17 Novembre 2019

XXXIII Domenica T. O.

 Ml 3,19-20a; Salmo Responsoriale 97 (98); 2Ts 3,7-12; Lc 21,5-19

Colletta: O Dio, principio e fine di tutte le cose, che raduni tutta l’umanità nel tempio vivo del tuo Figlio, fa’ che attraverso le vicende, liete e tristi, di questo mondo, teniamo fissa la speranza del tuo regno, certi che nella nostra pazienza possederemo la vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

I lettura Alla fine dei tempi, quando verrà il  giorno rovente (Ml 3,19; cfr. Is 10,16s: 30,27; Sof 1,18; Ger 21,14), per gli empi risuonerà una parola di condanna che li consegnerà ad un destino di dolore e di lacrime; per coloro che hanno timore del nome di Dio, invece, sorgerà il sole di giustizia (cfr. Lc 1,78). Nel giorno del giudizio, quando sarà aperto il libro della vita (cfr. Ap 20,12), gli uomini di buona volontà si accorgeranno di essere loro i veri vincitori.

Salmo Responsoriale: Cantate inni al Signore con la cetra: «Fratelli miei e figli miei, germe della Chiesa universale, sante e celesti pianticelle rigenerate dal Cristo e nate dall’alto, ascoltatemi o, piuttosto, ascoltate dalla mia voce questa espressione: Cantate al Signore un cantico nuovo (Sal 149,1). “Ecco, io canto”, tu dirai. Tu canti, sì, tu canti, lo sento. Ma fai attenzione che la tua vita non abbia a testimoniare contro la tua lingua. Cantate con la voce, cantate col cuore, cantate con la vostra bocca, cantate con la vostra condotta, “cantate al Signore un cantico nuovo”. Voi vi chiedete che cosa cantare per colui che amate, e cercate quali lodi cantargli. Sia lode a lui, tra lo stuolo dei santi! [Sal 149,1]. La lode da cantare, è il cantore stesso. Volete cantare delle lodi a Dio? Siate voi stessi ciò che cantate. Voi siete la sua lode se vivete bene» (Sant’Agostino).

II Lettura L’apostolo ha diritto alla mercede, questo è un principio inviolabile, ma Paolo vi ha rinunziato per dare un esempio ai Tessalonicesi. Il cristiano non vive fuori dal mondo, ma lo costruisce con il suo lavoro, con la sua fatica e con il suo sudore. L’ozio oltre tutto porta al disordine, ad una perniciosa e continua agitazione: «A questi tali, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, ordiniamo di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità» (2Ts 3,12).

Vangelo L’evangelista Luca che aveva già parlato del ritorno glorioso di Gesù alla fine dei tempi (Lc 17,22-37), qui, tratta della rovina di Gerusalemme (Lc 21,5-7) e dei segni premonitori che precedono la venuta gloriosa del Figlio dell’uomo (Lc 21,8-19). Nel racconto della distruzione della città santa e del suo tempio, si può cogliere anche un’allusione alla fine del mondo. Come la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio segna la fine di una nazione con le sue leggi, le sue tradizioni e la nascita di nuovi assetti politici-religiosi, così la venuta del Signore contrassegna la fine di un mondo vecchio e la comparsa di nuovi cieli e una terra nuova (2Pt 3,13). Per il cristiano, la venuta del Signore è giorno di gioia, compimento delle promesse e liberazione piena. Poiché il giorno del Signore verrà nell’ora che non immaginiamo, il discepolo fedele, non lasciandosi trascinare da false sicurezze, deve prepararsi alla venuta del Redentore con la preghiera, la vigilanza, la penitenza e la fiducia nella salvezza che Dio gli offre.

Dal Vangelo secondo Luca 21,5-19: In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.

Nel tempo della persecuzione, il testimone di Cristo deve guardare al martirio con estrema serenità in quanto ha la certezza che nemmeno un capello del suo capo perirà. L’essere cristiani pone nella condizione di essere perseguitati, calunniati, odiati per il nome di Cristo, anche dal padre o dal fratello. Il martirio, affrontare la morte per la fede, per il cristiano non è un incidente di percorso o qualcosa di molto improbabile, infatti, il «Battesimo impegna i cristiani a partecipare con coraggio alla diffusione del Regno di Dio, cooperandovi se necessario col sacrificio della stessa vita» (Benedetto XVI). Essere cristiani non significa non subire alcun danno o offesa, ma che ogni sofferenza verrà ricompensata e niente andrà perduto, neppure un capello. Essere discepoli di Cristo è una scelta che riserva un calice amaro: è il prezzo della verità. Il mondo del male, coalizzato contro i cristiani, potrà fare a pezzi i loro corpi, ma essi non devono temere perché sono già nella gioia del possesso del regno dei cieli (Mt 5,11-12). Gesù «chiama alla gioia, paradossalmente, i discepoli vittime di ogni angheria. Essi pagano un prezzo alto l’adesione a Cristo. Ma grande sarà anche la ricompensa celeste ed escatologica. Nessuna meraviglia per questo destino di persecuzione, perché già i profeti sono stati perseguitati; così sarà dei discepoli di Gesù» (Giuseppe Barbaglio). Che i profeti e i discepoli di Gesù siano accomunati al suo destino di persecuzione è attestato da Luca 11,49-50: «Per questo la sapienza di Dio ha detto: “Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno”, perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall’inizio del mondo». Una comunanza di morte che con la sua lunga scia di sangue ha lambito ben duemila anni di storia cristiana! Il cristiano sa attendere con pazienza la venuta del suo Salvatore. Sa essere paziente imitando la pazienza di Dio. Sa essere perseverante nella fede perché la perseveranza è la porta della salvezza. La perseveranza è la carta di identità del cristiano e allo stesso tempo la carta vincente: «Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

… vi abbiamo sempre dato questa regola: chi non vuole lavorare, neppure mangi (II Lettura) - Laborem exercens 26: Gesù Cristo nelle sue parabole sul Regno di Dio si richiama costantemente al lavoro umano: al lavoro del pastore, dell’agricoltore, del medico, del seminatore, del padrone di casa, del servo, dell’amministratore, del pescatore, del mercante, dell’operaio. Parla pure dei diversi lavori delle donne. Presenta l’apostolato a somiglianza del lavoro manuale dei mietitori o dei pescatori. Inoltre, si riferisce anche al lavoro degli studiosi.
Questo insegnamento di Cristo sul lavoro, basato sull’esempio della propria vita durante gli anni di Nazareth, trova un’eco particolarmente viva nell’insegnamento di Paolo Apostolo. Paolo si vantava di lavorare nel suo mestiere (probabilmente fabbricava tende), e grazie a ciò poteva pure come apostolo guadagnarsi da solo il pane. «Abbiamo lavorato con fatica e sforzo, notte e giorno, per non essere di peso ad alcuno di voi». Di qui derivano le sue istruzioni sul tema del lavoro, che hanno carattere di esortazione e di comando: «A questi ... ordiniamo, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, di mangiare il proprio pane lavorando in pace», così scrive ai Tessalonicesi. Infatti, rilevando che «alcuni» vivono disordinatamente, senza far nulla, l’Apostolo nello stesso contesto non esita a dire: «Chi non vuol lavorare, neppure mangi». In un altro passo invece incoraggia: «Qualunque cosa facciate, fatela di cuore come per il Signore e non per gli uomini, sapendo che quale ricompensa riceverete dal Signore l’eredità».
Gli insegnamenti dell’Apostolo delle Genti hanno, come si vede, un’importanza-chiave per la morale e la spiritualità del lavoro umano. Essi sono un importante complemento a questo grande, anche se discreto, Vangelo del lavoro, che troviamo nella vita di Cristo e nelle sue parabole, in ciò che Gesù «fece e insegnò»,

Il lavoro - Anton Grabner: Incombenza del Creatore. I racconti biblici della creazione descrivono la libera azione creatrice di Dio come lavoro. Dio plasma l’uomo dalla terra come il vasaio plasma i suoi vasi dall’argilla (Gen 2,7); e Dio soffia nelle narici della sua opera il proprio alito di vita. Dio pianta anche un giardino, così come fa un giardiniere (Gen 2,8). Nel linguaggio della Bibbia, Dio appare come vignaiolo (= pianta una vigna), come agricoltore (raccoglie la messe). Di conseguenza si stanca e si riposa (cf. Gen 2,2). In quanto immagine di Dio, l’uomo riceve l’incarico di continuare l’azione creativa di Dio. Egli deve sviluppare tutto ciò che è creato, “riempire” la terra e soggiogarla a sé (Gen 1,28). Ciò che Dio ha cominciato con la sua creazione, l’uomo deve continuarlo e portarlo a termine. Il lavoro è dunque una libera continuazione dell’azione creativa di Dio e non è affatto soltanto conseguenza del peccato, poiché molto tempo prima del peccato originale, JHWH prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden affinché lo coltivasse (Gen 2,1:5). Attraverso la sua personale azione creativa, l’uomo deve tenere in moto la creazione di Dio, deve custodirla e impedire che il divenire si trasformi in uno scomparire. L’uomo, lavorando, sviluppa e dispiega la creazione di Dio. Proprio lì dove l’uomo agisce creativamente, egli è immagine del suo Creatore. In quanto lavoratore egli proviene da Dio e tende verso di lui.
Nella vita dell’uomo il lavoro è anche l’ambito nel quale il peccato si manifesta in tutta la sua potenza. Arbitrio, violenza, ingiustizia e avidità di guadagno fanno del lavoro un peso opprimente per l’uomo e una fonte di odio e di divisione. Ci sono lavoratori i quali vengano defraudati della meritata ricompensa (Ger 22,13; Gc 5,4), contadini che vengono dissanguati da ingiusti tributi (Am 5,11), lavori forzati e schiavitù (1Sam 8,10-18). Ma Dio ha promesso liberazione anche da questa mondo del lavoro strutturato in maniera disumana. Ogni lavoro porterà il suo fratto e così resta valida la promessa escatologica. Avendo l’uomo detto no a Dio, ha detto no anche alla sua creazione e all’ordine della sua creazione. Ha messo in questione se stesso proprio lì dove voleva essere creativamente attivo. Si è alienato il mondo del lavoro. Esso è diventato inumano, o la può sempre diventare. L’uomo, di conseguenza, è minacciato al massimo proprio lì dove attraverso la propria creazione trascende se stesso. Attraverso di essa egli può porsi radicalmente in questione o addirittura annientarsi. Nonostante tutto egli rimane oggetto della promessa del Creatore, che il lavoro cioè porta il proprio frutto, prosegue e porta a compimento la creazione.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Chi non vuole lavorare, neppure mangi” (San Paolo). 
Nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Padre, che ci hai nutriti con questo sacramento,
ascolta la nostra umile preghiera:
il memoriale, che Cristo tuo Figlio ci ha comandato di celebrare,
ci edifichi sempre nel vincolo del tuo amore.
Per Cristo nostro Signore.