17 Ottobre 2019

Giovedì XXVIII Settimana T. O.

S. IGNAZIO DI ANTIOCHIA, VESCOVO E MARTIRE – MEMORIA

Rm 3,21-30a; Salmo Responsoriale 129 (130); Lc 11,47-54

Sant’Ignazio d’Antiochia: Ignazio, secondo dopo Pietro, resse la Chiesa di Antiochia. Condannato alle fiere, fu portato a Roma e qui sotto l’imperatore Traiano fu coronato dal glorioso martirio nell’anno 107. Durante il viaggio scrisse sette lettere a diverse Chiese, nelle quali trattò con sapienza e dottrina della costituzione della Chiesa e della vita cristiana. Ai romani chiede che abbiano compassione di lui, lasciandolo al suo martirio. Le sue ossa furono raccolte da alcuni fedeli e ricondotte ad Antiochia, dove furono sepolte nel cimitero della chiesa fuori della Porta di Dafne. A seguito dell’invasione saracena, le reliquie furono ricondotte a Roma e lì sepolte nel 637 presso la basilica di San Clemente al Laterano dove tuttora riposano. La morte, ci suggerisce sant’Ignazio, è unione a Cristo, è traguardo per essere uomo perfetto: «Giunto là sarò veramente un uomo, lasciate che io imiti la passione del mio Dio. Se qualcuno lo ha in sé, comprenda quello che io voglio». Ignazio vuole morire per essere per sempre con Cristo, per comprendere questo desiderio dobbiamo volgere lo sguardo alla croce di Gesù, alla sua morte, alla sua risurrezione. Solo volgendo lo sguardo alla croce si può comprendere che la morte terrena non è la fine della vita, ma piuttosto l’inizio di una nuova vita, anzi l’inizio della vera vita.

Colletta: Dio onnipotente ed eterno, che nel sacrificio dei martiri edifichi la tua Chiesa, mistico corpo del Cristo, fa’ che la gloriosa passione che meritò a sant’Ignazio una corona immortale, ci renda sempre forti nella fede. Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Gli scribi e i farisei innalzavano monumenti ai profeti e si ritenevano per questo diversi dai loro padri che invece li avevano uccisi. Ma è tutto ipocrisia: al tempo di Gesù, infatti, i farisei veneravano i profeti solo perché costoro erano morti e sepolti, e quindi non davano più fastidio. Se i profeti fossero stati in mezzo a loro li avrebbero uccisi, così come uccideranno Gesù, profeta scomodo. Agli occhi di Gesù balza netto un altro difetto dei dottori della legge: la cavillosità nella speculazione teologica e  nella interpretazione della morale. Non solo rendevano complicata l’osservanza della legge, turbando in tal modo la coscienza dei semplici, ma quello che era diabolico era il fatto che in questo modo insegnavano come a mettere in pace la coscienza: bastava osservare pedissequamente la legge, naturalmente solo nell’apparenza e non nella sostanza.

Dal Vangelo secondo Luca 11,47-54: In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. Così voi testimoniate e approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite. Per questo la sapienza di Dio ha detto: “Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno”, perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall’inizio del mondo: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa, che fu ucciso tra l’altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione. Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito». Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca.

Con queste durissime parole si conclude il rimprovero che Gesù muove ai farisei e ai dottori della legge. Non va dimenticato che queste parole sono state pronunciate in casa di un fariseo che aveva ospitato Gesù per il pranzo, e questo rende ancora poco comprensibile la durezza del discorso di Gesù. Manca di diplomazia? Poteva con minore rigore correggere la dottrina dei farisei e dei dottori della legge? Altrove nei vangeli ritroviamo simili rimproveri, espressi anche con maggiore durezza. Se l’imputato sul banco degli accusati rimane sempre l’ipocrisia, qui viene aggiunta un’ulteriore trasgressione da parte dei custodi della legge: Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito. Due difetti, il primo voi non siete entrati, nel senso che “non hanno capito il vero senso della legge”, non sono entrati in profondità perché mancanti di umiltà, ma con spocchiosa sicumera sbandieravano la loro presunta conoscenza della legge, come dire falsi maestri o meglio maestri di una dottrina meramente umana, frutto di una elucubrazione fantasiosa, da qui il peccato: hanno fatto deviare il popolo d’Israele dal sentiero della verità. E qui la seconda trasgressione, voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito. Poiché loro non sono entrati di conseguenza hanno sbarrato le porte della conoscenza della legge di Dio al popolo eletto, hanno spento la luce che avrebbe rischiarato il cammino della conoscenza della verità. Ipocrisia, arroganza, superbia intellettuale e molto altro, questo l’hanno ben compreso, ecco perché Luca annota alla fine: Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca. Dalla bocca di Gesù non usciranno né errori né alcuna contraddizione, ma la rete, quando scoccherà l’ora di Dio, ben presto catturerà la vittima innocente per consegnarla alla tortura e alla morte.

Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno - Javer Pikaza (Vangelo secondo Luca): Lo scontro di Gesù con le autorità d’Israele ha il suo prologo nella storia dell’Antico Testamento e continua nel tempo della Chiesa, così che diviene una « costante » di ogni autentica esistenza dell’uomo sulla terra. Il prologo veterotestamentario è condensato nel destino dei profeti, vittime della violenza del loro popolo. Il tema costituisce uno dei « luoghi » classici della tradizione deuteronomista ed è stato ripreso assai presto dalla Chiesa. In modo schematico, la storia d’Israele si riassume in questi tratti: a) da una parte, si trova Dio che manda i suoi profeti per insegnare agli uomini la via della salvezza; b) dall’altra, abbiamo il popolo che li uccide (cf Lc 4,24-28; 20,9-15; At 7,52). La storia di Gesù si comprende meglio alla luce di questo prologo (11,53-54). Il suo destino di testimone perseguitato costituisce il culmine di tutta quella linea di persecuzione della verità che è cominciata fin dall’inizio della storia (caso di Abele, 11,51). Evidentemente come prologo a Gesù dobbiamo mettere tutti i giusti che soffrirono per la loro onestà, la loro testimonianza e le loro idee. Di qui sappiamo che il loro martirio non fu inutile, perché è riassunto nel martirio di Gesù, culminato nella gloria della Pasqua. La vecchia storia continua nel tempo della Chiesa. Gesù che, implicitamente, si identifica con la Sapienza di Dio (11,49; cf Mt 23-34), manda al mondo i suoi profeti e i suoi apostoli. In essi si riassume la missione cristiana, incentrata nell’opera delle due classi di uomini che testimoniano l’esperienza di Gesù (profeti) e che proclamano ufficialmente la sua parola (apostoli). Gli uni e gli altri furono perseguitati e uccisi. Questa è l’esperienza della Chiesa. In queste parole Gesù si riferiva direttamente al popolo d’Israele che ha rigettato il suo messaggio. In un modo più ampio, si indirizza all’umanità intera, che ha preferito chiudersi nelle sue verità parziali, difendendole con violenza. Questo vuol dire che il credente di Gesù e, in modo speciale, il suo messaggero vive minacciato dalla violenza di questo mondo che si chiude. Il vangelo comporta una violenza per coloro che lo praticano e suscita una reazione di autodifesa violenta da parte di coloro che si sentono minacciati dalla sua luce, dalla sua verità e dalla sua esigenza.

Gesù, profeta - P. Beauchamp: [In] Gesù Cristo [...] si riconoscono [...] dei tratti profetici; egli rivela il contenuto dei «segni dei tempi» (Mt 16,2s) e annunzia la loro fine (Mt 24-25). Il suo atteggiamento di fronte ai valori tradizionali riprende la critica dei profeti: severità per coloro che hanno la chiave, ma non lasciano entrare (Lc 11,52); ira contro l’ipocrisia religiosa (Mt 15,7; cfr. Is 29,13); discussione della qualità di figli di Abramo, di cui i Giudei si fanno vanto (Gv 8,39; cfr. 9,28); chiarificazione di un’eredità spirituale aggrovigliata, in cui le grandi linee sono diventate difficili da discernere; purificazione del tempio (Mc 11,15ss par.; cfr. Is 56,7; Ger 7,11) e annunzio di un culto perfetto dopo la distruzione del santuario materiale (Gv 2,16; cfr. Zac 14,21). Infine, elemento che lo collega in modo particolare ai profeti antichi, egli vede il suo messaggio rifiutato (Mt 13,13ss par.), rigettato da quella Gerusalemme che ha ucciso i profeti (Mt 23,27s par.; cfr. 1Tess 2,15). A mano a mano che questo termine si avvicina, egli lo annunzia e ne spiega il senso, facendo da profeta a se stesso, mostrando con ciò che egli rimane il padrone del suo destino, che lo accetta per compiere il disegno del Padre, formulato nelle Scritture. In presenza di simili atteggiamenti, accompagnati da segni miracolosi, si comprende come la folla dia spontaneamente a Gesù il titolo di profeta (Mt 16,14; Lc 7,16; Gv 4,19; 9,17), che in taluni casi designa il profeta per eccellenza annunziato nelle Scritture (Gv 1,21; 6,14; 7,40). Gesù in persona non riprende questo titolo se non incidentalmente (Mt 13,57 par.), ed esso occuperà poco posto nel pensiero della Chiesa nascente (Atti 3,22s; cfr. Lc 24,19). E questo perché la personalità di Gesù trascende in tutti i modi la tradizione profetica: egli è il messia, il servo di Dio, il figlio dell’uomo. L’autorità che egli ha dal Padre è anche tutta sua: è quella del Figlio, e che lo pone al di sopra di tutta la linea dei profeti (Ebr 1,1ss). Egli riceve le sue parole ma, come dirà Giovanni, è la parola di Dio fatta carne (Gv 1,14). Di fatto, quale profeta avrebbe mai presentato se stesso come fonte di verità e di vita? I profeti dicevano: «Oracolo di Jahve!». Gesù dice: «In verità, in verità, vi dico...». La sua missione e la sua persona non sono quindi più dello stesso ordine.

Le invettive contro gli scribi e i farisei mentre condannano specifici comportamenti dei farisei, vogliono additare quello spirito farisaico, cioè l’ipocrisia, che rappresentava e rappresenta un rischio reale, e concreto, per ogni cristiano. Perciò la pagina evangelica acquista un valore universale, per i cristiani e le comunità di tutti i tempi. Possiamo pensare a un esame di coscienza che coinvolge i cristiani di tutti i tempi. Questa pagina ci chiama in causa, dobbiamo guardarci dentro e vedere con grande onestà se i difetti degli uomini del tempo di Cristo, che si chiamino ebrei, scribi e farisei non importa un gran che, si rinnovino anche in noi. In ogni caso lo scontro verbale tra Gesù e i farisei è un fatto realmente accaduto, ed è importante salvaguardare la realtà storica in sé e per sé, ma sarebbe un grossolano errore ricordarlo come si può ricordare la battaglia di Canne o la morte di Napoleone Bonaparte, perché i fatti raccontati nei Vangeli non si possono mettere sullo stesso piano di un qualsiasi evento storico. La Bibbia non è un libro di storia, ma una Parola che è rivolta agli uomini di tutti i tempi, un messaggio universale, che “oggi” ci tocca da vicino. Questa operazione possiamo chiamarla “attualizzazione” della Parola di Dio, o possiamo impiegare un’altra parola, non importa, quello che interessa che l’uomo si lasci interrogare dalla Parola di Dio e che dia una risposta onesta e sincera. Ed è in questa risposta, più con la vita che con le parole, che corriamo il rischio di essere adescati dalla ipocrisia. In poche parole, il brano di Luca non dovrebbe lasciarci tranquilli e ben addormentati sul sofà. La Parola di Dio ci sta dicendo che c’è un peccato che non muore mai, ed è l’ipocrisia. E anche noi corriamo il rischio di essere “belli fuori e non altrettanto dentro. Col sorriso sulle labbra e nel cuore tanta invidia e vendetta. Preoccupati che le confezioni di biscotti siano perfettamente igieniche, e incollati davanti a un talk-show che propugna i vizi peggiori; difensori accaniti della cultura degli Indios e altrettanto accaniti accusatori del dirimpettaio che tiene la radio a tutto volume; attentissimi nel controllare il conto del ristorante e velocissimi nel fare la preparazione [ammesso che la facciamo] alla confessione [ammesso che ci confessiamo]; intransigenti sulla marca del dentifricio e permissivi in fatto di morale” (Giorgio De Capitani). Piccoli esempi, ma la morte, sia fisica che spirituale, arriva sempre a piccoli passi.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito” (Vangelo).
Nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Ci sostenga e ci rinnovi, Signore,

il pane che abbiamo spezzato alla tua mensa
nella nascita al cielo del martire sant’Ignazio,
perché con le parole e con le opere
ci dimostriamo autentici cristiani.
Per Cristo, nostro Signore.