3 Ottobre 2019
Giovedì XXVI Settimana T. O.
Ne 8,1-4a.5-6.7b-12; Sal 18 (19); Lc 10,1-12
Colletta: O Dio, che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono, continua a effondere su di noi la tua grazia, perché, camminando verso i beni da te promessi, diventiamo partecipi della felicità eterna. Per il nostro Signore...
Gesù è venuto a portare la pace destinandola a tutti gli uomini. Lo fa intendere anche il numero dei missionari inviati ad annunciare la Parola: settantadue erano, secondo i Giudei, i popoli della terra e presumibilmente l’evangelista Luca vuol prefigurare la missione universale. La missione ha le note della massima sollecitudine svolgendosi «sotto il segno di un’urgenza escatologica: si deve annunziare che il Regno è vicino; non è consentito attardarsi per via negli interminabili saluti caratteristici degli Orientali. È scoccata ormai l’ora della mietitura: tradizionale immagine del “Giorno di Jahvé”, l’intervento definitivo di Dio, salvifico e giudiziale al tempo stesso» (Don Vittorio Fusco).
Dal Vangelo secondo Luca 10,1-12: In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».
Vi mando come agnelli in mezzo a lupi - Dopo la missione dei Dodici (cfr. Lc 9,3-5), Gesù manda settantadue discepoli ad annunziare il regno di Dio che è già vicino. Il numero dei discepoli forse è intenzionale. Gen 10, nella versione dei Settanta, elenca settantadue nazioni, se Luca si attiene a questo dato il numero dei discepoli inviati vuole indicare l’universalità della missione: la salvezza supera gli angusti confini d’Israele per raggiungere tutti gli uomini. Sono mandati a due a due perché, per la legge mosaica, sono necessari due testimoni per attestare la veridicità di un avvenimento (cfr. Dt 19,15). I settantadue sono mandati davanti a Gesù come precursori.
La missione già si presenta ardua in quanto le forze sono impari: «vi mando come agnelli in mezzo a lupi». I discepoli si trovano come pecore tra i denti affilati dei lupi. E i lupi quando azzannano scarnificano la preda.
Una missione che parte con il piede sbagliato, tutta in salita. La persecuzione sarà sempre in agguato (cfr. Lc 6,22-23). Gli inviati avranno in eredità il destino di Colui che li manda nel mondo: «Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20). Non è una probabilità, è pura certezza: «Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio» (Gv 16,2). Dalla loro parte avranno soltanto lo Spirito Santo: «Quando vi condurranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi come discolparvi o che cosa dire; perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire» (Lc 12,11-12).
Il loro sangue non sarà sparso invano, testimonierà contro i carnefici perché ricada su di loro «tutto il sangue innocente versato sopra la terra, dal sangue del giusto Abele fino al sangue di Zaccaria [...] ucciso tra il santuario e l’altare» (Mt 23,35).
Gesù esige, data l’urgenza della missione, la massima povertà e anche essenzialità nelle relazioni: non bisogna perdersi in chiacchiere inutili.
Gesù poi tratteggia il bon ton del missionario. Innanzi tutto egli è un uomo di pace; è colui che porta la pace che per un israelita è la pienezza dei doni divini. Non bisogna vagabondare di casa in casa e di buon grado mangiare quello che sarà messo dinanzi. Una regola d’oro con la quale viene abrogata la distinzione mosaica tra cibi puri e impuri (cfr. Mc 7,19). Ridonare la salute agli infermi entra nell’opera missionaria: con essa si attesta il potere affidato agli inviati. Gesù è sempre presente e continua a insegnare e a guarire (cfr. Mc 16,20). Se il missionario non viene accolto deve ritirarsi senza recriminare o polemizzare, anche se il ritiro deve essere accompagnato da un gesto molto forte ed eloquente: Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi. Quando i pellegrini giungevano in Terra santa scrupolosamente pulivano i loro piedi per non portare alcuna impurità sul suolo di Dio. Gesù suggerisce di fare il gesto inverso: ai piedi dei missionari non deve restare attaccato alcunché di impuro. Un gesto che diventerà usuale della prima comunità cristiana (cfr. At 13,51).
... non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada - Silvano Fausti (Una comunità legge il Vangelo di Luca): «nessuno salutate lungo la via». Non si perda tempo in salamelecchi, perché l’annuncio è questione di vita o di morte. Il discepolo fa come Ghecazi, servo di Eliseo, che non deve salutare nessuno per strada mentre va a risuscitare il figlio della vedova col bastone del suo maestro (2Re 4,29).
Qui finiscono le proibizioni, che caratterizzano la missione in povertà, e ne rappresentano il costo. Ora seguono gli imperativi, che ne rappresentano il frutto: la pace messianica.
«Lungo la via». La «via» del discepolo è la stessa del Maestro: in povertà, castità e obbedienza, con l’abbandono di ogni legame e la rinuncia a ogni possesso, per vivere del dono del Regno. Questa povertà è la carta d’identità della chiesa, che porta i lineamenti di chi l’ha inviata. Efficienza umana ed efficacia evangelica sono tra loro inversamente proporzionali. La prima deriva dalla ricchezza, la seconda dalla povertà. Questa, frutto dell’amore per il Signore e condizione per seguirlo (12,33; 14,33), è di chi ha scoperto il tesoro (Mt 13,44ss).
Ciò che hai, ti divide dall’altro; ciò che dai, ti unisce a lui. Quando hai cose, dai cose; quando non hai più nulla, dai te stesso. Solo allora ami veramente. Perché l’uomo è ciò che dà. Chi ha nulla, dà se stesso: sa amare e vive per l’altro, perché l’altro viva per mezzo suo. Questa è la via alla salvezza che dall’eternità ha pensato colui che da ricco che era si fece povero, per arricchire noi mediante la sua povertà (2Cor 8,9).
La povertà è il duro banco di prova su cui suona l’autenticità dell’annuncio: è moneta vera o falsa?
Non è certo causa, però è condizione dell’efficacia della Parola. La «missione in povertà» rende «ben messo» per il Regno (9,62), perché mette il discepolo col suo Signore, e fa fare all’altro l’esperienza divina dell’accoglienza che gli si annuncia. Essa rispecchia l’essenza del Figlio, che riceve dal Padre quanto è, e dà ai fratelli quanto riceve.
La povertà e l’umiltà inoltre sono caratteristiche divine: all’interno della Trinità ogni persona è se stessa in quanto dell’altra e per l’altra - quando non anche dall’altra - in assoluto amore reciproco: ogni per ona tutto dà e tutto riceve.
Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): In quel giorno, cioè: nel giorno del giudizio (cf. vers. 14) come dichiara espressamente, Matteo nel vers. parallelo (cf. Mt., 10,15), non già nel giorno in cui si manifesterà il regno di Dio, come si potrebbe pensare richiamandosi al vers. precedente. Sodoma avrà (una sorte) più tollerabile; Matteo accenna anche a Gomorra (cf. Mt., 10,15) che Luca invece omette, perché probabilmente si rifà al testo di Ezechiele, 16,48-50, dove si parla soltanto di Sodoma. «(Una sorte) più tollerabile di questa città»: espressione molto sintetica per dire: una punizione meno dura di quella riservata alla città che ha rigettato gli inviati. Sodoma, come si vede, diventa un motivo proverbiale per indicare una città colpevole dei più gravi delitti e meritevole dei più duri castighi (cf. Genesi, 19,4-29).
Gli inviati del Figlio - J. Pierron e P. Grelot: 1. La missione di Gesù si prolunga con quella dei suoi inviati, i Dodici, che per questo stesso motivo portano il nome di apostoli. Già durante la sua vita Gesù li manda innanzi a sé (cfr. Lc 10,1) a predicare il vangelo ed a guarire (Lc 9,1s par.), il che costituisce l’oggetto della sua missione personale. Essi sono gli operai mandati dal padrone alla messe (Mt 9,38 par.; cfr. Gv 4,38); sono i servi mandati dal re per condurre gli invitati alle nozze del figlio suo (Mt 22,3 par.). Non devono farsi nessuna illusione sul destino che li attende: l’inviato non è maggiore di colui che lo manda (Gv 13,16); come hanno trattato il padrone, cosi tratteranno i servi (Mt 10,24s). Gesù li manda «come pecore in mezzo ai lupi» (10,16 par.). Egli sa che la «generazione perversa» perseguiterà i suoi inviati e li metterà a morte (23,34 par.). Ma ciò che sarà fatto loro, sarà fatto a lui stesso, e in definitiva al Padre: «Chi ascolta voi, ascolta me, chi rigetta voi, rigetta me, e chi rigetta me, rigetta colui che mi ha mandato » (Lc 10,16); «Chi accoglie voi, accoglie me, e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato» (Gv 13,20). Di fatto la missione degli apostoli si collega nel modo più stretto a quella di Gesù: «Come il Padre ha mandato me, cosi io mando voi» (20,2l). Questa frase illumina il senso profondo dell’invio finale dei Dodici in occasione delle apparizioni di Cristo risorto: «Andate ...». Essi andranno dunque ad annunziare il vangelo (Mc 16,l5), a reclutare discepoli di tutte le nazioni (Mt 28,19), a portare dovunque la loro testimonianza (Atti 1,8). Cosi la missione del Figlio raggiungerà effettivamente tutti gli uomini, grazie alla missione dei suoi apostoli e della sua Chiesa.
2. Questo appunto intende il libro degli Atti quando racconta la vocazione di Paolo. Riprendendo i termini classici delle vocazioni profetiche, Cristo risorto dice al suo strumento eletto: «Va’ perché io ti invierò lontano presso i pagani» (Atti 22,21); e questa missione ai pagani si inserisce nella linea esatta di quella del servo di Jahve (Atti 26,17; cfr. Is 42,7.l6). Infatti il servo è venute nella persona di Gesù, e gli inviati di Gesù portano a tutte le nazioni il messaggio di salvezza che egli personalmente aveva notificato soltanto alle «pecore perdute della casa di Israele» (Mt 15,24). Di questa missione, ricevuta sulla strada di Damasco, Paolo si farà sempre forte per giustificare il suo titolo di apostolo (1Cor 15,8s; Gal 1,12). Sicuro della sua estensione universale, egli porterà il vangelo ai pagani per ottenere da essi l’obbedienza della fede (Rom 1,5) e magnificherà la missione di tutti i messaggeri del vangelo (10,14s): non è forse grazie ad essa che nasce nel cuore degli uomini la fede nella parola di Cristo (10,l7)? Al di là della missione personale degli apostoli, tutta la Chiesa nella sua funzione missionaria si collega in tal modo alla missione del Figlio.
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi” (Vangelo).
Nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Questo sacramento di vita eterna ci rinnovi, o Padre,
nell’anima e nel corpo, perché, comunicando
a questo memoriale della passione del tuo Figlio,
diventiamo eredi con lui nella gloria.
Per Cristo nostro Signore.
nell’anima e nel corpo, perché, comunicando
a questo memoriale della passione del tuo Figlio,
diventiamo eredi con lui nella gloria.
Per Cristo nostro Signore.