4 Ottobre 2019

Venerdì XXVI Settimana T. O.

S. Francesco d’Assisi Patrono d’Italia - Festa

Gal 6,14-18; Salmo Responsoriale 15 (16); Mt 11,25-30

Dal Martirologio: Festa di san Francesco, che, dopo una spensierata gioventù, ad Assisi in Umbria si convertì ad una vita evangelica, per servire Gesù Cristo che aveva incontrato in particolare nei poveri e nei diseredati, facendosi egli stesso povero. Unì a sé in comunità i Frati Minori. A tutti, itinerando, predicò l’amore di Dio, fino anche in Terra Santa, cercando nelle sue parole come nelle azioni la perfetta sequela di Cristo, e volle morire sulla nuda terra.

Colletta: O Dio, che in san Francesco d’Assisi, povero e umile, hai offerto alla tua Chiesa una viva immagine del Cristo, concedi anche a noi di seguire il tuo Figlio nella via del Vangelo e di unirci a te in carità e letizia. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Nel brano evangelico si possono mettere in evidenza almeno tre temi. Il primo è quello dei piccoli, i quali proprio per la loro umiltà riescono a cogliere il mistero del Cristo. Il secondo tema è la rivelazione della divinità di Gesù: il Figlio conosce il Padre con la medesima conoscenza con cui il Padre conosce il Figlio. Il terzo tema è quello del giogo di Gesù che è dolce e sopportabile a differenza di quello imposto dai Farisei, insopportabile perché reso pesante da minuziose norme di fatto impraticabili.

Dal Vangelo secondo Matteo (11,25-30): In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra... - L’espressione Signore del cielo e della terra, evoca l’azione creatrice di Dio (Cf. Gen 1,1). Il motivo della lode sta nel fatto che il Padre ha «nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le ha rivelate ai piccoli». Le cose nascoste «non si riferiscono a ciò che precede; si devono intendere invece dei “misteri del regno” in generale [Mt 13,11], rivelati ai “piccoli”, i discepoli [Cf. Mt 10,42], ma tenuti nascosti ai “sapienti”, i farisei e i loro dottori» (Bibbia di Gerusalemme).
Molti anni dopo Paolo ricorderà queste parole di Gesù ai cristiani di Corinto: «Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio» (1Cor 1,26-29).
... nessuno conosce il Figlio... La rivelazione della mutua conoscenza tra il Padre e il Figlio pone decisamente il brano evangelico in relazione «con alcuni passi della letteratura sapienziale riguardanti la sophia. Solo il Padre conosce il Figlio, come solo Dio la sapienza [Gb 28,12-27; Bar 3,32]. Solo il Figlio conosce il Padre, così come solo la sapienza conosce Dio [Sap 8,4; 9,1-18]. Gesù fa conoscere la rivelazione nascosta, come la sapienza rivela i segreti divini [Sap 9,1-18; 10,10] e invita a prendere il suo giogo su di sé, proprio come la sapienza [Prov 1,20-23; 8,1-36]» (Il Nuovo Testamento, Vangeli e Atti degli Apostoli).
... nessuno conosce il Padre se non il Figlio... Gesù è l’unico rivelatore dei misteri divini, in quanto il Padre ne ha comunicato a lui, il Figlio, la conoscenza intera. Da questa affermazione si evince che Gesù è uguale al Padre nella natura e nella scienza, è Dio come il Padre, di cui è il Figlio Unico.
Venite a me... Gesù nell’offrire ai suoi discepoli il suo giogo dolce fa emergere la «nuova giustizia» evangelica in netta contrapposizione con la giustizia farisaica fatta di leggi e precetti meramente umani (Mt 15,9); una giustizia ipocrita, ma strisciante da sempre in tutte le religioni. Il ristoro che Gesù dona a coloro che sono stanchi e oppressi, in ogni caso, non esime chi si mette seriamente al suo seguito di accogliere, senza tentennamenti, le condizioni che la sequela esige: rinnegare se stessi e portare la croce dietro di lui, ogni giorno, senza infingimenti o accomodamenti: «Poi, a tutti, diceva: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”» (Lc 9,23). È la croce che diventa, per il Cristo come per il suo discepolo, motivo discriminante della vera sapienza, quella sapienza che agli occhi del mondo è considerata sempre stoltezza o scandalo (1Cor 1,17-31). Un carico, la croce di Cristo, che non soverchia le forze umane, non annienta l’uomo nelle sue aspettative, non lo umilia nella sua dignità di creatura, anzi lo esalta, lo promuove, lo avvia, «di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito Santo» (2Cor 3,18) ad un traguardo di felicità e di beatitudine eterna. La croce va quindi piantata al centro del cuore e della vita del credente.
Gesù è mite e umile di cuore: è la via maestra per tutti i discepoli, è la via dell’annichilimento (Cf. Fil 2,5ss), dell’incarnarsi nel tempo, nella storia, nel quotidiano dei fratelli, non come maestri arroganti o petulanti, ma come servi (Cf. 1Cor 9,22).

Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro - Ortensio Da Spinetoli (Matteo): Gli «affaticati» a cui Gesù si rivolge sono sopra tutto i giudei che si sono assoggettati alle prescrizioni ritualistiche senza riceverne alcun sollievo, anzi stanchezza e abbattimento. La legge in quanto dono divino è santa, ma nell’interpretazione dei maestri d’ufficio era diventata un estenuante tormento. Le anime invece di essere liberate dalle colpe e portate a Dio rimanevano irretite dalle interpretazioni dell’una o dell’altra scuola.
Al posto del giogo dei rabbini Gesù propone il suo. La metafora, che ricorre nel vecchio e nel nuovo Testamento, designa l’accettazione di un insegnamento, o di una regola di vita. Andare a Gesù significa mettersi al seguito e successivamente alla sua scuola. Fatevi miei discepoli (mathete), afferma egli stesso ancor più chiaramente. L’invito che egli rivolge ai suoi ascoltatori non si esaurisce nella semplice aggregazione al suo gruppo, ma nella adesione al suo ideale di vita. Dopo la risurrezione egli farà un analogo invito agli apostoli: Ammaestrate tutti i popoli (28,19). Alla scuola di Gesù tutti possono trovare il sollievo e il ristoro cercato inutilmente altrove. In realtà il giogo è sempre fastidioso e qualsiasi carico è sempre pesante. Gesù non afferma che i suoi precetti siano meno gravi impegnativi di quelli degli altri maestri; anzi essi sono stati presentati come un perfezionamento della vecchia legge, solo che la sua via non conosce la farragine della precettistica rabbinica, le innumerevoli prescrizioni che rimane impossibile persino apprendere. La ragione che rende amabile e dolce il giogo del Signore sgorga dall’intero contesto evangelico cioè dai nuovi rapporti che la salvezza cristiana ha creato tra gli uomini e Dio.

Venite a me … Prendete il mio giogo - Felipe F. Ramos (Vangelo secondo Matteo): L’immagine del «giogo» appartiene, in primo luogo, alla relazione «schiavo-padrone». Più tardi, fu applicata alla relazione «discepolo-maestro». Le alleanze umane, e anche quella divina, si esprimevano con le categorie di sottomissione e ubbidienza. Ogni maestro aveva un «giogo» da imporre ai suoi discepoli; ma il giogo di Cristo è più soave che quello che impongono gli altri maestri. Il testo fa riferimento, in primo luogo, al giogo della legge di Mosè, particolarmente duro nell’applicazione che ne facevano gli scribi. Questo giogo era imposto a ogni giudeo pio. San Pietro lo dirà un giogo insopportabile (At 15,10); e Gesù lancia dure invettive contro gli scribi per aver imposto agli uomini un peso così grave (23,4).
Matteo ha già parlato ampiamente delle tremende esigenze di Gesù. Come si può affermare che il suo giogo è soave e il suo peso leggero? Gesù inculca all’uomo lo spirito della legge, liberandolo dalla sua schiavitù; ci comanda di pregare il Padre e ci garantisce che saremo ascoltati da lui; promette lo Spirito che viene in aiuto alla nostra debolezza. In fine, egli stesso si presenta come mansueto e umile di cuore. Il suo giogo non ha nulla a che vedere con l’oppressione, appunto perché egli viene all’uomo con umiltà (21,5), attraverso la via della suprema umiliazione, per farsi uno di noi (Fil 2,5ss), rivoluzionando le strutture e specialmente quelle dell’autorità.

Mitezza - C. Spicq e M. F. Lacan: «Mettetevi alla mia scuola, perché io sono mite ed umile di cuore» (Mt 11,29). Gesù, che così parla, è la rivelazione suprema della mitezza di Dio (Mt 12,18ss); è la fonte della nostra, quando proclama: «Beati i miti» (Mt 5,4).
l. La mitezza di Dio. - Il Vecchio Testamento canta l’immensa e clemente bontà di Dio (Sal 31,20; 86,5), manifestata nel suo governo dell’universo (Sap 8,1; 15,1), e ci invita a gustarla (Sal 349). Più dolci del miele sono la parola di Dio, la sua legge (Sal 119, 103; 19,11; Ez 3,3), la conoscenza della sua sapienza (Prov 24,13; Eccli 24,20) e la fedeltà alla sua legge (Eccli 23,27). Dio nutre il suo popolo con un pane che soddisfa tutti i gusti; rivela in tal modo la sua dolcezza (Sap 16,20s), dolcezza che egli fa gustare al popolo di cui è lo sposo diletto (Cant 2,3), dolcezza che il Signore Gesù finisce di rivelarci (Tito 3,4) e di farci gustare ( Piet 2,3).
2. Mitezza ed umiltà. - Mosè è il modello della vera mitezza, virtù che non è debolezza, ma umile sottomissione a Dio, fondata sulla fede nel suo amore (Num 12,3; Eccli 454; 1,27; cfr. Gal 5,22s). Questa umile mitezza caratterizza il «resto» che Dio salverà, ed il re che darà la pace a tutte le nazioni (Sof 3,12; Zac 9,9s = Mt 21,5). Questi miti, sottomessi alla sua parola (Giac 1,20 ss), Dio li dirige (Sal 25,9), li sostiene (Sal 147,6), li salva (Sal 76,10); dà loro il trono dei potenti (Eccli 10, 14) e fa loro godere la pace nella sua terra (Sal 37,11 = Mt 5,4).
3. Mitezza e carità. - Colui Che è docile a Dio,è mite verso gli uomini, specialmente verso i poveri (Eccli 4,8). La mitezza è il frutto dello Spirito (Gal 5,23) ed il segno della presenza della sapienza dall’alto (Giac 3,13.17). Sotto il suo duplice aspetto di Calma mansuetudine (gr. pràytes) e di indulgente moderazione (gr. epieikìi), la mitezza caratterizza Cristo (2Cor 10,1), i suoi discepoli (Gal 61; Col 3,12; Ef 4,2) ed i loro pastori (1Tim 6,11; 2Tim 2,25). Essa è l’ornamento delle donne cristiane (1Piet 3,4) e fa la felicità dei loro focolari (Eccli 36,23). Il vero cristiano, anche nella persecuzione (1Piet 3,16), mostra a tutti una mitezza serena (Tito 3,2; Fil 4,5); attesta in tal modo che il «giogo del Signore è dolce» (Mt 11,30), essendo quello dell’amore. 

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Questa è la nostra vocazione: curare le ferite, fasciare le fratture, richiamare gli smarriti” (San Francesco d’Assisi).
Nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Dio, che ci hai accolti alla tua mensa,
fa’ che sentiamo in noi la fiamma viva del tuo amore
e imitando la carità e il fervore apostolico di san Francesco,
ci consacriamo al servizio dei fratelli.
Per Cristo nostro Signore.