21 Ottobre 2019
Lunedì XXIX Settimana T. O.
Rm 4,20-25; Sal cfr. Cant. Lc 1,68-75; Lc 12,13-21
Colletta: Dio onnipotente ed eterno, crea in noi un cuore generoso e fedele, perché possiamo sempre servirti con lealtà e purezza di spirito. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
L’insegnamento di Gesù è più che mai attuale: dobbiamo, innanzi tutto, sottrarci alla tentazione dell’affanno, dell’ansia, come se tutto dipendesse da noi. Una vita affannata accumula le cose, ma non le gode. Credere che la vita dipende da ciò che possediamo si tratta di una vera mancanza di fede. Più che correre dietro all’oro dobbiamo avere lo zelo di cercare anzitutto il regno di Dio. Se si pone al primo posto il Regno di Dio, resta spazio anche per le altre cose. Non è disprezzo del denaro, ma saggezza che nasce anche dall’esperienza: quanti amici, parenti, familiari abbiamo accompagnato al cimitero, ebbene, cosa hanno portato via da questo mondo? Chiara quindi la parola di Gesù: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?
Dal Vangelo secondo Luca 12,13-21: In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?» E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così - disse -: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità - Hugues Cousin (Vangelo di Luca): Un uomo chiede a Gesù di intervenire in un problema di eredità. Ma ha «sbagliato indirizzo», poiché Gesù non è un maestro della legge come gli altri, il cui compito è precisamente di occuparsi di problemi legali. Compito di Gesù è annunciare la buona novella del regno e chiamare alla conversione; dunque, è quello di andare alla radice della controversia tra i due fratelli (vv. 13-15); da qui il rifiuto del ruolo che lo sconosciuto si aspettava di vedergli svolgere, poi l’appello alla folla. Al di là di un preciso richiamo della legge («Non desidererai la casa del tuo prossimo... e tutto quello che è del tuo prossimo»: Es 20,17), si tratta di una messa in guardia contro il desiderio insaziabile di avere di più, o anche di possedere più del necessario. Una massima sapienziale ne rivela il motivo: le ricchezze materiali non sono in grado di assicurare una vera sicurezza; la vita non è garantita dall’abbondanza (cfr. già 9,25). Lo si sarà compreso: il rifiuto di Gesù di essere giudice o di regolare una spartizione di eredità non significa affatto che egli sanzioni de facto un’ingiustizia. La parabola del ricco stolto ne è l’illustrazione (vv. 16-21). Proprietario terriero, egli decide di procedere a nuove più grandi costruzioni per riporre nel granaio un raccolto assai abbondante e mettere così da parte, per poterne beneficiare, quanto gli permetterà di riposarsi tranquillamente per molti anni. Intanto demolirà magazzini ritenuti troppo piccoli, ma che potrebbero essere utili ad altri... Completamente preso da un progetto egoistico che fa assegnamento soltanto sulla vita presente, il nostro uomo non tiene in considerazione la morte, la sua morte, nella soluzione del suo problema. Così facendo, si dimostra stolto poiché Dio, il padrone della vita, si prenderà la sua vita «questa stessa notte»; quest’uomo ha mancato di intelligenza non assicurandosi una felicità duratura. Al v. 21 l’applicazione mette in guardia contro un simile comportamento egoista (« chi accumula ricchezze solo per sé»). Infatti è necessario arricchirsi davanti a Dio; ancora piuttosto enigmatica, questa lezione sarà pienamente illuminata dalla conclusione di tutto l’insieme, ai vv. 33-34
Il peccato dell’uomo ricco non sta nella cupidigia, infatti, non ha cercato affannosamente di arricchirsi: è solo un uomo che è stato baciato dalla fortuna; non è nemmeno un uomo perverso o vizioso: in un’ultima analisi, è semplicemente un uomo che fa progetti e vuol godersi la sua fortuna. Il suo vero errore sta nel fatto di non attendere «alle cose del cielo» (cfr. Col 3,1-2): il pesante metallo aureo, come sporco cerume, ha occluso l’udito dello spirito impedendogli di captarle. Oltre ad essere sordo è anche un povero cieco pur dicendo di vedere (cfr. Gv 9,39): una cecità che lo trascina ad escludere Dio dalla sua vita e ad assolutizzare e a riporre la sua fiducia in quello che è soltanto transeunte, fumo, apparenza. Tradotto nel linguaggio biblico, questo agire è idolatria perché «pur conoscendo Dio» non gli ha «dato gloria né gli ha reso grazie» e «vaneggiando nei suoi ragionamenti si è ottenebrata la sua mente ottusa» (cfr. Rom 1,21). Ha invertito ruoli e valori. Invece di dare lode a Dio, dal quale dipende la sorte di ogni uomo, ha esaltato le creature e i valori terreni che, come la scena di questo mondo (cfr. 1Cor 7,31), passeranno inesorabilmente. È come quel tale che dopo una pesca abbondante invece di ringraziare Dio «offre sacrifici alla sua rete e brucia incenso al suo giacchio, perché fanno grassa la sua parte e succulente le sue vivande» (Amos 1,16). Invece di procurarsi un tesoro inesauribile presso Dio ha pensato solo di accumulare per sé. In ultima istanza, Gesù ha voluto porre il ‘tale’ dinanzi al suo vero destino; gli ha insegnato che il pensare alla morte personale è più importante del tesoreggiare: questo significa arricchirsi dinanzi a Dio. La prospettiva, quindi, è «quella della morte personale: è in questo momento che i beni della terra vengono meno e che importa disporre di tesori indefettibili ... Il discepolo di Gesù si preoccupa del tesoro di cui potrà disporre in cielo presso Dio, nel momento in cui Dio gli chiederà l’anima» (J. Dupont). E questa è sapienza cristiana!
Illusioni e pericoli della ricchezza - É. Beaucamp e J. Guillet: Se Dio arricchisce i suoi amici, non ne consegue che ogni ricchezza sia frutto della sua benedizione. L’antica sapienza popolare non ignora che esistono fortune ingiuste; ma, si ripete, i beni male acquistati non giovano (Prov 21,6; 23,4s; cfr. Os 12,9) e l’empio ammassa per far infine ereditare il giusto (Prov 28,8). Di fatto è male acquistata la ricchezza che finisce per escludere la massa degli uomini dai beni della terra, riservandoli a pochi privilegiati: «Guai a coloro che aggiungono casa a casa ed uniscono campo a campo, al punto da occupare tutto lo spazio, restando i soli abitanti del paese» (Is 5,8); «le loro case sono piene di rapine, perciò sono diventati importanti e ricchi, grossi e grassi» (Ger 5,27s). Empi, ancora, i ricchi che credono di poter fare a meno di Dio: confidano nei loro beni e se ne fanno una fortezza (Prov 10,15), dimenticando Dio, la sola fortezza valida (Sal 52,9). Un paese «pieno d’argento e d’oro... di cavalli e di carri innumerevoli» diventa presto «un paese ripieno di idoli» (Is 2,7s). «Chi confida nella ricchezza, vi si inabisserà» (Prov 11,28; cfr. Ger 9,22). Invece di rafforzare l’alleanza, i doni-divini possono offrire l’occasione di rinnegarla: «Sazi, i loro cuori si gonfiarono, e perciò mi hanno dimenticato» (Os 13,6; cfr. Deut 8,12ss). Israele dimentica costantemente donde gli vengono i beni di cui è ricolmo (Os 2) e corre a prostituirsi con gli ornamenti di cui è debitore all’amore del suo Dio (Ez 16). È difficile rimanere fedeli nella prosperità, perché il grasso chiude il cuore (Deut 31,20; 32,15; Giob 15,27; Sal 73,4-9). È sapienza diffidare dell’argento e dell’oro, quand’anche si fosse re (Deut 17,17), e ripetere la preghìera in cui Agur riassume dinanzi a Dio la sua esperienza: «Non darmi né povertà né ricchezza; lasciami gustare la mia porzione di pane; per tema che, sazio, io non ti rinneghi e dica: «Chi è Jahve?», oppure che, nella miseria, non rubi e non profani il nome del mio Dio» (Prov 30,8). Il Nuovo Testamento fa sue tutte le riserve del Antico Testamento nei confronti della ricchezza. Le invettive di Giacomo contro i ricchi pasciuti e la loro ricchezza imputridita eguagliano quelle dei profeti più violenti (Giac 5,15). «Ai ricchi di questo mondo» si raccomanda «di non montare in superbia, di non porre la loro fiducia in ricchezze precarie, ma in Dio che ci provvede con larghezza di tutto» (1Tm 6,17). «L’orgoglio della ricchezza» è il mondo, e non si può amare Dio ed il mondo (1Gv 2,15s).
La ricchezza nel Nuovo Testamento - Costante Bovetto: Il Nuovo Testamento, in cui dominano le preoccupazioni di salvezza, bolla ancor di più chi confida solo nella sua ricchezza, come si vede nelle invettive di Giacomo contro i ricchi pasciuti e la loro ricchezza imputridita (Gc 5,1-5). La parola di Gesù è sferzante: “Guai a voi, o ricchi, perché avete la vostra consolazione” (Lc 6,24). L’invettiva è in diretta opposizione con la beatitudine della povertà. Viene soprattutto bollato l’attaccamento che trasforma la ricchezza in idolo (mammona, cfr. Mt 6,24): “L’avarizia insaziabile è idolatria!” (Col 3,5); “Dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore” (Lc 12,34); “Difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli!” (Mt 19,23 s.). Per salvarsi è determinante la legge della carità: “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere” (At 20.35); “Chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo” (Lc 14,33). Questa severa e incondizionata ingiunzione vale anzitutto nell’ordine spirituale. I primi cristiani, mettendo liberamente in comune tutti i beni (At 4,32), hanno indicato anche per il futuro la priorità della destinazione comunitaria dei beni rispetto alla proprietà privata. Con equilibrio la dottrina sociale della Chiesa dichiara “naturale” il diritto di proprietà privata, considerandolo fondamentale per l’autonomia e lo sviluppo della persona, ma con altrettanta forza ne rivendica la “naturale” funzione sociale. E riconosciuta positiva anche la funzione del profitto, indice del buon andamento economico. Ma la finalità ultima della ricchezza non può però essere di ordine quantitativo, bensì qualitativo. I cristiani auspicano uno stile di vita che permetta lo sviluppo della ricchezza su scala universale, evitando le concentrazioni parassitane di essa e ì guasti ecologici che ne possono derivare.
L’uomo della parabola è stolto non perché agogna il riposo dopo la fatica o perché ha saputo approfittare dell’insperata fortuna che lo ha messo tra le file dei ricchi, ma perché non ha elevato mai il pensiero a Dio; perché ha escluso Dio dalla sua vita, fonte della ricchezza vera e datore di «ogni buon regalo e ogni dono perfetto» (Gc 1,17; cfr. Gv 3,27). L’uomo ricco della parabola, dando eccessivo peso ai beni terreni come se tutto dipendesse dalla loro abbondanza, si è chiuso in una triste avventura umana dalla quale è stato bandito il Cielo. La risposta di Gesù è in sintonia con gli insegnamenti sapienziali. Già Ben Sirach suggeriva ai suoi lettori: «Chi ama l’oro non sarà esente da colpa, chi insegue il denaro per esso peccherà. Molti sono andati in rovina a causa dell’oro, il loro disastro era davanti a loro. È una trappola per quanti ne sono entusiasti, ogni insensato vi resta preso» (31,5-7). Lo stolto, secondo l’Antico Testamento, è colui che «non informa la condotta alle regole insegnate dai saggi. Anzi, egli si oppone alla verità che la creazione stessa gli manifesta e rifiuta un ordine che gli sarebbe invece salutare. Alla base del suo comportamento vi è una lacuna nella “conoscenza”, una errata valutazione della realtà» (A. Z.). Lo stolto è «colui che si comporta male con Dio e con gli uomini» (Bibbia di Gerusalemme); è il ficcanaso che si immischia in tutto (cfr. Prov 17,24); è colui che nega l’esistenza di Dio e la sua provvidenza (cfr. Sir 5,3); lo stolto è l’uomo ribelle, scettico e libertino (cfr. Sir 22,9-11); stolto è il popolo che abbandona il suo vero Dio per mettersi tra le braccia di idoli che sono inutili e vani (cfr. Ger 2,11). Lo stolto è colui che non si domina, che non controlla le sue passioni (Prov 29,11). La rovina dello stolto sarà improvvisa, «in un attimo crollerà senza rimedio» (Prov 6,11).
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** La rovina dello stolto sarà improvvisa, «in un attimo crollerà senza rimedio» (Prov 6,11).
Nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
O Signore, questa celebrazione eucaristica,
che ci ha fatto pregustare le realtà del cielo,
ci ottenga i tuoi benefici nella vita presente
e ci confermi nella speranza dei beni futuri.
Per Cristo nostro Signore.
che ci ha fatto pregustare le realtà del cielo,
ci ottenga i tuoi benefici nella vita presente
e ci confermi nella speranza dei beni futuri.
Per Cristo nostro Signore.