6 Ottobre 2019

XXVII Domenica Settimana T. O.

 Ab 1,2-3;2,2-4; Sal 94 [95]; 2Tm 1,6-8.13-14; Lc 17,5-10

Colletta: O Padre, che ci ascolti se abbiamo fede quanto un granello di senapa, donaci l’umiltà del cuore, perché, cooperando con tutte le nostre forze alla crescita del tuo regno, ci riconosciamo servi inutili, che tu hai chiamato a rivelare le meraviglie del tuo amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

I Lettura Il ministero profetico di Abacuc si svolse in un’epoca travagliata, che culminò con la deportazione del popolo eletto in esilio. Il quadro religioso, politico e sociale del paese è devastante: violenze, iniquità, oppressioni, rapine, liti, contese... In tale situazione, Abacuc si lamenta del silenzio di Dio. Sembra ormai che gli eventi luttuosi siano senza soluzioni, ma il Signore invita il profeta ad attendere con fede la liberazione. In situazioni dolorose in cui i credenti sperimentano paradossalmente il silenzio e l’assenza del Signore, dalla parola di Dio viene rimarcata l’importanza decisiva della fede.

Salmo Responsoriale: Gianfranco Ravasi: “Le battute iniziali «Venite, esultiamo al Signore, acclamiamo... alla Presenza [divina] andiamo cantando» hanno reso questo inno liturgico il tradizionale «Invitatorio» alla preghiera, posto in apertura al culto giudaico e cristiano. Ed effettivamente questo inno è di origine liturgica: dopo due professioni di fede nell’azione creatrice di Dio [vv. 3-5] e in quella dispiegata nella storia della salvezza (v. 7), il canto si trasforma in un oracolo profetico che coinvolge l’assemblea in un duro esame di coscienza (vv. 8-11). Si evoca, infatti, l’evento centrale della fede biblica, la nascita di Israele nel deserto dopo la liberazione offerta da Dio nell’esodo dall’Egitto. Ebbene, in quegli inizi Israele ha sfoderato tutta la gamma delle sue ribellioni: il poeta cita in particolare l’episodio di Massa e Meriba narrato in Esodo 17,1-7 e in Numeri 20,2-13. Dio, allora, fu nauseato di quel popolo che pure aveva amato e la sua minaccia «Non entreranno nel mio riposo», cioè nella terra promessa, fu attuata per quella generazione ed è sospesa come nuovo giudizio per la generazione presente. Si legga la meditazione che su questo sa1mo ha intessuto l’autore della Lettera agli Ebrei [cc. 3-4]”.

II Lettura: Tutta la lettera ha la forma di un testamento spirituale e pastorale rivolto al diletto figlio Timoteo. L’apostolo Paolo riferendosi al messaggio da lui predicato e trasmesso a Timoteo, raccomanda al suo discepolo di riceverlo «con la fede e l’amore, che sono in Cristo Gesù», cioè con la certezza assoluta della veridicità divina: «non come parola di uomini ma, qual è veramente, come parola di Dio» (1Ts 2,13). È sottolineata con forza anche l’esortazione a che il ministero pastorale venga svolto con la potenza di Dio e con l’aiuto dello Spirito Santo.

Vangelo Il brano appartiene agli insegnamenti di Gesù dettati lungo il cammino verso Gerusalemme. Tali insegnamenti riguardano la vita del cristiano come sequela del Cristo. Il Vangelo, proclama la potenza della fede nel Padre e indica come trovarla e gli strumenti adatti per tenerla viva: «La purezza della fede non si conquista senza una autentica e profonda umiltà di cuore, senza una devozione pia, senza una costante assiduità nella preghiera. Per questo occorre pregare spesso e dire: “Signore, accresci in noi la fede!”» (Sant’Antonio da Padova). Il breve dialogo tra Gesù e gli Apostoli viene completato da una parabola, che invita a ridimensionare ogni sopravvalutazione delle proprie opere. Le parole di Gesù non vogliono umiliare l’uomo o la sua intelligenza creativa, ma semplicemente gli vogliono ricordare che tutto è grazia.

Dal Vangelo secondo Luca (17,5-10): In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe. Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Alla richiesta degli Apostoli - Aumenta la nostra fede - Gesù risponde con un detto paradossale, caratteristico del suo linguaggio (Cf. Mc 11,23; Lc 17,2; 18,5). Anche se non è del tutto chiaro il rapporto tra la domanda e la risposta, il linguaggio iperbolico serve a Gesù a illustrare la potenza della fede: da una parte il gelso, una pianta praticamente inestirpabile; dall’altra, una fede piccola quanto un granello di senape, «che era assunto come parametro per indicare la minima traccia visibile ad occhio nudo. Il senso è chiaro: la fede anche nella più piccola quantità ipotizzabile, racchiude una forza straordinaria» (Vittorio Fusco).
Certamente gli Apostoli avevano intuito la potenza e la preziosità della fede e comprendendo che essa è un dono del Signore la invocano da lui con fermezza: la risposta di Gesù non fa altro che sottolineare la felice comprensione dei Dodici.
Il breve insegnamento sulla potenza della fede viene completato dalla parabola del servo inutile che va compresa facendo memoria dei rapporti sociali esistenti nel mondo greco-romano.
La parabola evangelica non vuole mettere in luce l’agire di Dio verso l’uomo, ma vuole illustrare l’atteggiamento dell’uomo verso Dio mettendo in questo modo in evidenza il giusto valore delle opere umane al cospetto del Signore.
I Farisei sopravvalutavano le loro opere (Lc 18,9-14). Erano convinti che esse dessero loro il diritto ad un’adeguata retribuzione, che fossero esse a far ottenere loro il perdono e l’amicizia di Dio. A questa concezione Gesù contrappone una diversa immagine dell’uomo che decide di mettersi al servizio di Dio. Totalmente impegnato nel servizio affidatogli non deve accampare meriti, diritti o ricompense particolari, ma sentirsi sempre in debito e mai in credito, sempre a mani vuote davanti al Signore.
L’uomo «deve ricordare che quando ha fatto il suo dovere, la ricompensa Dio gliela dà. Non gliela fa mancare perché Dio è un buon pagatore, che non si lascia vincere da nessuno e mai in generosità. Il dono però non risponde ad un’esigenza umana naturale, ma esclusivamente alla munificenza divina» (Vincenzo Raffa).
L’espressione servi inutili non va intesa nel senso di incapaci. Il servo inutile è colui che fa semplicemente ciò che gli viene comandato.
Dio invece prende sul serio l’impegno dell’uomo, lo sollecita, lo desidera, lo chiede accurato e completo! Il bene va fatto bene! È il Padre che interpella i figli, li chiama, li vuole impegnati nella sua casa, li sollecita ad andare a lavorare nella sua vigna (Mt 20,1ss), ma senza le fronde dell’alterigia, della vanità o della superbia. Un lavoro fatto in silenzio e in umiltà, nel nascondimento, senza montarsi la testa, senza sentirsi i primi della classe. Nessuno di noi è indispensabile, perché la Chiesa è la casa dei servi inutili.
Quello che il Signore Gesù vuole sottolineare non è la inutilità del servizio in se stesso, ma la risonan­za interiore; la consapevolezza che il nostro impegno non è che una risposta, doverosa e sempre inadeguata, all’amore infinito di Dio.

La fede - J. Duplacy: Le preparazioni - La fede dei poveri (cfr. LC 1,46-55) accoglie il primo annunzio della salvezza. Imperfetta in Zaccaria (1,18 ss; cfr. Gen 15,8), esemplare in Maria (Lc 1,35ss.45; cfr. Gen 18,14), condivisa a poco a poco da altri (Lc 1-2 par.), l’umiltà delle apparenze non le vela l’iniziativa divina. Coloro che credono in Giovanni Battista sono pure dei poveri, coscienti del loro peccato, e non dei farisei orgogliosi (Mt 21, 23-32). Questa fede li raduna a loro insaputa attorno a Gesù, venuto tra essi (3,11-17 par.), e li orienta verso la fede in lui (Atti 19,4; cfr. Gv 1,7).
La fede in Gesù e nella sua parola. - Tutti potevano «sentire e vedere» (Mt 13,13 par.) la parola ed i miracoli di Gesù che proclamavano la venuta del regno (11,3-6 par.; 13, 16-17 par.). Ma «ascoltare la parola» (11,15 par.; 13,19-23 par.) e «metterla in pratica» (7,24-27 par.; cfr. Deut 5,27), vedere veramente, in una parola: «credere» (Mc 1,15; Lc 8,12; cfr. Deut 9,23), fu la caratteristica dei discepoli (Lc 8,20 par.). D’altra parte, parola e miracoli ponevano la domanda: «Chi è costui?» (Mc 4,41; 6,1-6.14ss par.). Questa questione fu una prova per Giovanni Battista (Mt 11,2s) ed uno scandalo per i farisei (12,22-28 par.; 21,23 par.). La fede richiesta per i miracoli (Lc 7,50; 8,48) non vi rispondeva che parzialmente riconoscendo la onnipotenza di Gesù (Mt 8,2; Mc 9,2 s). Pietro diede la vera risposta: «Tu sei il Cristo» (Mt 16,13-16 par.). Questa fede in Gesù unisce ormai i discepoli con lui e tra di loro, facendoli partecipi del segreto della sua persona (16,18-20 par.). Attorno a Gesù, che è un povero (Mt 11,29) e si è rivolto ai poveri (5,2-10 par.; 11,5 par.), si è così costituita una comunità di poveri, di «piccoli» (10, 42), il cui legame, più prezioso di ogni cosa, è la fede in lui e nella sua parola (18,6-10 par.). Questa fede viene da Dio (11, 25 par.; 16,37) e sarà condivisa un giorno dalle «nazioni (8,5-13 par.; 12,38-42 par.).
Le profezie si compiono. 3. La perfezione della fede. - Quando Gesù, il servo, prende la via di Gerusalemme per obbedire fino alla morte (Fil 2,7 s), «fa il viso duro» (Le 9,51; cfr. Is 50,7). In presenza della morte egli «porta alla perfezione la fede» (Ebr 12,2) dei poveri (Lc 23,46 = Sal 31,6; Mt 27,46 par. = Sal 22), mostrando una fiducia assoluta in «colui che poteva», con la risurrezione, «salvarlo dalla morte» (Ebr 5,7). Malgrado la loro conoscenza dei  misteri del regno (Mt 13,11 par.), i discepoli ebbero difficoltà a mettersi sulla via in cui, nella fede, dovevano seguire il figlio dell’uomo (16,21-23 par.). La fiducia che esclude ogni preoccupazione ed ogni timore (Lc 12, 22-32 par.) non era loro abituale (Mc 4, 35-41; Mt 16,5-12 par.). Quindi, la «prova della passione» (Mt 26,41) sarà per essi uno scandalo (26,33). Ciò che allora essi vedono richiede molta fede (cfr. Mc 15,31s). La fede dello stesso Pietro, senza sparire - perché Gesù aveva pregato per essa (Lc 22, 32) - non ebbe il coraggio di affermarsi (22,54-62 par.). La fede dei discepoli doveva ancora fare un passo decisivo per diventare la fede della Chiesa.

Siamo servi inutili - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Così (è) anche (di) voi; nell’applicazione della parabola non si parla più dei sentimenti del padrone, ma di quelli dei servi; la parola conclusiva infatti è pronunziata dai servi, non già dal padrone. Siamo dei semplici servi; l’aggettivo ἀρεῖος significa: inutile, da nulla; la Volgata traduce: servi inutiles sumus. Nel contesto l’aggettivo «inutile» non è appropriato, né rende con fedeltà il pensiero; infatti il servo dopo aver lavorato e compiuto fedelmente tutto ciò che gli è stato ordinato non può dire di essere inutile, poiché sarebbe insincero. È meglio quindi tradurre con l’espressione indicata nel testo, la quale puntualizza meglio lo spirito del sublime insegnamento di Cristo. Dalla parabola che presenta una situazione, giudicata dal lettore moderno eccessiva e tirannica, emerge questo confronto: come lo schiavo non si gloria del lavoro compiuto per il padrone, né può esigere da lui una qualsiasi ricompensa, poiché per lo schiavo la più grande soddisfazione consiste nel poter dire: ho servito in tutto il mio padrone, così dev’essere anche per i discepoli; essi quindi si guardino dall’insuperbirsi per ciò che hanno compiuto, né possono esigere delle ricompense per l’opera prestata, ma debbono ritenersi dei semplici servi che hanno eseguito ciò che era stato loro comandato. Tra l’immagine e la verità esiste una sproporzione notevole; per questo motivo gli elementi descrittivi utilizzati nella parabola restano ad un livello inferiore della dottrina proposta. Il Maestro ha voluto impartire ai suoi collaboratori una lezione incisiva sulla umiltà, che per essi ha un valore fondamentale. Soltanto Luca ha trasmesso questo elevato insegnamento che scopre ai ministri del vangelo un aspetto misterioso della vocazione che hanno ricevuta. La parabola, pur con i suoi tratti rudi e marcati, lascia chiaramente intendere agli apostoli che per essi il servire la causa del regno è una grazia incomparabile ed un onore inestimabile. Gesù non ha soltanto insegnato agli altri questa dottrina che ha degli aspetti paradossali, ma l’ha proposta a se stesso come norma ispiratrice della propria vita (cf. Lc., 12,37; 22,27).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Dio prende sul serio l’impegno dell’uomo, lo sollecita, lo desidera, lo chiede accurato e completo! Il bene va fatto bene!
Nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

La comunione a questo sacramento
sazi la nostra fame e sete di te, o Padre,
e ci trasformi nel Cristo tuo Figlio.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.