10 Novembre 2019

XXXII Domenica T. O.

 2Mac 7,1-2.9-14; Dal Salmo 16 (17); 2Ts 2,16-3,5; Lc 20,27-38

Colletta: O Dio, Padre della vita e autore della risurrezione, davanti a te anche i morti vivono; fa’ che la parola del tuo Figlio, seminata nei nostri cuori, germogli e fruttifichi in ogni opera buona, perché in vita e in morte siamo confermati nella speranza della gloria. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

I Lettura: Il secondo libro dei Maccabei, scritto nei primi decenni del II secolo a.C., si presenta come il riassunto in greco di un’opera in cinque libri di un ignoto Giasone di Cirene, con lo scopo «di offrire diletto a coloro che amano leggere, facilità a quanti intendono fissare nella memoria, utilità a tutti gli eventuali lettori» (2,23-25). Nel libro, oltre alla dottrina religiosa comune agli altri libri dell’Antico Testamento, si trovano insegnamenti precisi sulla vita futura: immortalità dell’anima, risurrezione, comunione dei santi, valore dei suffragi per i defunti. La pagina odierna, è il racconto struggente del martirio di sette fratelli Giudei. I fratelli nella dura prova sono incoraggiati e sostenuti dalla madre. Qui per la prima volta è affermata la fede nella risurrezione dei corpi. Siamo dinanzi anche a uno dei momenti più alti della rivelazione biblica circa il problema della retribuzione: al giusto tocca il premio, al malvagio un giudizio di condanna.

Salmo Responsoriale: Paolino Beltrame-Quattrocchi (I Salmi preghiera cristiana): Il povero del Signore implora aiuto da Dio. Voce di Cristo al Padre nella sua passione: fattosi in tutto simile agli uomini tranne che nel peccato, egli solo può appellarsi alla sentenza del Padre nella sicurezza che l’occhio di lui, che saggia e scruta il cuore, non vi troverà malizia. Per questo, in mezzo agli oppressori che lo circondano per abbatterlo, egli invoca i prodigi del suo amore, si affida alla sua destra e si rifugia all’ombra delle sue ali. Egli sa che nella risurrezione, al risveglio dalla prova, contemplerà il suo volto e si sazierà della sua presenza. Voce della Chiesa nelle persecuzioni e nelle prove.

II Lettura: Paolo esorta i cristiani di Tessalonica a restare fedeli a quanto è stato loro insegnato e a perseverare nella fede, sicuri del sostegno di Dio. La vita cristiana deve essere vissuta nell’amore di Dio e nella pazienza di Cristo: «due qualità teologiche irraggiungibili dalle sole forze umane. La prima non è che la partecipazione alla vita divina, la seconda è l’accettazione delle croci seguendo le orme di Cristo» (Tiziano Lorenzin).

Vangelo: Gesù con la sua risposta confuta la dottrina dei sadducèi che negavano la risurrezione, e allo stesso tempo corregge la dottrina dei farisei, che concepivano la risurrezione in termini materiali: i defunti sarebbero risorti con i loro vestiti, con le stesse infermità, sordi, ciechi, zoppi, in modo da poterli riconoscere. Nel suo insegnamento, Gesù afferma che la vita dei morti sfugge agli schemi di questo mondo presente: è una vita diversa perché divina, eterna. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui: un chiaro ammonimento a non aggrapparsi alla propria fantasia per chiarire alcuni dati della fede, ma di poggiare ogni conoscenza sulla infallibilità della Scrittura.

Dal Vangelo secondo Luca 20,27-38: In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi - i quali dicono che non c’è risurrezione - e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Alla domanda sciocca posta dai Sadducèi, Gesù risponde affermando inequivocabilmente la realtà della risurrezione e illustrando i requisiti dei corpi risorti confuta sapientemente l’argomento dei suoi interlocutori: in questo mondo gli uomini contraggono nozze per assicurare la continuità della specie, «nella risurrezione» cesserà questa necessità: gli uomini «giudicati degni della vita futura e della risurrezione», partecipando a una nuova vita, saranno «uguali agli angeli» e non potranno più morire. L’evangelista Luca dicendo saranno uguali agli angeli non vuole fare un paragone, ma spiegare in cosa consiste la risurrezione: non in una «rianimazione di un cadavere, bensì nella spiritualizzazione di tutto l’essere umano, reso simile agli angeli in cielo, per partecipare alla vita di Dio, come dono sublime della sua liberalità» (Angelico Poppi). Gesù per affermare il mistero della risurrezione cita la Parola di Dio, così come avevano fatto i Sadducèi per negarla. È infatti la Sacra Scrittura a dimostrare il grave errore dei Sadducèi: il Signore, nella teofania del roveto ardente, dichiarandosi «il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe» (Es 3,6) rivela una comunione vera con degli esseri che anche dopo la morte continuano a vivere. «Vivono per sempre» (Sap 5,15) perché da Dio sono stati creati per l’immortalità: «Dio non ha creato la morte; le creature del mondo sono portatrici di salvezza, in esse non c’è veleno di morte, né il regno dei morti è sulla terra. La giustizia infatti è immortale [...]. Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità; lo ha fatto a immagine della propria natura» (Sap 1,13.15-2,23). La morte non può spezzare la comunione di coloro che si addormentano nel Signore con il Dio vivo e fedele (cfr. Rom 6,10): Dio, non intendendo lasciare i suoi amici nella corruzione del sepolcro (cfr. Sal 16,10s), saprà trarli col suo Spirito dalla polvere (cfr. Ez 37,3; Gv 11,24s). Una comunione che coinvolgerà interamente l’uomo: nel giorno della risurrezione dei morti i corpi si ricongiungeranno alle anime per godere eternamente. La risposta di Gesù zittisce i sadducèi e appaga i farisei i quali plaudono con vero entusiasmo: una volta tanto si sono trovati d’accordo con il giovane rabbi di Nazaret.

Risurrezione della carne - Anton Grabner-Haider: Le radici della fede nella risurrezione risalgono al tempo dei profeti: Osea (13,14), Ezechiele (37,1-14) e Daniele (12,1ss) testimoniano la nascita della speranza nella universale risurrezione.
La liturgia sapienziale dell’AT, influenzata dall’ellenismo, recepisce invece dalla filosofia greca la dottrina dell’immortalità dell’anima. Il fondamento della speranza nella risurrezione è la fede nella potenza totale, illimitata, globale di JHWH in quanto “Dio vivente” (Ger 23,36). Nella tradizione di Elia e di Eliseo dei Libri dei Re (1Re 17; 2Re 4) le risurrezioni di morti sono un segnale della potenza di Dio che si esprime nell’azione dei profeti. Il racconto del misterioso rapimento di Elia sul carro di fuoco mostra, naturalmente, che qui non si può ancora parlare di una risurrezione universale. Questa idea è documentabile soltanto negli scritti apocalittici del tardo giudaismo, e anche lì solo parzialmente (per es. nell’Apocalisse siriaca di Baruc. Apocalissi di Baruc). Non c’era accordo circa il momento esatto, la cerchia degli interessati e lo spazio vitale dei risorti. Lo stesso disaccordo dimostrano ancora anche le asserzioni del NT. Nei sinottici, per es., manca un cenno esplicito al fatto che anche gli empi risorgono, sebbene questo sia presupposto nelle affermazioni riguardanti il giudizio (per es. Mt 25,31-46). Un’asserzione chiaramente universale è quella di Luca negli Atti degli apostoli (24,15). Nella controversia con coloro che a Corinto negavano la risurrezione, con i giudaizzanti che attendevano semplicemente un ritorno dei giusti in condizioni terrene mutate, e con gli gnostici che consideravano la risurrezione una pazzia, Paolo andò sviluppando i principi di una teologia della risurrezione: partendo dalla risurrezione di Gesù, egli vede la risurrezione dei cristiani come conseguenza salvifica della vita “in Cristo” e del possesso dello Spirito (Rm 8,11). Dal momento che le Lettere di Paolo conservano i tratti espressivi della sua predicazione, è comprensibile che egli non dica nulla riguardo la risurrezione dei non-cristiani; essa però è chiaramente deducibile dalle sue asserzioni circa il giudizio (per es. 2Cor 5,10). L’importanza odierna dell’annuncio neotestamentario della risurrezione va ricercata in quanto segue: 1. Contro opinioni dualistiche che attendono un compimento riguardante solamente l’anima spirituale, l’uomo intero viene concepito come unità indissolubile e ogni svalutazione del corpo viene condannata come non-cristiana. 2. Le oggettivazioni apocalittiche vanno riferite alla personalità dell’esistenza umana che supera ogni dimensione intramondana. 3. Le asserzioni sulla risurrezione non sono delle pure asserzioni riguardanti il futuro; quali anticipazioni del futuro totale dell’uomo, esse entrano nel presente, rendendo possibile una vita colma di esistenza escatologica.

Terra nuova e cielo nuovo - Gaudium et spes 39: Ignoriamo il tempo in cui avranno fine la terra e l’umanità e non sappiamo in che modo sarà trasformato l’universo. Passa certamente l’aspetto di questo mondo, deformato dal peccato. Sappiamo però dalla Rivelazione che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova, in cui abita la giustizia, e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli uomini.
Allora, vinta la morte, i figli di Dio saranno risuscitati in Cristo, e ciò che fu seminato in infermità e corruzione rivestirà l’incorruttibilità; resterà la carità coi suoi frutti, e sarà liberata dalla schiavitù della vanità tutta quella realtà che Dio ha creato appunto per l’uomo.
Certo, siamo avvertiti che niente giova all’uomo se guadagna il mondo intero ma perde se stesso. Tuttavia l’attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo della umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione, che adombra il mondo nuovo.
Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del regno di Cristo, tuttavia, tale progresso, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, è di grande importanza per il regno di Dio. Ed infatti quei valori, quali la dignità dell’uomo, la comunione fraterna e la libertà, e cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, allorquando il Cristo rimetterà al Padre «il regno eterno ed universale: che è regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace».
Qui sulla terra il regno è già presente, in mistero; ma con la venuta del Signore, giungerà a perfezione.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «È vero: la risurrezione di Gesù fonda la nostra salda speranza e illumina l’intero nostro pellegrinaggio terreno, compreso l’enigma umano del dolore e della morte. La fede in Cristo crocifisso e risorto è il cuore dell’intero messaggio evangelico, il nucleo centrale del nostro “Credo”» (Benedetto XVI). 
Nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Ti ringraziamo dei tuoi doni, o Padre;
la forza dello Spirito Santo,
che ci hai comunicato in questi sacramenti,
rimanga in noi e trasformi tutta la nostra vita.
Per Cristo nostro Signore.