13 Novembre 2019

Mercoledì XXXII Settimana T. O.

Sap 6,1-11; Salmo Responsoriale 81 [82]; Lc 17,11-19

Colletta: Dio grande e misericordioso, allontana ogni ostacolo nel nostro cammino verso di te, perché, nella serenità del corpo e dello spirito, possiamo dedicarci liberamente al tuo servizio. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi: Gesù non impone le mani sui lebbrosi, non proferisce parola, ma li invita a presentarsi ai sacerdoti, così come prescriveva la legge di Mosè. Ed è in questo viaggio gravido di speranza che i dieci si ritrovano sanati. I nove Ebrei continuano il loro cammino senza preoccuparsi di ringraziare il loro benefattore: nella loro arroganza ritengono la guarigione come un premio meritato per la loro condotta. Il Samaritano ritorna sui suoi passi «lodando Dio a gran voce». La lode è la «forma di preghiera che più immediatamente riconosce che Dio è Dio! Lo canta per se stesso, gli rende gloria perché EGLI È, a prescindere da ciò che fa. È una partecipazione alla beatitudine dei cuori puri, che amano Dio nella fede prima di vederlo nella gloria» (CCC 2639). In questa cornice di gioia e di gratitudine il Samaritano, guarito nella carne, grazie alla sua fede, ottiene «anche la salvezza spirituale, che costituiva il dono più importante nell’incontro con Gesù, l’inviato del Padre per la proclamazione e l’inaugurazione del regno.» (Angelico Poppi).

Dal Vangelo secondo Luca 17,11-19: Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea, per l’evangelista Luca la geografia ha una rilevanza più teologica che fisica, una nota che vuole ricordare al lettore che Gesù è in cammino verso Gerusalemme dove si compirà, con la sua totale offerta, la volontà salvifica del Padre.
La guarigione dei dieci lebbrosi si trova soltanto nel Vangelo di Luca Dei dieci lebbrosi nove sono giudei e uno samaritano. Se le idee religiose dividevano questi due gruppi etnici, la lebbra li congrega in un sodalizio di assistenza reciproca. I lebbrosi si fermano a distanza perché la legge impediva loro di accostarsi ai centri abitati (Nm 5,2-3) e li obbligava a gridare da lontano per avvertire gli altri di non avvicinarsi (Lv 13,45-46). Qui non “gridano la loro infermità”, ma gridano per chiedere la guarigione.
Dal testo lucano si evince che Gesù non proferisce parola né impone le mani (Lc 5,14) ma ingiunge ai malati di andare a presentarsi ai sacerdoti. Molto probabilmente vi sono dei motivi ben precisi che soggiacciono in questo monito: il primo, come dichiarava la Legge, erano i sacerdoti che dovevano costatare l’avvenuta guarigione, il secondo per testimoniare che Gesù non era contrario né alla Legge né al Tempio, e, infine, la guarigione straordinaria doveva servire loro per testimoniare che erano arrivati i tempi della salvezza.
E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ancora un samaritano, odiato e denigrato dai Giudei, che viene imposto come modello (cfr. Lc 10,33).
È come che il lebbroso malato abbia percepito che tutto è dono, che tutto è grazia, e la guarigione non è dovuta, così come invece credevano i giudei: ancora una volta Gesù invita il popolo eletto a spogliarsi dell’abito dell’arroganza per farsi umili, per farsi mendicanti della salvezza, in una parola aprirsi all’amore misericordioso di Dio, e accogliere il perdono come dono perfettamente gratuito.
Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato! L’evangelista Luca, come in altri racconti di guarigioni, mette in evidenza la fede del lebbroso guarito: la guarigione è opera taumaturgica di Gesù sollecitata dal samaritano lebbroso. È la fede dell’uomo che apre il cuore di Dio costrigendolo a intervenire a suo favore, anche operando un miracolo.

Andate a mostrarvi ai sacerdoti -  Rinaldo Fabris (Il Vangelo di Luca): Tutti e dieci si fidano di questa parola di Gesù che già contiene una promessa di guarigione. Tutti avevano invocato l’aiuto di Gesù chiamandolo con l’appellativo usato solo dai discepoli «Maestro», 17,13. Ma solo uno, il samaritano, assimilato nella mentalità giudaica ai pagani e agli stranieri, torna indietro, non solo e non tanto per ringraziare Gesù, quanto per lodare Dio. Quest’espressione è tecnica nel vangelo di Luca per indicare il riconoscimento dell’intervento salvifico di Dio. Gesù a sua volta riconosce nel comportamento del samaritano la fede salvifica. Dieci sono stati guariti, ma uno solo è salvato. Che cosa vuol dire Luca con questo racconto? Si deve ricordare che nell’episodio inaugurale di Nazaret i compaesani di Gesù pretendevano gesti di guarigione a loro favore come un diritto acquisito. Gesù risponde che questo non è lo stile di Dio. E l’esempio del profeta Eliseo, che guarì lo straniero Naaman, doveva insegnare qualche cosa (cfr. 4,27). Anche Naaman, guarito dalla lebbra, ritornò dal profeta Eliseo proclamando la sua lede nel Dio unico d’Israele (cfr. 2 Re 5,15). I giudei che pretendevano i gesti salvifici come un diritto esclusivo sono rimasti estranei al dono salvifico di Dio. Lo straniero, l’escluso, disprezzato come un pagano, entra a far parte di quella categoria di poveri e di piccoli ai quali è destinato il regno di Dio. I cristiani abitudinari, osservanti e pii, rischiano di considerarsi gli unici proprietari della salvezza dimenticando la gratuità assoluta

La lebbra - Paolo VI  (Omelia 29 gennaio 1978): La lebbra! Il solo nome, ancor oggi, ispira a tutti un senso di sgomento e di orrore. Sappiamo dalla storia che tale sentimento era fortemente percepito presso gli antichi, in particolare presso i popoli dell’Oriente, ove, per motivi climatici ed igienici, tale morbo era molto avvertito. Nell’Antico Testamento (Cfr. Lev. 13-14) riscontriamo una puntuale e minuta casistica e legislazione nei confronti dei colpiti dalla malattia: le paure ancestrali, la concezione diffusa circa la fatalità, l’incurabilità ed il contagio, costringevano il popolo ebraico ad usare le opportune misure di prevenzione, mediante l’isolamento del lebbroso, il quale, considerato in stato di impurità rituale, veniva a trovarsi fisicamente e psicologicamente emarginato ed escluso dalle manifestazioni familiari, sociali e religiose del popolo eletto. Inoltre, la lebbra si configurava come un marchio di condanna, in quanto la malattia era considerata un castigo di Dio. Non rimaneva se non la speranza che la potenza dell’Altissimo volesse guarire i colpiti.
Gesù, nella sua missione di salvezza, ha spesso incontrato i lebbrosi, questi esseri sfigurati nella forma, privi del riflesso dell’immagine della gloria di Dio nell’integrità fisica del corpo umano, autentici rottami e rifiuti della società del tempo.
L’incontro di Gesù con i lebbrosi è il tipo e il modello del suo incontro con ogni uomo, il quale viene risanato e ricondotto alla perfezione dell’originaria immagine divina e riammesso alla comunione del popolo di Dio. In questi incontri Gesù si manifestava come il portatore di una nuova vita, di una pienezza di umanità da tempo perduta. La legislazione mosaica escludeva, condannava il lebbroso, vietava di avvicinarlo, di parlargli, di toccarlo. Gesù, invece, si dimostra, anzitutto, sovranamente libero nei confronti della legge antica: avvicina, parla, tocca, e addirittura guarisce il lebbroso, lo sana, riporta la sua carne alla freschezza di quella di un bimbo. «Allora venne a lui un lebbroso - si legge in Marco -, lo supplicava in ginocchio e gli diceva: “Se vuoi, puoi guarirmi!”. Mosso a compassione Gesù stese la mano lo toccò e gli disse: “Lo voglio, guarisci!”. Subito la lebbra scomparve ed egli guarì» (Marc. 1,40-42; cfr. Matth. 8,2-4; Luc. 5,12-15). Lo stesso avverrà per altri dieci lebbrosi (Cfr. Luc. 17,12-19). «I lebbrosi sono guariti!», ecco il segno che Gesù dà per la sua messianicità ai discepoli di Giovanni il Battista, venuti ad interrogarlo (Matth. 11,5). E ai suoi discepoli Gesù affida la propria stessa missione: «Predicate che il regno dei cieli è vicino. ., sanate i lebbrosi» (Matth 10,7ss.). Egli inoltre affermava solennemente che la purità rituale è completamente accessoria, che quella veramente importante e decisiva per la salvezza è la purezza morale, quella del cuore, della volontà, che non ha nulla a che vedere con le macchie della pelle o della persona (Cfr. Ibid. 15,10-20).
Ma il gesto amorevole di Cristo, che si accosta ai lebbrosi confortandoli e guarendoli, ha la sua piena e misteriosa espressione nella passione, nella quale egli, martoriato e sfigurato dal sudore di sangue, dalla flagellazione, dalla coronazione di spine, dalla crocifissione, dal rifiuto escludente del popolo già beneficato, giunge ad identificarsi con i lebbrosi, diviene l’immagine e il simbolo di essi, come aveva intuito il profeta Isaia contemplando il mistero del Servo di Jahvé: «Non ha apparenza né bellezza... disprezzato e reietto dagli uomini.. . come uno davanti al quale ci si copre la faccia, .,. e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato» (Is. 53,2-4). Ma è proprio dalle piaghe del corpo straziato di Gesù e dalla potenza della sua risurrezione, che sgorga la vita e la speranza per tutti gli uomini colpiti dal male e dalle infermità.

Assistenza sanitaria Pio XII (Evangelii Praecones n. 9): Ci piace ancora raccomandare qui assai vivamente le iniziative e le opere sanitarie e assistenziali d’ogni genere, quali gli ospedali, i lebbrosari, i dispensari, i ricoveri dei vecchi e i luoghi destinati alle opere di assistenza per la maternità e infanzia e per tutti i bisognosi di qualsiasi aiuto. Queste opere Ci sembrano i fiori più belli del giardino della carità missionaria, e richiamano alla mente lo stesso divin Redentore che «passò beneficando e sanando tutti» (At 10,38). Senza dubbio tutte queste opere insigni di carità hanno un’efficacia somma per preparare gli animi degli infedeli e disporli a ricevere la fede cristiana, e a praticarne gli insegnamenti; Gesù infatti disse agli apostoli: «Entrando in una città, se vi accolgono ... guarite gli infermi che ci sono, e dite loro: Sta per venire a voi il regno di Dio» (Lc 10,8-9). È necessario tuttavia che i missionari e le suore, che si sentono chiamati a prestare un giorno efficacemente questi soccorsi, si procurino, mentre sono ancora in patria, quella preparazione tecnica e culturale richiesta oggi in questi campi. Sappiamo che non mancano suore diplomate, le quali meritano una particolare lode per essersi applicate allo studio specifico di orribili morbi, quali la lebbra, e per averne trovato convenienti rimedi. Ad esse, come pure a tutti quei missionari che prestano generosamente la loro opera nei lebbrosari, vadano la Nostra paterna benedizione e la Nostra profonda ammirazione per la loro sublime carità. Per l’esercizio poi della medicina e della chirurgia, gioverà cercare anche ausiliari laici, che non solo siano provvisti dei necessari diplomi e disposti a lasciare la patria per aiutare i missionari, ma che per la loro condotta e la capacità professionale corrispondano al loro ufficio.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero? (Vangelo)
Nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Continua in noi, o Dio, la tua opera di salvezza,
perché i sacramenti che ci nutrono in questa vita
ci preparino a ricevere i beni promessi.
Per Cristo nostro Signore.