22 Novembre 2019

Venerdì XXXIIII Settimana T. O.

Santa Cecilia Vergine e Martire - Memoria

 1Mac 4,36-37.52-59; Salmo da 1Cr 29,10-12; Lc 19,45-48

Dal Martirologio: Memoria di santa Cecilia, vergine e martire, che si tramanda abbia conseguito la sua duplice palma per amore di Cristo nel cimitero di Callisto sulla via Appia. Il suo nome è fin dall’antichità nel titolo di una chiesa di Roma a Trastevere. 

Colletta: Ascolta, Signore, la nostra preghiera e per intercessione di santa Cecilia, vergine e martire, rendici degni di cantare le tue lodi. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

La scacciata dei venditori o la purificazione del tempio è presente in Matteo e in Marco. Anche Giovanni ricorda l’episodio, ma lo pone all’inizio del ministero di Gesù a differenza dei sinottici che lo pongono al termine della vita pubblica di Gesù. Inoltre, se nei sinottici il racconto è molto asciutto in Giovanni è molto più articolato. L’evangelista Giovanni «l’avrebbe trasposta all’inizio, perché, mentre nei sinottici questa costituiva il motivo della condanna a morte di Gesù, nel IV vangelo il motivo ultimo di essa è costituito dalla risurrezione di Lazzaro [11,45-12,11]» (Giuseppe Segalla).
Entrato nel tempio, è il recinto sacro, che comprendeva il cortile dove potevano entrare anche i pagani, che non potevano essere ammessi oltre una certa soglia, pena la morte. In questa nota apparentemente cronachistica vi è il richiamo alla profezia di Malachia: «E subito entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate…» (3,1). Oltre ai venditori di animali erano presenti i cambiamonete, seduti ai loro banchi, avevano l’ufficio, dietro compenso, di cambiare per gli ebrei il denaro proveniente dalle nazioni pagane riproducenti l’effige dei sovrani e per tale motivo inadatte per pagare la tassa del Tempio.
L’azione di Gesù non nasce da un moto d’ira (cfr. Gv 2,15), Gesù è Dio e dalla sacra Scrittura Dio è descritto come colui che è «lento all’ira», ma è il gesto del profeta inviato dal Signore per ristabilire la sacralità del luogo dove Dio ha posto la sua dimora: «mi divora lo zelo per la tua casa, gli insulti di chi ti insulta ricadono su di me» (Salmo 69,10). Quindi una vera e propria “gelosia” di Gesù per la casa del Signore, nei confronti di chi si è approfittato del luogo per farne un covo di ladri.
Anche Marco, Matteo e Luca, richiamando dal canto loro le parole del profeta Isaia, aprono ad una dimensione universale per il luogo in cui ci si trovava, il monte di Dio e il tempio: «Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore, e per essere suoi servi, quanti si guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia alleanza, li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera» (Is 56,6-7).
La purificazione del tempio quindi ha una valenza profetica, che è quella di riportare il tempio alla sua funzione originaria: il luogo dove si rende un servizio cultuale a Dio.

Dal Vangelo secondo Luca 19,45-48: In quel tempo, Gesù, entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano, dicendo loro: «Sta scritto: “La mia casa sarà casa di preghiera”. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri». Ogni giorno insegnava nel tempio. I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire e così anche i capi del popolo; ma non sapevano che cosa fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo.

Nel racconto della purificazione del Tempio, Gesù si mostra come modello di coraggio e di fortezza. Nei Vangeli viene definito il «più forte» (Mc 1,7). Nella sua mano «c’è forza e potenza» (1Cr 29,12). È più forte di Giovanni il Battista: infatti, differentemente dal Precursore che battezza con l’acqua in segno di purificazione e di rinnovamento, egli battezza «in Spirito Santo e fuoco» (Lc 3,16). Mediante «questi strumenti purificatori egli opererà un giudizio dell’umanità, nel giorno del Signore [Mt 3,11-12]» (A. Z.).
È più forte di Satana, perché scaccia con autorità i demoni; entra nel suo regno, «gli strappa via l’armatura nella quale confidava e ne distribuisce il bottino» (Lc 11,22). Scacciando i demoni, Gesù «manifesta di adempiere le promesse dell’Antico Testamento: è lui il servo di Dio che vince le potenze del male e strappa loro il bottino conquistato [Is 49,24-25; 33,12]. Se Satana esercita il suo potere sugli uomini mediante il peccato e la morte, servendosi anche dei demoni come suoi strumenti, Cristo è più forte di lui e salva gli uomini, spezzando le loro catene e ridonando loro la libertà dei figli di Dio. La forza ormai appartiene interamente a Dio e all’Agnello che siede accanto a lui, nei cieli [Ap 5,12; 7,12]» (A. Z.).
È più forte del mondo perché lo ha vinto (Cf. Gv 16,1-8.33): lo vincerà con lui anche il discepolo mediante la fede (Cf. 1Gv 5,4). Sfida a viso aperto i farisei, i sadducei, gli scribi mettendo a nudo la loro ipocrisia (Cf. Mt 23,13-36) e non esita a rimproverare le città impenitenti che hanno rifiutato la Buona Notizia (Cf. Mt 11,21-24; Lc 21,20-24).
La fortezza cristiana è partecipazione alla forza di Cristo: attingendo forza nel Signore e nel vigore della sua potenza, rivestiti della corazza di Dio, i cristiani potranno resistere alle insidie del diavolo e vincere i dominatori di questo mondo di tenebra (Cf. Ef 6,10-12). Avranno forza dallo Spirito Santo (Atti 1,8; 2Tm 1,7-8) per essere «veri testimoni di Cristo, per confessare coraggiosamente il nome di Cristo e per non vergognarsi mai della sua croce» (Catechismo della Chiesa Cattolica 1303).
Il Concilio Ecumenico Vaticano II ammonisce sopra tutto i vescovi, «pastori del gregge di Cristo»,  a compiere il loro ministero apostolico, a «immagine del sommo ed eterno Sacerdote», «in santità e generosità, in umiltà e fortezza», non temendo «di dare la vita per le pecore» (LG 41). Ma anche i laici devono rivestirsi di fortezza, in modo particolare quando devono rendere testimonianza al Vangelo in ambienti ostili al messaggio del Cristo (AA 17). Fortezza è così anche libertà di parola, peculiarità tutta cristiana.

Gesù Cristo, nuovo tempio - F. Amiot: 1. Gesù ed il tempio antico. - Gesù, al pari dei profeti, professa per il tempio antico il più profondo rispetto. Vi è presentato da Maria (Lc 2,22- 39). Vi si reca per le solennità, come ad un luogo d’incontro con il Padre suo (Lc 2,41-50; Gv 2,14; ecc.). Ne approva le pratiche cultuali, pur condannandone il formalismo che minaccia di viziarle (Mt 5,23s; 12,3-7 par.; 23,16-22). Per lui il tempio è la casa di Dio, una casa di preghiera, la casa del Padre suo, e si indigna che se ne faccia un luogo di traffico; quindi, con un gesto profetico, ne scaccia i mercanti di  colombe per purificarlo (Mt 21,12-17 par.; Gv 2,16ss; cfr. Is 56,7; Ger 7,11). E tuttavia annunzia la rovina dello splendido edificio, di cui non rimarrà pietra su pietra (Mt 23,38s; 24,2 par.). Durante il processo, gli si rimprovererà perfino di aver dichiarato che distruggerebbe questo santuario fatto dalla mano dell’uomo, ed in tre giorni ne ricostruirebbe un altro non fatto dalla mano dell’uomo (Mc 14,58 par.), e la stessa accusa è ripresa in modo ingiurioso mentre agonizza sulla Croce (Mt 27,39 s par.). Ma qui si tratta di una frase misteriosa, di cui soltanto il futuro spiegherà il senso. Nell’attesa, al momento del suo ultimo respiro, il laceramento del velo del santissimo mostra che il santuario antico perde il suo carattere sacro: il tempio giudaico ha finito di svolgere la sua funzione di segno della presenza divina.
2. Il nuovo tempio. - Di fatto questa funzione è svolta ormai da un altro segno, che è il corpo stesso di Gesù. Il vangelo di S. Giovanni colloca nel contesto della purificazione del tempio la frase misteriosa sul santuario distrutto e ricostruito in tre giorni (Gv 2,19). Ma aggiunge: «Parlava del santuario del suo Corpo», ed i suoi discepoli, dopo la sua risurrezione, lo compresero (2,21s). Ecco dunque il tempio nuovo e definitivo, che non è fatto dalla mano dell’uomo, quello in cui il Verbo di Dio stabilisce la sua dimora tra gli uomini (1,14) come un tempo nel tabernacolo di Israele. Tuttavia, affinché il tempio di pietra sia decaduto, bisogna che Gesù stesso muoia e risusciti: il tempio del suo corpo sarà distrutto e ricostruito, tale è la volontà del Padre suo (10,17s; 17,4). Dopo la risurrezione questo corpo, segno della presenza divina in terra, conoscerà un nuovo stato trasfigurato che gli permetterà di rendersi presente a tutti i luoghi ed a tutti i secoli nella celebrazione eucaristica. Allora il tempio antico non avrà più che da sparire, e la distruzione di Gerusalemme nel 70 verrà ad indicare in modo decisivo che la sua funzione è ormai terminata.

Santa Cecilia, Vergine e Martire: C. Augrai: Il martire cristiano - Il glorioso martirio di Cristo ha fondato la Chiesa: «Quando sarò innalzato da terra, aveva detto Gesù, attirerò a me tutti gli uomini» (Gv 12,32). La Chiesa, corpo di Cristo, è chiamata a sua volta a dare a Dio la testimonianza del sangue per la salvezza degli uomini. La comunità ebraica aveva già avuto i suoi martiri, specialmente all’epoca dei Maccabei (2Mac 6-7). Ma nella Chiesa cristiana il martirio assume un senso nuovo, che Gesù stesso rivela: è la piena imitazione di Cristo, la partecipazione perfetta alla sua testimonianza ed alla sua opera di salvezza: «Il servo non è maggiore del padrone; se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi!» (Gv 51,20). Ai suoi tre intimi Gesù annunzia che lo seguiranno nella passione (Mc 10,39 par.; Gv 21,18 ss); ed a tutti rivela che soltanto il seme che muore in terra porta molto frutto (Gv 12,24). Così il martirio di Stefano - che evoca con tanta forza la passione - determinò la prima espansione della Chiesa (Atti 8,4s; 11,19) e la conversione di Paolo (22,20). L’Apocalisse, infine, è veramente il Libro dei Martiri, di coloro che sulle orme del Testimone fedele e veridico (Apoc 3,14) hanno dato alla Chiesa e al mondo la testimonianza del loro sangue. L’intero libro ne celebra la prova e la gloria, di cui la passione e la glorificazione dei due testimoni del Signore sono il simbolo (Apoc 6,9s; 7,14-17; 11,11s; 20,4ss). 

La castità per il  regno dei cieli - Perfectae Caritatis n. 12: La castità «per il regno dei cieli» (Mt 19,12), quale viene professata dai religiosi, deve essere apprezzata come un insigne dono della grazia. Essa infatti rende libero in maniera speciale il cuore dell’uomo (cfr. 1Cor 7,32-35), cosi da accenderlo sempre più di carità verso Dio e verso tutti gli uomini; per conseguenza essa costituisce un segno particolare dei beni celesti, nonché un mezzo efficacissimo offerto ai religiosi per potere generosamente dedicarsi al servizio divino e alle opere di apostolato. In tal modo essi davanti a tutti i fedeli sono un richiamo di quella mirabile unione operata da Dio e che si manifesterà pienamente nel secolo futuro, mediante la quale la Chiesa ha Cristo come unico suo sposo.
Bisogna dunque che i religiosi, sforzandosi di mantener fede alla loro professione, credano nelle parole del Signore e, fidando nell’aiuto divino, non presumano delle loro forze, ma pratichino la mortificazione e la custodia dei sensi. E neppure trascurino i mezzi naturali che giovano alla sanità mentale e fisica. In tal modo essi non potranno essere influenzati dalle false teorie, che sostengono essere la continenza perfetta impossibile o nociva al perfezionamento dell’uomo; e, come per un istinto spirituale, sapranno respingere tutto ciò che può mettere in pericolo la castità. Inoltre ricordino tutti, specialmente i superiori, che la castità si potrà custodire più sicuramente se i religiosi sapranno praticare un vero amore fraterno nella vita comune.
Poiché l’osservanza della continenza perfetta tocca le inclinazioni più profonde della natura umana i candidati alla professione di castità non abbraccino questo stato, né vi siano ammessi, se non dopo una prova veramente sufficiente e dopo che sia stata da essi raggiunta una conveniente maturità psicologica ed affettiva. Essi non solo siano preavvertiti circa i pericoli ai quali va incontro la castità, ma devono essere educati in maniera tale da abbracciare il celibato consacrato a Dio integrandolo nello sviluppo della propria personalità.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “La mia casa sarà casa di preghiera” (Vangelo).
Nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
 
Signore, che hai glorificato santa Cecilia
con la corona della verginità e del martirio,
per la comunione a questo sacro convito
donaci energia nuova,
perché superiamo la forza del male
e raggiungiamo la gloria del cielo.
Per Cristo nostro Signore.