26 Ottobre 2019
Sabato XXIX Settimana T. O.
Rm 8,1-11; Sal 23 (24); Lc 13,1-9
Colletta: Dio onnipotente ed eterno, crea in noi un cuore generoso e fedele, perché possiamo sempre servirti con lealtà e purezza di spirito. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
Giuseppe Flavio ricorda Ponzio Pilato come un amministratore particolarmente incline alla violenza e facile ad adottare soluzioni sbrigative, ricorrendo anche alle armi (Antichità Giudaiche, XVIII, 55-62). Comunque, Giuseppe Flavio non registra l’episodio narrato da Luca, anche se lo storico ebreo annota una carneficina operata dalle truppe romane a motivo di una contestazione popolare nata per l’uso indebito del danaro custodito nel tempio di Gerusalemme da parte di Ponzio Pilato (cfr. Il racconto della canalizzazione dell’acqua per Gerusalemme, Antichità Giudaiche, XVIII, 62). L’intento dell’evangelista non è quello di ricordare un fatto di sangue, ma è quello di ribadire la necessità della conversione, e operare una correzione per quanto riguarda la “retribuzione” che era comunemente sentita come un do ut des. Praticamente chi osservava la Legge credeva di avere diritto da Dio come retribuzione ogni bene terreno e ultraterreno, e viceversa i disastri, le malattie, la povertà erano interpretati come una punizione dei peccati (Gb 4,17; Ez 18,26). La smentita di Gesù rivolta ai delatori va in questa direzione.
Si può dire che tutto è Parola di Dio, così invece di stare ad almanaccare se i morti ammazzati o gli sventurati schiacciati dalla torre di Siloe siano stati giusti o peccatori, è meglio cogliere il messaggio che ne viene da questi fatti: Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.
La parabola del fico, in comune con l’evangelista Marco e con l’evangelista Matteo (Mt 21,18-19; Mc 11,12-14), vuole mettere in evidenza il giudizio di Dio e la sorte di coloro che nella loro vita non hanno portato frutto: Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano (Gv 15,1ss).
A differenza dell’evangelista Marco dove Gesù non trova frutti perché “non era infatti la stagione dei fichi”, il tale della parabola è un uomo che controlla la pianta di fichi e trovandola priva di frutti decide di tagliarla. La resistenza del vignaiolo permette di mettere bene in evidenza la pazienza di Dio, ma che ha un termine: Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai. Un anno non va preso come una esatta indicazione temporale, ma è chiaro che alla fine tutti dovremo “comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male” (2Cor 5,10).
Dal Vangelo secondo Luca 13,1-9: In quel tempo, si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».
In quel tempo, si presentarono alcuni a riferire a Gesù… - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): versetto 2 Fossero peccatori più di tutti gli altri Galilei; tale domanda che il Salvatore rivolge ai presenti richiama una concezione corrente tra gli Ebrei (cf. Gio., 9,2); per questi infatti una tale morte rappresentava manifestamente un castigo divino che aveva raggiunto i colpevoli e risparmiato gli innocenti; per gli ascoltatori le povere vittime di quella repressione sanguinosa erano senza dubbio dei grandi peccatori davanti a Dio. Il Maestro non giudica né le vittime, né il Procuratore romano che aveva preso una misura così drastica, ma richiama i presenti ad una riflessione morale: i Giudei uccisi da Pilato non erano meno peccatori dei correligionari che erano sopravvissuti a quel massacro.
versetto 3 Se non vi ravvedete; per Gesù tutti sono peccatori e colpevoli avanti a Dio, gli Ebrei quindi devono rettificare le proprie idee religiose e messianiche e compiere opere gradite al Signore. Voi tutti egualmente perirete: il severo monito è in pari tempo una profezia: gli Ebrei hanno rifiutato questo invito al ravvedimento e molti di essi, ai quali sono state rivolte queste parole di minaccia, sono periti nella guerra giudaica, conclusasi tragicamente con la caduta di Gerusalemme nel 70. Questa pesante dichiarazione di Gesù non sembra predire soltanto la misera fine della nazione ebraica, ma contiene anche un accenno profetico al ripudio definitivo del popolo eletto.
versetto 5 Voi tutti egualmente perirete; per «gli abitanti di Gerusalemme» la predizione era ancora più aderente al tragico destino che attendeva la città, sorda all’appello accorato di Gesù, poiché i suoi abitanti sarebbero miseramente morti tra le rovine delle sue mura e delle sue case. Ciò che il lettore osserva con un senso di sorpresa in questi inviti al ravvedimento è il metodo seguito dal Maestro che, da fatti recenti e sconcertanti, rimasti vivamente impressi nell’animo degli ascoltatori, trae occasione per rivolgere ad essi un supremo appello alla conversione. Da qui si vede come Gesù sappia scoprire nelle vicende della storia umana delle verità ammonitrici che invitano a riflessioni salutari.
Retribuzione collettiva e temporale - Giuseppe Manni: Nella società israelitica, il concetto di responsabilità individuale si è affermato solo poco a poco. Questa società, ancora primitiva, era caratterizzata da una forte solidarietà fra i suoi membri, derivata dal legame strettissimo alla stessa tribù, allo stesso popolo e alla stessa terra. In questo contesto, l’esistenza dell’individuo è inseparabile dal destino degli altri e la legge non puniva solo il singolo colpevole, ma tutto il gruppo e specialmente la sua discendenza. In Gs. 7,24-26, quando Acham viola una legge della «guerra santa», viene ucciso lui assieme a tutti i suoi figli. La giustizia di Iahvé si adatta a questa sensibilità ancora tanto primitiva del suo popolo (Es. 20,5). Nel deserto, la rivolta di alcuni membri delle tribù di Levi e Ruben causa la morte « individuale » non solo dei colpevoli, ma anche delle loro famiglie, in una punizione divina chiaramente collettiva (Num. 16,32). Il peccato di Saul, che contravviene a un patto sacro con i Gabaoniti, attira una terribile carestia su tutto il popolo; poi quando viene scoperto il vero colpevole, vengono crocefissi sette figli del re (2Sam. 21,1-14). Così il peccato di orgoglio di David che ha ordinato un censimento, ricade su tutto il suo popolo con tre giorni di peste (2 Sam. 24).
Le catastrofi politiche del 722 e del 587 (caduta di Samaria e di Gerusalemme) sono interpretate dai profeti come la logica conseguenza dell’iniquità dei re, e in genere per il peccato dei padri. Inoltre, la retribuzione che Iahvé dà al suo popolo, è concepita come temporale; si chiude cioè nell’arco della vita terrena. Dio infatti punisce o premia con cose facilmente controllabili: carestia, sterilità, sconfitta, oppure abbondanza nei raccolti, fecondità della sposa, potenza militare, rispetto e amicizia dei vicini. Questa concezione è strettamente legata al concetto di «aldilà» che gli ebrei per lungo tempo hanno avuto. Essi, come gli altri semiti dell’epoca, ammettevano una sopravvivenza della persona umana, ma nello sceol. Lo sceol è un luogo sotterraneo, abitato solo da ombre, dove di diventa «rephaim» («ombre») ; è un luogo di silenzio e di tenebre (Sal. 88, 13; Giob. 7,9s; 10,21.22; Eccli. 9,5s); ci sono abissi profondissimi (Is. 14, 15). E’ la terra senza ritorno, un’esistenza senza gioie; l’uomo si riduce a un’ombra.
Il pio ebreo pensa con orrore a quel luogo dove non potrà più lodare il suo Dio: “Per i morti opererai tu prodigi? - Sorgeranno per lodarti le Ombre? - Si parlerà della tua grazia nella tomba, - della tua fedeltà nel luogo della putrefazione?” (Sal. 88,11s.)
La sopravvivenza nello sceol non è dunque diversa per l’uomo giusto o per il peccatore. Lo sceol biblico non è certo un luogo dove possa venire la retribuzione di Dio. Gli istraeliti cercavano perciò in questa vita la punizione o la ricompensa del male o del bene che essi facevano, cosicché il bene o il male «fisico» che incontravano nella loro esistenza era interpretato come un segno indiscutibile della propria «giustizia» o del proprio peccato.
Cristo e la retribuzione - C. Wiéner: Con la venuta di Cristo, la retribuzione trova il suo pieno senso e il suo fine. 1. Conservazione della retribuzione individuale. - Taluni in Israele (Mt 22,23; Atti 23,8), persino tra i discepoli di Cristo (1Cor 15,12), dubitano ancora della risurrezione, della vita eterna, del regno senza fine che ricompenserà i giusti; ma Gesù ed i suoi apostoli conservano fermamente l’autentica tradizione di Israele (Mt 22,31s; 25,31-46; 1Cor 15,13-19; Atti 24,14ss). Il Dio di Gesù Cristo, risuscitando suo Figlio, dimostra di essere giusto (Atti 4,14ss; Col 2,12s). Il credente sa quindi che riceverà un salario per le sue opere (cfr. Mt 16,27; Mc 9,41; 2Tim 4,14; 2Gv 8; 2Piet 2,13; Ap 18,6), e che al giudizio il re invierà gli uomini, in base a ciò che avranno fatto, alla vita o al castigo (Mt 25,46), al cielo o nell’inferno. Quindi si tratta di condurre il combattimento con ardore per conseguire il premio (1Cor 9,24-27; Gal 5,7; 2Tim 4,7). 2. La vera ricompensa. - Così stando le cose, rinasce il rischio di ritornare ad una concezione, quella dei Farisei, secondo la quale la ricompensa divina è misurata dalla osservanza umana. Ma il credente è posto continuamente in guardia contro una simile deformazione della dottrina della retribuzione. Anzitutto l’uomo non deve più ricercare i vantaggi terreni, gloria, riputazione, riconoscenza od interesse; colui che fa il bene per simili motivi ha «già ricevuto la sua mercede» (Mt 6,1-18; Lc 14,12ss; cfr. 1 Cor 9,17s). Ma soprattutto, ponendo Cristo al centro di ogni cosa, ciò che ìl cristiano persegue non è la sua felicità, neppure spirituale, neppure acquistata con la rinuncia ed il dono di sé; lo scopo del cristiano è Cristo (Fil 1,21-26). Sua mercede è l’eredità divina (Col 3,24), e questa lo rende anzitutto coerede, fratello di Cristo (Rom 8,17). La corona che l’apostolo attende, la riceverà per il fatto stesso della venuta di Cristo atteso con amore (2Tim 4,8). In breve, ciò che egli vuole, è di essere «con Gesù» per sempre (1Tess 4,17; cfr. Fil 1,23; Lc 23,43; Ap 21,3s). Lo sforzo della sua vita è la fedeltà al suo battesimo: conformato alla morte di Cristo, egli si prepara a risorgere con lui (Rom 6,5-8; Col 3,1-4). La salvezza che l’uomo giustificato attende (Rom 5,9s) non è altro che l’amore di Dio manifestato nella persona di Cristo (Rom 8,38s). È, quel che dice Giovanni in altre parole: alla fame ed alla sete degli uomini, al loro desiderio appassionato di trionfare della morte, Gesù risponde con quel che egli è: la fonte dell’acqua viva, il pane, la luce, la vita (Gv 7,37s; 6,26-35; 8,12; 11,23ss). Mediante la vita in Cristo Gesù sono risolte tutte le antinomie che la dottrina della retribuzione presentava. Data all’uomo al termine della sua ricerca e dei suoi sforzi, essa tuttavia è gratuità assoluta che supera infinitamente ogni aspettativa ed ogni merito. Attesa con fervore e nella speranza, essa è già posseduta con la giustificazione. Certezza serena, essa rimane fondata sulla sola testimonianza di Dio accolta nell’oscurità e nella prova della fede. Penetrando nel più profondo della personalità di ogni uomo, essa lo raggiunge in seno al corpo di Cristo. Nessuna opposizione tra «morale della retribuzione» e «morale dell’amore», perché l’amore stesso vuole la retribuzione.
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai” (Vangelo).
Nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
O Signore, questa celebrazione eucaristica,
che ci ha fatto pregustare le realtà del cielo,
ci ottenga i tuoi benefici nella vita presente
e ci confermi nella speranza dei beni futuri.
Per Cristo nostro Signore.
che ci ha fatto pregustare le realtà del cielo,
ci ottenga i tuoi benefici nella vita presente
e ci confermi nella speranza dei beni futuri.
Per Cristo nostro Signore.