5 Ottobre 2019
Sabato XXVI Settimana T. O.
Bar 4,5-12.27-29; Sal 68 [69]; Lc 10,17-24
Colletta: O Dio, che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono, continua a effondere su di noi la tua grazia, perché, camminando verso i beni da te promessi, diventiamo partecipi della felicità eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
I settantadue tornarono pieni di gioia: gli inviati tornano pieni di gioia per avere esperimentato la potenza del Nome di Gesù. Ma il Maestro smorza un po’ la loro contentezza. Possono soltanto rallegrarsi per il fatto che i loro nomi «sono scritti nei cieli». Come ricorda san Paolo, la croce, e soltanto la croce, è la ricompensa e la forza del discepolo. Invece di aggrapparsi alla gratificazione del loro lavoro apostolico, i cristiani, «abbandonandosi al Padre come il Cristo nel momento supremo della croce [cfr. Lc 23,46; Atti 7,59], restano saldi nella edificazione della Chiesa che il Cristo opera proprio attraverso la loro stessa tribolazione» (Maria Ignazia Danieli). E se questo è l’unico metodo che Cristo usa per edificare la sua Chiesa allora si può comprendere perché scarseggiano gli operai per il suo regno.
Dal Vangelo secondo Luca (10,17-24): In quel tempo, i settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli». In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo». E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».
La missione dei settantadue discepoli si è conclusa con successo. Tornarono pieni di gioia, perché nella loro esperienza missionaria hanno esperimentato la potenza dello Spirito Santo. In modo particolare la gioia nasce dal fatto di aver costato come i demòni si sottomettevano a loro nel nome di Gesù. Ed è il vedere come il regno di satana si sgretolava dinanzi alla potenza del nome di Gesù che in modo particolare genera nei missionari particolare euforia. Contentezza che viene smorzata da un velato rimprovero di Gesù: Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli (cfr. Ap 20,15). Nei versetti che seguono Gesù si presenta ai suoi discepoli come il rivelatore del Padre.
La rivelazione della mutua conoscenza tra il Padre e il Figlio pone decisamente il brano evangelico in relazione «con alcuni passi della letteratura sapienziale riguardanti la sophia. Solo il Padre conosce il Figlio, come solo Dio la sapienza [Gb 28,12-27; Bar 3,32]. Solo il Figlio conosce il Padre, così come solo la sapienza conosce Dio [Sap 8,4; 9,1-18]. Gesù fa conoscere la rivelazione nascosta, come la sapienza rivela i segreti divini [Sap 9,1-18; 10,10] e invita a prendere il suo giogo su di sé, proprio come la sapienza [Prov 1,20-23; 8,1-36]» (Il Nuovo Testamento, Vangeli e Atti degli Apostoli).
Gesù è l’unico rivelatore del Padre, ed è l’unico dei misteri divini, in quanto il Padre ne ha comunicato a lui, il Figlio, la conoscenza intera. Da questa affermazione si evince che Gesù è uguale al Padre nella natura e nella scienza, è Dio come il Padre, di cui è il Figlio Unico.
Beati sono i discepoli perché vedono e odono, ma è insito che la beatitudine supera i confini del tempo per raggiungere tutti i credenti. Gesù “proclama beati quelli che crederanno senza aver visto [Gv 20,29]. Ma anche chi ha visto, è beato solo se crede [cf. 11,28; 1,45], fidandosi della Parola. Il mistero del Figlio, che Dio aveva predisposto già prima della fondazione del mondo [Ef l,4ss], fu rivelato a frammenti per mezzo dei profeti; ora ci è dato tutto in Gesù [Eb 1,1ss]. In noi, che guardiamo e ascoltiamo, esulta l’Antico Testamento, i suoi giusti e i suoi profeti: «Tutti costoro, pur avendo ricevuto per la loro fede una buona testimonianza, non conseguirono la promessa: Dio aveva in vi ta qualcosa di meglio per noi, perché essi non ottenessero la perfezione senza di noi» (Eb 11,39s)” (Silvano Fausti).
I settantadue tornarono pieni di gioia… - Javer Pikza (vangelo secondo Luca): … dobbiamo fissare la nostra attenzione su alcuni tratti [della missione] più importanti:
a) Il punto di partenza sta nel fatto che il regno arriva (10,9-11). Non è la missione che dà origine al regno, ma è il regno che suscita il missionario che lo annunzia e dispone ad accoglierlo. Al di sopra di tutti i tentennamenti degli uomini, vi è la certezza che Dio salva e che «il regno è vicino».
b) Visto in sé, il regno viene come «pace». Perciò i missionari devono invocare la pace di Dio sulle case e sulle città in cui arrivano. Si ricordi che, nel suo valore biblico, questa pace non consiste nella mancanza di guerra aperta, ma nell’irruzione e nella presenza dei beni messianici, fra i quali è compresa fondamentalmente l’apertura a Dio e la giustizia interumana.
c) La parola di Gesù assicura al missionario la possibilità che il suo messaggio sia ascoltato: tutto il testo suppone che vi siano famiglie e città che ricevono la chiamata al regno. In questa situazione si allude alla necessità d’una spartizione dei beni. Il messaggero interamente dedicato alla cura del regno offre gratuitamente la parola; quelli che lo ascoltano devono offrirgli il loro focolare e la loro mensa. Ognuno dà quello che ha e tutti si spartiscono fraternamente i loro averi.
d) Al fondo di tutto il messaggio di Gesù si accenna anche alla possibilità d’uno scontro. In questo caso, la situazione delle parti è diversa: i discepoli si trovano come pecore nelle mani dei lupi: manca loro la possibilità d’una difesa e non hanno altra via d’uscita che la via di Gesù che li porta verso la morte. I persecutori, da parte loro, corrono il rischio d’un insuccesso escatologico.
La gioia del Vangelo - A. Ridouard e M.-F. Lacan: La venuta del salvatore crea un clima di gioia che Luca, più degli altri evangelisti ha reso sensibile. Ancor prima che la gioia del vangelo ci si rallegri della sua nascita (Lc 1,14), quando viene Maria, Giovanni Battista sussulta di gioia nel seno della madre (1,41.44); e la Vergine, che il saluto dell’angelo aveva invitato alla gioia (1,28: gr. chàire = rallégrati), canta con gioia pari all’umiltà il Signore che è divenuto suo figlio per salvare gli umili (1,42.46-55). La nascita di Gesù è una grande gioia per gli angeli che l’annunziano e per il popolo che egli viene a salvare (2,10.13 s; cfr. Mt 1,21); essa pone termine all’attesa dei giusti (Mt 13,17 par.) che, come Abramo, esultavano già pensandovi (Gv 8,56). In Gesù Cristo il regno di Dio è già presente (Mc 1,45 par.; Lc 17,21); egli è lo sposo la cui voce colma di gioia il Battista (Gv 3,29) e la cui presenza non permette ai suoi discepoli di digiunare (Lc 5,34 par.). Questi hanno la gioia di sapere che i loro nomi sono scritti in cielo (10,20), perché rientrano nel numero dei poveri ai quali appartiene il regno (6,20 par.), tesoro per il quale si sacrifica tutto con gioia (Mt 13,44); e Gesù ha insegnato loro che la persecuzione, Confermando la loro certezza, doveva intensificare la loro letizia (Mt 5,10ss par.). I discepoli hanno ragione di rallegrarsi dei miracoli di Gesù che attestano la sua missione (Lc 19,37ss); ma non devono porre la loro gioia nel potere miracoloso che Cristo comunica loro (10,17-20); esso non è che un mezzo destinato non a procurare una vana gioia a uomini come Erode, amanti del meraviglioso (23,8), ma a far lodare Dio dalle anime rette (13,17) e ad attirare i peccatori, al salvatore, disponendoli ad accoglierlo con gioia ed a convertirsi (19,6.9). Di questa conversione i discepoli si rallegreranno da veri fratelli (15,32), come se ne rallegrano in cielo il Padre e gli angeli (15,7.10.24), Come se ne rallegra il buon pastore, il cui amore ha salvato le pecore smarrite (15,6; Mt 18, 13). Ma per condividere la sua gioia, bisogna amare com’egli ha amato.
Gesù inviato di Dio - J. Pierron e P. Grelot: Dopo Giovanni Battista, ultimo e maggiore dei profeti, messaggero divino e novello Elia annunziato da Malachia (Mt 11,9-14), Gesù Cristo si presenta agli uomini come l’inviato di Dio per eccellenza, lo stesso di cui parlava il libro di Isaia (Lc 4,17-21; cfr. Is 61,1s). La parabola dei vignaioli omicidi sottolinea la continuità della sua missione con quella dei profeti, ma connotando pure la differenza fondamentale dei due casi: dopo aver mandato i suoi servi, il padre di famiglia manda infine il suo figlio (Mc 12,2-8 par.). Perciò, accogliendolo o rigettandolo, si accoglie o si rigetta colui che lo ha mandato (Lc 9,48; 10,16 par.), cioè il Padre stesso, che ha rimesso tutto nelle sue mani (Mt 11,27). Questa coscienza di una missione divina, che lascia intravvedere i rapporti misteriosi del Figlio e del Padre, si manifesta in frasi caratteristiche: «Io sono stato mandato...», «Sono venuto...», «Il Figlio dell’uomo è venuto...», per annunziare il vangelo (Mc 1,38 par.), per compiere la legge ed i profeti (Mt 5,17), per portare il fuoco sulla terra (Lc 12,49), per portare non la pace ma la spada (Mt 10,34 par.), per chiamare non i giusti ma i peccatori (Mc 2,17 par.), per cercare e salvare ciò che era perduto (Lc 19,10), per servire e dare la sua vita in riscatto (Mc 10,45 par.)... Tutti gli aspetti dell’opera redentrice compiuta da Gesù si ricollegano in tal modo alla missione che egli ha ricevuto dal Padre, dalla predicazione in Galilea al sacrificio della croce. Nel disegno del Padre, questa missione conserva tuttavia un orizzonte limitato: Gesù è stato inviato solo per le pecore sperdute della casa di Israele (Mt 15,24). Sta di fatto che, convertendosi, queste devono acquistare coscienza a propria volta della missione provvidenziale di Israele: dare testimonianza di Dio e del suo regno di fronte a tutte le nazioni del mondo.
Nel quarto vangelo, l’invio del Figlio da parte del Padre ritorna come un ritornello, nel giro di tutti i discorsi (40 volte, ad es. 3,17; 10,36; 17,18). Perciò il solo desiderio di Gesù è di «fare la volontà di colui che lo ha mandato» (4,34; 6,38ss), di compiere le sue opere (9,4), di dire ciò che ha appreso da lui (8,26). Tra essi c’è una tale unità di vita (6,57; 8,16.29) che l’atteggiamento assunto nei confronti di Gesù è una presa di posizione nei confronti di Dio stesso (5,23; 12,44 s; 14,24; 15,21-24). Quanto alla passione, consumazione della sua opera, Gesù vi vede il suo ritorno a colui che lo ha mandato (7,33; 16,5; cfr. 17,11). La fede che egli esige dagli uomini è una fede nella sua missione (11,42; 17,8.21. 23. 25); ciò implica assieme la fede nel Figlio come inviato (6,29) e la fede nel Padre che lo manda (5,24; 17,3). Attraverso la missione del Figlio in terra si è quindi rivelato agli uomini un aspetto essenziale del mistero intimo di Dio: l’Unico (Deut 6,4; cfr. Gv 17,3), mandando il Figlio suo, si è fatto conoscere come Padre.
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli” (Vangelo).
Nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Questo sacramento di vita eterna
ci rinnovi, o Padre, nell’anima e nel corpo,
perché, comunicando a questo memoriale della passione del tuo Figlio,
diventiamo eredi con lui nella gloria.
Per Cristo nostro Signore.
ci rinnovi, o Padre, nell’anima e nel corpo,
perché, comunicando a questo memoriale della passione del tuo Figlio,
diventiamo eredi con lui nella gloria.
Per Cristo nostro Signore.