteri
ci hai dato la gioia di unirci alla tua stessa vita,
non permettere che ci separiamo mai da te, fonte di ogni bene.
Per Cristo nostro Signore.