7 Ottobre 2019

Lunedì XXVII Settimana T. O.

B. V. MARIA DEL ROSARIO – MEMORIA

Gn 1,1-2,1.11; Sal Cant. Gn 2,3-5.8; Lc 10,25-37

Dal Martirologio: Memoria della beata Maria Vergine del Rosario: in questo giorno con la preghiera del Rosario o corona mariana si invoca la protezione della santa Madre di Dio per meditare sui misteri di Cristo, sotto la guida di lei, che fu associata in modo tutto speciale all’incarnazione, passione e risurrezione del Figlio di Dio.

Colletta: Infondi nel nostro spirito la tua grazia, o Padre; tu, che nell’annunzio dell’angelo ci hai rivelato l’incarnazione del tuo Figlio, per la sua passione e la sua croce, con l’intercessione della beata Vergine Maria, guidaci alla gloria della risurrezione. Per il nostro Signore Gesù Cristo.

I personaggi del racconto evangelico appartengono a due mondi contrapposti, «l’un contro l’altro armato» (Alessandro Manzoni): da una parte il Samaritano, lo straniero ed eretico (Cf. Gv 8,48; Lc 9,53), dal quale non si attenderebbe normalmente che odio e dall’altra il sacerdote e il levita, coloro che in Israele sono maggiormente tenuti a osservare la legge della carità. Quest’ultimi sono convinti di amare Dio anche se lasciano morire per strada chi ha avuto la disavventura di incappare nei briganti: non si accorgono che è una pura scempiaggine credere di amare Dio disprezzando il prossimo. La religione che separa totalmente il religioso dal profano, che ha cura del rito senza integrarlo con la morale, che non assomma il culto con la carità, è praticamente una religione atea con pericolosi propensioni al fanatismo e all’idolatria.

Dal Vangelo secondo Luca 10,25-37: In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

Gesù nel raccontare la parabola, di proposito, opera uno spostamento di accento, dall’oggetto al soggetto. Mentre il dottore della Legge aveva chiesto chi doveva essere oggetto del suo amore, Gesù fa vedere il soggetto, chi è colui che ama veramente; al dottore della Legge che chiedeva chi fosse il prossimo da amare, Gesù gli insegna come lui avrebbe dovuto diventare prossimo. Praticamente, Gesù chiede al dottore della legge di rientrare in se stesso e di verificare in che modo egli si pone nei confronti degli altri, quali relazioni costruisce con gli altri. Al termine della parabola, il saccente custode della Legge scopre il senso dell’insegnamento di Gesù: come il Samaritano deve avere il coraggio di farsi prossimo di chi nell’immediato ha bisogno del suo aiuto senza stare a sofisticare in questioni di lana caprina. Una bella lezione per chi era abituato a «filtrare il moscerino» (Mt 23,24). Non va poi dimenticato il senso cristologico della parabola: il buon Samaritano è Gesù che nell’amare l’umanità rivela e realizza l’infinito amore del Padre per tutti gli uomini. In questa ottica l’amore verso il prossimo, che con la parabola viene comandato a tutti i discepoli, deve essere interpretato come continuazione dell’amore di Gesù, come insegnano le sue stesse parole: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 15,34).

 Amerai  il prossimo come te stesso - Silvano Fausti (Una comunità legge il Vangelo di Luca): «come te stesso». Devo amare il «vicino» non in modo assoluto, ma come me stesso (Lv 19,18). E io amo me quando amo Dio da tutto il cuore. L’amore per l’altro deve quindi aiutarlo a raggiungere il suo fine, che è quello di amare Dio in modo assoluto. Solo così è se stesso e si realizza. Amarlo di amore assoluto e immediato, cioè in sé e per me, è idolatria ed egoismo, che distrugge me e lui. È èros che fagocita tutto, è thànatos (morte) che divora la vita. «Io per lui e lui per me», detto tra uomini, è solo immagine e somiglianza dell’amore tra Dio e uomo. Posso e devo amare l’uomo di amore totale, ma solo in modo mediato, cioè per amore di Dio, che lo ama di amore infinito. Solo così lo amo in se stesso, per ciò che è. Diversamente lo amo per me e per ciò che non è. Amare un fratello per Dio non è sottrargli qualcosa: è accettare la sua verità e libertà di figlio, che sempre rimane. Questo medesimo comando è espresso in 6,31: «Ciò che volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro». La definizione, più operativa, è sulla linea della parabola successiva che la illustra. L’egoismo fa porre il proprio io al centro di tutto; la conoscenza di Dio fa spostare il proprio centro dall’io all’altro. È la conversione all’amore, che ci restituisce a noi stessi, facendoci simili a lui. L’uomo è un abisso infinito. Se è riempito dell’amore di Dio, è come il sole che manda fuori i suoi raggi. Se si sente vuoto, è un buco nero che assorbe e distrugge tutto nel nulla. «Amare come se stesso» può anche significare che uno è in grado di amare l’altro solo se ama se stesso. E ama se stesso solo se si sente amato in modo diretto e assoluto, in sé e senza condizioni. Questo è l’amore che ha Dio per noi in Gesù, il samaritano. Grande virtù è volersi bene nel nome di Dio, e amare noi stessi come e perché lui ci ama. Inoltre «amare come se stesso» può significare che un giusto amore per sé fa conoscere cosa giova all’altro. È la discreta caritas, l’amore di un cuore illuminato dal discernimento. Inoltre nessuno è più cattivo di chi è cattivo con se stesso: chi ama se stesso, ama tutti (Antonio il Grande).

E chi è mio prossimo? - X. Léon-Dufour: Antico Testamento: Il termine «prossimo», che rende con molta esattezza ii termine greco plesìon, corrisponde imperfettamente al termine ebraico rea ’ che gli è soggiaceste.
Non deve essere confuso con il termine «fratello», quantunque sovente vi corrisponda. Etimologicamente esprime l’idea di associarsi con uno, di entrare nella sua compagnia. Al contrario del * fratello, al quale si è legati per relazione naturale, il prossimo non appartiene alla casa paterna; se il mio fratello è un altro me stesso, il mio prossimo è diverso da me, un estraneo che per me può rimanere «un altro», ma che può anche diventare un fratello. Un legame può  crearsi in tal modo fra due esseri, sia in modo passeggero (Lev 19,13.16.18), sia in modo duraturo e personale, in virtù dell’amicizia (Deut 13,7) o dell’amore (Ger 3,1.20; Cant 1,9.15) o della dimestichezza (Giob 30,29). Nei codici antichi non si faceva questione di «fratelli» ma di «altri» (ad es. Es 20,16s): nonostante questa apertura virtuale sull’universalismo, l’orizzonte della legge non andò oltre il popolo di Israele. In seguito, con la loro coscienza più viva della elezione, il Deuteronomio e la legge di santità confondono «gli altri» e «fratello» (Lev 19,16s), intendono con ciò i soli Israeliti (17,3). Non è un restringimento dell’amore del «prossimo» all’amore dei soli «fratelli»; al contrario, questi testi si sforzano di estendere il comandamento dell’amore assimilando all’Israelita lo straniero residente» (17,8.10.13; 19,34). Dopo l’esilio si fa luce una duplice tendenza. Da una parte, il dovere di amare non concerne più che l’Israelita od il proselito circonciso: la cerchia dei «prossimi» si restringe. Ma dall’altra parte, quando i Settanta rendono l’ebraico rea` con il greco plesìon, separano «gli altri» da «fratello». Il prossimo che bisogna amare sono gli altri, siano o no un fratello. Non appena due uomini si incontrano, sono l’uno per l’altro il «prossimo», indipendentemente dalle loro relazioni di parentela o da quel che pensano l’uno dell’altro.
Nuovo Testamento: Quando lo scriba domandava a Gesù: «Chi è il mio prossimo?» (Lc 10,29), è probabile che assimilasse ancora questo prossimo al suo «fratello», membro del popolo di Israele. Gesù trasformerà definitivamente la nozione di prossimo.
Innanzitutto consacra il comandamento dell’amore: «Amerai il prossimo come te stesso». Non soltanto concentra in esso gli altri comandamenti, ma lo collega indissolubilmente al comandamento dell’amore di Dio (Mt 22,34-40 par.). Sull’esempio di Gesù, Paolo dichiara solennemente che questo comandamento «racchiude tutta la legge» (Gal 5,14), è la «somma» degli altri (Rom 13,8ss), e Giacomo lo qualifica come «legge regale» (Giac 2,8). In seguito, Gesù universalizza questo comandamento: si devono amare i propri avversari, non soltanto i propri amici (Mt 5,43-48); ciò suppone che sia stata abbattuta nel proprio cuore ogni barriera, cosicché l’amore può estendersi allo stesso nemico. Infine, nella parabola del buon Samaritano, Gesù scende alle applicazioni pratiche (Lc 10,29-37). Non spetta a me decidere chi è il mio prossimo. L’uomo in difficoltà, quand’anche mio nemico, mi invita a diventare suo prossimo. L’amore universale conserva così un carattere concreto: si manifesterà nei confronti di ogni uomo che Dio pone sulla mia strada. 

Va’ e anche tu fa’ così - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Colui che gli ha operato misericordia; risposta compendiosa che abbraccia tutti gli atti di misericordia compiuti dal buon samaritano e segnalati accuratamente dall’autore della parabola. L’idea fondamentale della immagine evangelica è espressa in queste parole conclusive; è necessario conoscere che bisogna «operare misericordia» verso chi ne ha bisogno, più che precisare chi sia il prossimo, poiché la mancata attuazione dell’amore del prossimo non dipende dall’ignorare chi sia il prossimo, bensì dal non sentire l’amore per esso. Il povero viandante spogliato e coperto di ferite che giaceva sulla via di Gerico era egualmente «prossimo» per il sacerdote, per il levita e per il samaritano; soltanto questo ultimo, che nutriva vero amore per gli altri, gli usò misericordia interessandosi premurosamente di lui. Per questo elevato realismo evangelico Gesù replica definitivamente al legista non già col dirgli: impara chi è il tuo prossimo, bensì col comandargli: «Va’ finche tu fa’ lo stesso». Sulla parabola del buon samaritano recentemente si è discusso tra gli studiosi allo scopo di stabilire se essa proponga un esempio di carità, come in genere si ritiene, oppure se voglia indicare la vera personalità del Messia, come già avevano affermato i Padri e come sostengono alcuni esegeti contemporanei. La parabola del samaritano infatti, per questi studiosi recenti, presenta delle chiare analogie con quella del buon pastore (cf. Gio., 10,1-18); inoltre il termine samaritano etimologicamente potrebbe richiamare il participio ebraico del verbo shamar, participio che significa «guardiano» ed anche «pastore»; in questo caso Gesù è il buon samaritano, il vero pastore di Israele. La congettura presenta dei lati fondati e sembra essere corroborata anche dallo stesso contesto in cui la parabola è posta, poiché essa segue la rivelazione del mistero che il Padre ha comunicato ai «piccoli» (cf. Lc., 10,21-24). Non possiamo qui precisare quale possa essere stata la tradizione pre-evangelica di questa parabola così caratteristica e trasmessa unicamente dal terzo evangelista, tuttavia non si può negare che essa, nella forma in cui è stata fissata nel racconto evangelico che abbiamo, intenda presentare un esempio di sentito ed operante amore per il prossimo.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». (Vangelo)
Nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Dio, nostro Padre, concedi a noi,
che in questo sacramento abbiamo annunziato
la morte e risurrezione del tuo Figlio,
di essere sempre uniti alla sua passione
per condividere la gioia immensa del tuo regno.
Per Cristo nostro Signore.