2 Novembre 2019

COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI

(Messa del Giorno)

Gb19,1.23-27a; Sal 26 (27); Rm 5,5-11; Gv 6,37-40

Dal Martirologio: Commemorazione di tutti i fedeli defunti, nella quale la santa Madre Chiesa, già sollecita nel celebrare con le dovute lodi tutti i suoi figli che si allietano in cielo, si dà cura di intercedere presso Dio per le anime di tutti coloro che ci hanno preceduti nel segno della fede e si sono addormentati nella speranza della resurrezione e per tutti coloro di cui, dall’inizio del mondo, solo Dio ha conosciuto la fede, perché purificati da ogni macchia di peccato, entrati nella comunione della vita celeste, godano della visione della beatitudine eterna. 

“Il giorno di preghiera per i defunti è per molti l’occasione di porsi delle domande di principio. Perché la morte, perché il nostro corpo torna in polvere, perché dobbiamo sperimentare il dolore del distacco dai nostri prossimi? Chi può assicurarci l’immortalità, chi ci può dire come sarà la vita futura, chi può consolarci nel tempo della tristezza?
Abbiamo accolto le parole di Cristo e ne conosciamo le risposte, crediamo a ciò che dicono i libri ispirati dalla Sacra Scrittura. Le molte risposte che abbiamo trovato, le possiamo ridurre ad una: la morte si può comprendere solo alla luce della Morte e della Risurrezione del Signore. Come Gesù è morto e risuscitato, così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui (1Ts 4,14).
Come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo (1Cor 15,22). Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se morto, vivrà (Gv 11,25). La fede nella Risurrezione del Signore sta alla base della nostra preghiera per coloro che sono morti: affinché siano accolti nella gloria, affinché passino al luogo della luce e della pace. Essi non solo credettero nel Signore, ma attraverso il Battesimo morirono con lui e con lui passarono alla vita nuova: che il Signore compia adesso ciò che ha iniziato nel Battesimo.
L’uomo di fronte a Dio: chi può dire di essere senza peccato? La Chiesa raccomanda oggi alla divina misericordia coloro che sono morti: Dio, una volta li lavò con le acque del Battesimo, che ora li lavi con la grazia del perdono. Celebrando l’Eucaristia, la Chiesa non cessa di intercedere per i nostri fratelli, che sono morti nella speranza della risurrezione. Prega per i defunti, dei quali solo Dio ha conosciuto la fede e per tutti coloro che hanno lasciato questo mondo. Oggi, queste parole assumono un particolare significato. Stiamo oggi presso le tombe dei nostri parenti, vicini, conoscenti; passiamo vicino ai sepolcri di tanti nostri fratelli. Ci accompagnino le parole della liturgia: «Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata».” (Fonte: La Bibbia e i padri della Chiesa [I Padri vivi]).

Colletta: Ascolta, o Dio, la preghiera che la comunità dei credenti innalza a te nella fede del Signore risorto, e conferma in noi la beata speranza che insieme ai nostri fratelli defunti risorgeremo in Cristo a vita nuova. Per il nostro Signore Gesù Cristo.   

Gesù è venuto dal Cielo per compiere la volontà del Padre. Tutto quello che il Padre gli dà, verrà a lui; e quelli che verranno a lui, riceveranno la  vita eterna e saranno risuscitati nell’ultimo giorno.

Dal Vangelo secondo Giovanni 6,37-40: In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell'ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno». 

Tutto ciò che il Padre mi dà…. Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): versetto 37 Tutto ciò che mi dà il Padre verrà a me; l’espressione procede alla maniera semitica; «tutto ciò», in greco il neutro πᾶν ὁ (δίδωσιν...) significa: «tutti coloro che...»; «verrà» richiama la formula «chi viene a me» del vers. 36. L’espressione non indica che il Padre predestina coloro che devono andare al Figlio, ma che il Padre esplica un’iniziativa di bontà, la quale si attua con l’andare al Figlio e fa raggiungere la salvezza per mezzo del Figlio. Il testo non intende toccare il mistero della predestinazione, ma indicare che l’iniziativa benevola del Padre è proseguita e condotta a termine dal Figlio. Chi viene a me non lo getterò fuori; l’espressione «gettar fuori» è assai forte ed incisiva; anche nel testo greco si ha una formula rude (ἐκβάλω ἔξω), Tale modo di esprimersi non va inteso come una intemperanza di pensiero, ma come una formula allusiva al testo del Genesi, dove si parla dell’albero della vita e dell’espulsione dei progenitori dal paradiso terrestre (cf. Genesi, 3,23-24). Per il senso dell’espressione si veda anche Apocalisse, 22,14-15.
versetto 38   Gesù, dichiarando che è disceso dal cielo per compiere la volontà del Padre, richiama il principio direttivo della sua attività salvifica (cf. Giov., 4, 34; 5, 30) e riafferma che la sua volontà è perfettamente conforme a quella del Padre.
versetto 39 La volontà del Padre è dichiaratamente una volontà di salvezza. Il Padre, affidando al Figlio gli uomini, vuole che tutti gli uomini siano salvi per mezzo del Figlio. Che io non perda nulla di ciò che mi ha dato; la formula negativa è più efficace di quella positiva, poiché esclude in Dio una volontà che determina la rovina spirituale degli uomini. Che io lo risusciti nell’ultimo giorno; la risurrezione attuata all’ultimo giorno designa che l’opera del Figlio raggiunge il suo compimento escatologico con il trionfo finale sulla morte.
versetto 40 Nel vers. si ha un’ulteriore precisazione del pensiero esposto in quello precedente. Chiunque vede il Figlio e crede in lui; «vedere il Figlio» significa riconoscere il Figlio di Dio, cioè credere in lui (cf. vers. 36); si tratta quindi di una visione di fede. La vita eterna; cioè il dono della vita eterna, che inizia con la fede durante l’esistenza e che trova il suo ultimo compimento nella risurrezione finale. Nel presente vers. viene spiegata in termini positivi l’espressione «non perdere nulla di ciò che il Padre ha dato al Figlio».

Oh, se le mie parole si scrivessero... (cfr. I Lettura): Papa Francesco (Angelus 2 Novembre 2016): Giobbe era nel buio. Era proprio alla porta della morte. E in quel momento di angoscia, di dolore e di sofferenza, Giobbe proclama la speranza. «Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! … Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro» (Gb 19,25.27). La Commemorazione dei defunti ha questo duplice senso. Un senso di tristezza: un cimitero è triste, ci ricorda i nostri cari che se ne sono andati, ci ricorda anche il futuro, la morte; ma in questa tristezza, noi portiamo dei fiori, come un segno di speranza, anche, posso dire, di festa, ma più avanti, non adesso. E la tristezza si mischia con la speranza. E questo è ciò che tutti noi sentiamo oggi, in questa celebrazione: la memoria dei nostri cari, davanti alle loro spoglie, e la speranza. Ma sentiamo anche che questa speranza ci aiuta, perché anche noi dobbiamo fare questo cammino. Tutti noi faremo questo cammino. Prima o dopo, ma tutti. Col dolore, più o meno dolore, ma tutti. Però con il fiore della speranza, con quel filo forte che è ancorato aldilà. Ecco, quest’ancora non delude: la speranza della risurrezione.
E chi ha fatto per primo questo cammino è Gesù. Noi percorriamo il cammino che Lui ha fatto. E chi ci ha aperto la porta è Lui stesso, è Gesù: con la sua Croce ci ha aperto la porta della speranza, ci ha aperto la porta per entrare dove contempleremo Dio. «Io so che il mio Redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere … Io lo vedrò, io stesso. I miei occhi lo contempleranno e non un altro».
Torniamo a casa oggi con questa duplice memoria: la memoria del passato, dei nostri cari che se ne sono andati; e la memoria del futuro, del cammino che noi faremo. Con la certezza, la sicurezza; quella certezza uscita dalle labbra di Gesù: «Io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,40).

La memoria dei defunti: Benedetto XVI (Angelus, 2 novembre 2008): Ieri la festa di Tutti i Santi ci ha fatto contemplare “la città del cielo, la Gerusalemme celeste che è nostra madre” (Prefazio di Tutti i Santi). Oggi, con l’animo ancora rivolto a queste realtà ultime, commemoriamo tutti i fedeli defunti, che “ci hanno preceduto con il segno della fede e dormono il sonno della pace” (Preghiera eucaristica I). È molto importante che noi cristiani viviamo il rapporto con i defunti nella verità della fede, e guardiamo alla morte e all’aldilà nella luce della Rivelazione. Già l’apostolo Paolo, scrivendo alle prime comunità, esortava i fedeli a “non essere tristi come gli altri che non hanno speranza”. “Se infatti - scriveva - crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti” (1Ts 4,13-14). È necessario anche oggi evangelizzare la realtà della morte e della vita eterna, realtà particolarmente soggette a credenze superstiziose e a sincretismi, perché la verità cristiana non rischi di mischiarsi con mitologie di vario genere.

La morte del cristiano: Catechismo degli Adulti 1189: Il cristiano teme la morte come tutti gli uomini, come Gesù stesso. La fede non lo libera dalla condizione mortale. Tuttavia sa di non essere più solo. Obbediente all’ultima chiamata del Padre, associato a Cristo crocifisso e risorto, confortato dallo Spirito Santo, può vincere l’angoscia, a volte perfino cambiarla in gioia. Può esclamare con l’apostolo Paolo: «La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria?» (1Cor 15,54-55). Allora la morte assume il significato di un supremo atto di fiducia nella vita e di amore a Dio e a tutti gli uomini. Il morente è una persona e il morire un atto personale, non solo un fatto biologico. Esige soprattutto una compagnia amica, il sostegno dell’altrui fede, speranza e carità. L’ambiente più idoneo per morire, come per nascere, è la famiglia, non l’ospedale o l’ospizio.
Questa infatti è la volontà del Padre mio: Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 28 ottobre 1998): Gesù lega la fede nella risurrezione alla sua stessa Persona: “Io sono la Risurrezione e la Vita” (Gv 11,25). In Lui, infatti, grazie al mistero della sua morte e risurrezione, si adempie la divina promessa del dono della “vita eterna”, che implica una piena vittoria sulla morte: “Viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la voce [del Figlio] e ne usciranno: quanti fecero il bene, per una risurrezione di vita...” (Gv 5,28-29). “Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,40). Questa promessa di Cristo si realizzerà dunque misteriosamente alla fine dei tempi, quando egli tornerà glorioso “a giudicare i vivi e i morti” (2Tm 4,1; cfr. At 10,42; 1Pt 4,5). Allora i nostri corpi mortali rivivranno per la potenza dello Spirito, che ci è stato dato come “caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione” (Ef 1,14; cfr. 2Cor 1,21-22).

La morte ci fa pazienti e sapienti...: Paolo VI (Udienza Generale, 2 Novembre 1966): Ringraziamo la nostra religione, che non solo toglie l’angosciosa paura che circonda il mistero della morte, ma ci educa altresì a guardarla con sereno realismo ed a trarne indispensabili insegnamenti per ben valutare ogni cosa del nostro transito nel tempo e per avere dei nostri Morti qualche consolante notizia. La religione fa della morte una lampada: essa rischiara quanto basta i problemi circa la sopravvivenza dell’uomo oltre la sua fine temporale, così che questa vita temporale non sia accecata dal dubbio e sconvolta dalla disperazione, ma acquisti invece il suo senso escatologico e il suo pieno significato morale; essa ci fa pazienti e sapienti a superare ogni smarrimento nel dolore, e ogni arbitraria e miope filosofia; essa ci stimola a bene vivere e ci conforta alla ricerca e all’attesa d’una futura comunione con Cristo e con le persone che ci furono care; offre insomma una visione generale della esistenza nostra e del mondo, che rinfranca lo spirito in un incomparabile equilibrio di sentimenti e di pensieri, e gli infonde un senso profondo di gratitudine e di ammirazione verso il Dio vivo, Creatore dell’universo e Padre nostro onnipotente.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “L’ambiente più idoneo per morire, come per nascere, è la famiglia, non l’ospedale o l’ospizio.” (Catechismo degli Adulti).
Nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Abbiamo celebrato, Signore, il mistero pasquale,
invocando la tua misericordia per i nostri fratelli defunti;
dona loro di partecipare alla pasqua eterna
nella tua dimora di luce e di pace.
Per Cristo nostro Signore.