16 Novembre 2019

Sabato XXXII Settimana T. O.

Sap 18,14-16; 19,6-9; Salmo Responsoriale 104 [105]; Lc 18,1-8

Colletta: Dio grande e misericordioso, allontana ogni ostacolo nel nostro cammino verso di te, perché, nella serenità del corpo e dello spirito, possiamo dedicarci liberamente al tuo servizio. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

Nella “parabola del giudice che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno” due sono gli attori, la vedova e il giudice. La vedova non si arrende nel chiedere giustizia contro il suo avversario, bussa, chiede, insiste, e alla fine ottiene. Il giudice, che non ha la tempra della vedova, infine, si stanca, e snervato dalla insistenza della donna concede quanto gli viene richiesto. Gesù racconta la parabola per suggerire due note importanti della preghiera, innanzi tutto “la necessità di pregare sempre”, la seconda è che a volte non si è esauditi immantinente, e quindi bisogna insistere “senza mai stancarsi”. Se la vedova è il personaggio principale della parabola per la quale viene raccontata, si deve dire che in realtà il vero protagonista è il giudice e sopra tutto la sua arroganza che fa da contraltare alla bontà di Dio. Se il giudice si “arrende” obtorto collo, perché non ce la fa più a sopportare l’insistenza invadente della vedova, Dio si “arrende” perché è Padre, ascolta sempre le preghiere dei suoi figli, ed è sempre pronto a dare e spesso molto di più di quanto viene chiesto. La parabola potrebbe essere anche un suggerimento ad avere pazienza perché è possibile che Dio non conceda subito quanto viene chiesto, e quindi il cuore del messaggio è anche quel non stancarsi mai nella consapevolezza che la risposta da parte di Dio non  tarderà ad arrivare. I tempi di Dio non sono quelli degli uomini,

Dal Vangelo secondo Luca 18,1-8: In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:  «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.  Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».  E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai - Helen Schüngel: La chiesa primitiva ha sperimentato la propria preghiera come qualcosa di nuovo, di inaudito. Supportata dalla fede di essere “liberata dal potere delle tenebre e trasferita nel regno dell’amore del Figlio” (Col 1,13), sapeva di esser autorizzata a pregare “nel nome del Signore” (1Cor 1,10) o “per Cristo”. Tutte le promesse di Dio sono state confermate e adempiute in Gesù e per mezzo suo; nel momento in cui i credenti dicono l’“amen", rendono a Dio l’onore di essere fedele, poiché essi lo fanno nella speranza di sperimentare lo stesso adempimento delle promesse (2Cor 1,20). Così può pregare soltanto colui al quale Dio si è rivelato, mediante Gesù, come il Dio fedele e salvatore e che rimane in questo rapporto con Dio (Gv 15,16). Credere significa dunque saper pregare ed essere certi dell’adempimento (Gv 15,7; 6,23ss). La preghiera cristiana ha perciò la sua motivazione nell’azione salvifica di Dio, ma allo stesso modo rimane orientata verso l’estrema azione di Dio: è un pregare escatologico; nell’invocazione liturgica Maranatha la comunità prega per la venuta definitiva del suo Signore. Pregando, il cristiano sperimenta la sua distanza dal mondo, soprattutto anche dai propri desideri più vari; egli sa che la sua preghiera, come la sua vita in genere, è determinata dal “non aver nulla e invece possedere tutto” (2Cor 6,10). Una tale preghiera avviene nello Spirito Santo “perché noi nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili” (Rm 8,26); in questa preghiera ci uniamo al “gemere della creazione” (Rm 8,22s). Questa preghiera, dunque, che libera dal mondo, è al tempo  stesso la forma più profonda di solidarietà con il mondo.  

La preghiera come è insegnata da Gesù - É. Beaucamp: Mediante l’ncarnazione, il Figlio di Dio è collocato al centro della richiesta incessante degli uomini. Egli la nutre di speranza rispondendovi; nello stesso tempo loda, incoraggia, od educa la  fede (Lc 7,9; Mt 9, 22. 29; 15, 28). Collocato su questo sfondo vissuto, il suo insegnamento si estende anzitutto sul modo di pregare, più abbondantemente che sulla necessità della preghiera: «quando pregate, dite...» (Lc 11,2).
1. I sinottici - Il Pater è il centro di questo insegnamento (Lc 11,2ss; Mt 6, 9-13). Dall’invocazione di Dio come Padre, che prolunga, superandola, l’intimità dei salmi (Sal 27,10; 103,13; cfr. Is 63,16; 64,7), deriva tutto l’atteggiamento dell’orante. Questa invocazione è un atto di fede e già un dono di sé, che immette nel circuito della carità. Ne deriva che, perfettamente in linea con la preghiera biblica, egli fa passare dinanzi a tutto la preoccupazione del  disegno di Dio: del suo  nome, del suo  regno (cfr. Mt 9,38), dell’attuazione della sua volontà. Ma domanda pure il pane (che egli offre nell’eucaristia), poi il perdono, dopo essersi riconciliato con i figli dello stesso Padre, ed infine la grazia di non essere travolto dalle prove del tempo futuro.
Le altre prescrizioni inquadrano o completano il Pater noster, nominano sovente il Padre. L’impressione dominante è che la certezza di essere esauditi è fonte e condizione della preghiera (Mt 18,19; 21,22; Lc 8,50). Marco lo esprime nel modo più diretto: «se egli non esita in cuor suo, ma crede che accadrà ciò che dice, l’otterrà» (Mc 11,23; Cfr. 9,23 e soprattutto Giac 1,5-8). Ora, si è sicuri perché si prega il Padre (Lc 11,13; Mt 7,11). L’interiorità si fonda sulla presenza del Padre che vede nel segreto (Mi 6,6; cfr. 6,4.18). Non accavallare e ripetere le parole (Mt 6,7) quasi che Dio sia lontano da noi, come Baal deriso da Elia (1Re 18,26ss), mentre è il nostro Padre. Perdonare (Mc 11,25 par.; Mt 6,14). Pregare in unione fraterna (Mt 18,19). Ricordare le proprie colpe in una preghiera contrita (Lc 18,9-14).
Bisogna pregare senza interruzione (Lc 18,1; cfr. 11,5-8): la nostra perseveranza deve essere provata, la vigilanza del cuore espressa. La necessità assoluta della preghiera è insegnata nel contesto degli ultimi tempi (Lc 18,1-7), resi vicini dalla passione; senza di essa si sarebbe sommersi da «tutto ciò che deve accadere» (Lc 21,36; cfr. 22,39-46); così pure il Pater termina implorando Dio contro la tentazione insostenibile degli ultimi tempi.
2. Giovanni presenta sotto una luce molto unificata la pedagogia della preghiera, passaggio dalla richiesta alla vera preghiera, e dal desiderio dei doni di Dio a quello del dono che apporta Dio stesso, Come leggevamo già nei salmi. Così la Samaritana è condotta dai suoi propri desideri fino a quello del dono di Dio (Gv 4,10), la folla al «nutrimento che rimane per la vita eterna» (Gv 6,27). Perciò la fede non è soltanto condizione della preghiera, ma suo effetto: il desiderio è nello stesso tempo esaudito e purificato (Gv 4,50.53; 11,25ss.45).

Tutto può divenire preghiera - H. Schönweiss: Tutto può divenire preghiera. Per cui la preghiera può assumere le forme e i modi più disparati: come domanda, porta davanti a Dio le proprie preoccupazioni, grandi o piccole che siano; come penitenza, confessa i propri peccati e chiede il perdono; come intercessione, si fa carico degli altri, dei singoli come della chiesa e del popolo; come ringraziamento, fa salire a Dio la propria lode e gratitudine per le benedizioni materiali e spirituali nella vita propria personale, della comunità, della chiesa, del popolo e della cristianità in tutto il mondo; come adorazione, si pone di fronte a Dio in persona (prescindendo dalla considerazione dei suoi doni) e celebra il suo nome e la sua gloria.
La preghiera è dunque un’espressione vitale della fede, così intimamente saldata ad essa da diventare in pratica, nella comunità primitiva, un’autodefinizione dei cristiani: «coloro che invocano il nome del nostro Signore Gesù Cristo» (1Cor 1,2; At 9,14). Non è quindi ammissibile che si consideri la preghiera semplicemente come un pio esercizio, come un’opera meritoria (si pensi soprattutto al suo accumulo ripetitivo, per es. nella «penitenza» dopo la confessione, oppure al caso in cui sia rimasta come semplice formalità o puro adempimento di un dovere religioso).
La preghiera è invece espressione di un legame vivo e di un rapporto personale con Dio e con Gesù Cristo e proprio qui dimostra la sua forza e la sua benedizione: l’uomo non è più lasciato a se stesso di fronte alla vita, al mondo e alle sue potenze, ma sa che dietro il mondo c’è una presenza paterna, che si è rivelata in Gesù Cristo, e accetta di essere inserito in una realtà che ha un senso ultimo. Non è più costretto a fare debole affidamento su se stesso o su un oggetto, o valore, o fatto di questo mondo, ma sa che il suo punto di forza è al di fuori di sé, ed è quindi reale. Non è più costretto a tirare avanti il monologo della paura, che cerca in qualche modo di infondersi coraggio, ma può parlare a un tu reale. La solitudine è così infranta e la paura superata. Non vede più il mondo circondato dal nulla e dal caos, ma lo vede abbracciato dalla fedeltà di Dio e può così lavorare ponendo la propria fiducia in lui, facendo leva su di lui, e in lui sperare. Pregare e agire nel mondo sono perciò in stretta connessione. L’uno non può sostituire l’altro; la preghiera non può dispensare dall’azione, né l’azione dalla preghiera.

In quella città c’era anche una vedova - P. Sandevoir:  Sola (Bar 4,12-16), la vedova rappresenta un caso tipico di sventura (Is 47,9). La sua condizione rende manifesto un duplice lutto: a meno di contrarre un nuovo  matrimonio, essa ha perduto la speranza della  fecondità; è rimasta senza difesa.
1. L’assistenza alle vedove. - Come l’orfano e lo straniero, la vedova è oggetto di una particolare protezione da parte della legge (Es 22,20-23; Deut 14,28-29; 24,17-22) e di Dio (Deut 10,17s) che ascolta il suo lamento (Eccli 35,14s) e si fa il suo difensore e vendicatore (Sal 96,6-10). Guai a coloro che abusano della sua debolezza (Is 10,2; Mt 12,40 par.). Gesù, come Elia, restituisce a una vedova il suo unico figlio (Lc 7,11-15; 1Re 17,1724) e affida Maria al discepolo prediletto (Gv 19,26s). Nel servizio quotidiano della Chiesa primitiva, ci si preoccupa di sovvenire alle necessità delle vedove (Atti 6,1). Se non hanno più parenti (1Tm 5,16; cfr. Atti 9,36-39), la comunità deve assumersene la responsabilità, come esige la  pietà autentica (Giac 1,27; cfr. Deut 26,12 s; Giob 31,16).
2. Valore riconosciuto alla vedovanza. - Già verso la fine dell’Antico Testamento, si assiste alla nascita di una particolare stima per la vedovanza definitiva di Giuditta (Giudit 8,4-8; 16,22) e di Anna la profetessa (Lc 2,36s), consacrata a Dio nella preghiera e nella penitenza. In Giuditta balza agli occhi il contrasto tra la naturale debolezza e la forza attinta in Dio. Allo stesso modo Paolo, pur tollerando un secondo matrimonio, per evitare i pericoli di una cattiva condotta (1Cor 7,9.39), e arrivando fino ad auspicarlo per le giovani vedove (1Tm 5,13-15), considera però migliore la vedovanza (1Cor 7,8) e vi vede una provvidenziale indicazione della necessità di rinunciare al matrimonio (7,17.24). Infatti, la vedovanza, al pari della verginità, è un ideale spirituale che apre all’azione di Dio e libera per il suo servizio (7,34).
3. L’istituzione delle vedove. - Nella Chiesa, tutte le vedove devono essere irreprensibili (1Tm 5,7.14). Certune, veramente sole, libere da ogni impegno familiare e aliene da ogni dissipazione, si dedicheranno alla preghiera (5,5s). Esiste anche un impegno ufficiale alla vedovanza permanente (5,12). Vi sono ammesse solo vedove che siano state sposate una volta sola e abbiano raggiunto i sessant’anni (5,9); è probabile che esercitassero funzioni caritative, perché dovevano fornire per il passato garanzie di dedizione (5,10). L’ideale proposto alle vedove all’ultima tappa della loro esistenza si riassume quindi nella preghiera, nella castità e nella carità. 

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Tutto può divenire preghiera”. 
Nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Continua in noi, o Dio, la tua opera di salvezza,
perché i sacramenti che ci nutrono in questa vita
ci preparino a ricevere i beni promessi.
Per Cristo nostro Signore.