6 SETTEMBRE 2019

Venerdì XXII Settimana T. O. - Anno C

Col 1,15-20; Sal 99 (100); Lc 5,33-39

Colletta: O Dio, nostro Padre, unica fonte di ogni dono perfetto, suscita in noi l’amore per te e ravviva la nostra fede, perché si sviluppi in noi il germe del bene e con il tuo aiuto maturi fino alla sua pienezza. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Le parole di Gesù contengono una profezia: nella espressione verranno giorni in cui sarà tolto lo sposo, il verbo togliere o strappare (apairomai), nel Nuovo Testamento, usato solo al passivo, preannuncia la fine violenta di Gesù. Solo allora in quei giorni, il tempo della Chiesa, ci sarà posto anche per il digiuno.

Dal Vangelo secondo Luca 5,33-39: In quel tempo, i farisei e i loro scribi dissero a Gesù: «I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere, così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!». Gesù rispose loro: «Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni digiuneranno». Diceva loro anche una parabola: «Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio; altrimenti il nuovo lo strappa e al vecchio non si adatta il pezzo preso dal nuovo. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spaccherà gli otri, si spanderà e gli otri andranno perduti. Il vino nuovo bisogna versarlo in otri nuovi. Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: “Il vecchio è gradevole!”».

Il peccato delle guide spirituali del popolo d’Israele è quello di non essere state capaci di cogliere in Gesù lo sposo dell’umanità. Con Gesù «l’attesa di Dio è colmata: “sono giunte le nozze dell’Agnello, la sua sposa è pronta!” [Ap 19,7]. Gesù è lo sposo che porta a compimento l’alleanza tra Dio e il suo popolo annunciata dal profeta Osea. I tempi sono dunque compiuti. Non è più il tempo per il legalismo, non è più il tempo per leggere il presente con gli occhi del passato, ma con quelli del futuro inaugurato da Gesù. Non è più il momento di digiunare, come all’epoca in cui si preparava ancora l’incontro con Dio, ma è il momento della festa. Egli è ormai qui!» (Anselmo Morandi). Presente lo Sposo gli invitati non possono digiunare, solo nei giorni successivi alla sua morte potranno farlo: «Il primo periodo è un continuato convito, non ci può essere posto per le astensioni e le privazioni; il secondo è un tempo di lutto, quindi anche di macerazioni. Il digiuno appare quindi un rito di condoglianze che la comunità cristiana celebra per sentirsi vicina al Cristo morto e sepolto» (Ortensio Da Spinetoli). Con Gesù si inaugura il tempo del vino nuovo: sono sorpassate tutte le numerosissime, ossessionanti e minute prescrizioni giudaiche, vecchi e logori contenitori incapaci di contenere le nuove forze fermentatrici, proprie della predicazione cristiana.

Nessuno strappa… Gesù, con la «parabola del vestito e dell’otre», rintuzza il cieco attaccamento dei Farisei alle loro tradizioni: ancora una volta non hanno capito la novità della Buona Novella che dichiara apertamente tramontate le vecchie pratiche religiose ormai incapaci di contenere il nuovo spirito che deve animare il discepolo. È l’immagine del vino nuovo, più di quella del panno non follato, a rendere più evidente il contrasto tra il vecchio e il nuovo.
Con l’immagine del vestito vecchio e del vino nuovo, Gesù dichiara sorpassate e inutili tutte le numerosissime, ossessionanti e minute prescrizioni giudaiche: erano diventate ormai vecchi e logori contenitori incapaci di contenere le nuove forze fermentatrici, proprie della predicazione cristiana.
Non vi può essere accordo o compromesso tra le leggi e le leggine mosaiche e il Vangelo, rivelazione ultima e definitiva dell’amore liberante di Dio: il vecchio è vecchio e va messo da parte; il vestito vecchio è frusto, liso ed è quindi inservibile. Gesù è venuto a tagliare i rami secchi non ad abolire la Legge in se stessa (Mt 5,17-19). Sono gli orpelli a dare fastidio, ad appesantire i cuori, ad intralciare il cammino; sono le tradizioni umane che deturpano il messaggio evangelico spogliandolo della sua bellezza e della sua novità.
Fuori immagine, non basta più essere buoni giudei, occorre diventare cristiani: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 5,20).

Le vecchie istituzioni mosaiche - Basilio Caballero (La Parola per Ogni Giorno): Partendo dalla questione del digiuno e avvalendosi poi di due paragoni, la stoffa e il vino nuovi, Gesù afferma categoricamente la novità radicale del vangelo, che deve avere la precedenza sulle vecchie istituzioni mosaiche. A vino nuovo, otri nuovi. Così Gesù risolve la polemica questione che gli pongono scribi e farisei: « I discepoli di Giovanni e i farisei digiunano spesso; invece i tuoi discepoli non digiunano mai ». Qui scorgiamo un punto di dissenso tra la giovane Chiesa e il vecchio ebraismo (cfr. Me 2,18ss; Mt 9,14ss). Non possono digiunare gli invitati mentre lo sposo è con loro, risponde Gesù, perché nessuno digiuna alle nozze. In questo modo Cristo continua l’immagine delle nozze sviluppata dai profeti a partire da Osea. Così facendo si sta dichiarando come nuovo sposo delle nuove nozze di Dio con il suo nuovo popolo, la Chiesa. Poi Gesù aggiunge due immagini che giustificano la sua risposta alla questione del digiuno. Nessuno rammenda un vestito vecchio con stoffa nuova, perché si strappa; né mette il vino nuovo in otri vecchi, perché si spaccano. Con questi paragoni, Gesù sta dicendo che la vita nuova portata dal vangelo del regno di Dio non è compatibile con le vecchie istituzioni, rappresentate qui dal digiuno. Questo brano evangelico deve essere compreso, quindi, alla luce della novità che presuppone la presenza del regno nella persona, messaggio e miracoli di Gesù. Egli non istituisce il cristianesimo come una religione il cui asse centrale sia la pratica cultuale e religiosa e la vecchia consuetudine, ma come un nuovo stile di relazioni con Dio e con i fratelli. Religione che naturalmente comporta un minimo di pratiche come espressione di fede personale e comunitaria, ma non sono la cosa più importante, perché la fede e l’amore hanno il primato sul culto.

La Chiesa, sposa dell’Agnello immacolato - Lumen gentium 6: La Chiesa, chiamata «Gerusalemme celeste» e «madre nostra» (Gal 4,26; cfr. Ap 12,17), viene pure descritta come l’immacolata sposa dell’Agnello immacolato (cfr. Ap 19,7; 21,2 e 9; 22,17), sposa che Cristo «ha amato.. . e per essa ha dato se stesso, al fine di santificarla» (Ef 5,26), che si è associata con patto indissolubile ed incessantemente «nutre e cura» (Ef 5,29), che dopo averla purificata, volle a sé congiunta e soggetta nell’amore e nella fedeltà (cfr. Ef 5,24), e che, infine, ha riempito per sempre di grazie celesti, onde potessimo capire la carità di Dio e di Cristo verso di noi, carità che sorpassa ogni conoscenza (cfr. Ef 3,19). Ma mentre la Chiesa compie su questa terra il suo pellegrinaggio lontana dal Signore (cfr. 2Cor 5,6), è come un esule, e cerca e pensa alle cose di lassù, dove Cristo siede alla destra di Dio, dove la vita della Chiesa è nascosta con Cristo in Dio, fino a che col suo sposo comparirà rivestita di gloria (cfr. Col 3,1-4).

Pratica del digiuno - R. Girard - La liturgia giudaica conosceva un «grande digiuno» nel giorno dell’espiazione (cfr. Atti 27,9); la sua pratica era una condizione di appartenenza al popolo di Dio (Lev 23,29). C’erano pure altri digiuni collettivi nei giorni anniversari delle sventure nazionali. Inoltre i Giudei pii digiunavano per devozione personale (Lc 2, 37); Così i discepoli di Giovanni Battista ed i Farisei (Mc 2, 18), taluni dei quali digiunavano due volte la settimana (Lc 18, 12). Con ciò si cercava di soddisfare uno degli elementi della giustizia definita dalla legge e dai profeti. Se Gesù non prescrive nulla del genere ai suoi discepoli (Mc 2,18), non è perché disprezzi questa giustizia oppure voglia abolirla; ma viene a compierla; e perciò vieta di ostentarla ed invita, su taluni punti, a superarla (Mt 5,17.20; 6,1). Gesù insiste maggiormente sul distacco nei confronti delle ricchezze (Mt 19,21), sulla continenza volontaria (Mt 19, 12) e soprattutto sulla rinuncia a se stessi per portare la Croce (Mt 10, 38- 39). Di fatto la pratica del digiuno non è esente da taluni pericoli: pericolo di formalismo, già denunciato dai profeti (Am 5,21; Ger 14,12); pericolo di orgoglio e di ostentazione, se si digiuna «per essere visti dagli uomini» (Mt 6,16). Per piacere a Dio, il vero digiuno deve essere unito all’amore del prossimo ed implicare una ricerca della vera giustizia (Is 58,2-11); esso non è separabile né dall’elemosina, né dalla preghiera. Infine, bisogna digiunare per amore di Dio (Zac 7,5). Gesù quindi invita a farlo con una perfetta discrezione: noto a Dio solo, questo digiuno sarà la pura espressione della speranza in lui, un digiuno umile che aprirà il cuore alla giustizia interiore, opera del Padre Che vede ed agisce nel segreto (Mt 6,17s). In materia di digiuno la Chiesa apostolica conservò le usanze del giudaismo, compiute nello spirito definito da Gesù. Gli Atti degli Apostoli menzionano celebrazioni cultuali implicanti digiuno e preghiera (Atti 13,2ss; 14,23). Durante il suo massacrante lavoro apostolico, Paolo non si accontenta di soffrire la fame e la sete quando lo esigono le circostanze; vi aggiunge ripetuti digiuni (2Cor 6,5; 11,27). La Chiesa è rimasta fedele a questa tradizione, cercando con la pratica del digiuno di mettere i fedeli in un atteggiamento di apertura totale alla grazia del Signore, in attesa del suo ritorno. Infatti, se la prima venuta di Cristo ha posto fine all’attesa di Israele, il tempo che consegue alla sua risurrezione non è quello della gioia totale in cui gli atti di penitenza sarebbero fuori posto. Difendendo, contro i farisei, i suoi discepoli che non digiunavano, Gesù stesso ha detto: «Possono forse digiunare gli amici dello sposo, finché lo sposo è con essi? Verranno giorni in cui lo sposo sarà loro tolto, ed allora in quei giorni digiuneranno» (Mc 2,19 s par.). In attesa che lo sposo ritorni a noi, il digiuno penitenziale ha il suo posto nelle pratiche della Chiesa. 

Il digiuno - Benedetto XVI (Udienza Generale 9 Marzo 2011): Il digiuno significa l’astinenza dal cibo, ma comprende altre forme di privazione per una vita più sobria. Tutto questo però non è ancora la realtà piena del digiuno: è il segno esterno di una realtà interiore, del nostro impegno, con l’aiuto di Dio, di astenerci dal male e di vivere del Vangelo. Non digiuna veramente chi non sa nutrirsi della Parola di Dio.
Il digiuno, nella tradizione cristiana, è legato poi strettamente all’elemosina. San Leone Magno insegnava in uno dei suoi discorsi sulla Quaresima: “Quanto ciascun cristiano è tenuto a fare in ogni tempo, deve ora praticarlo con maggiore sollecitudine e devozione, perché si adempia la norma apostolica del digiuno quaresimale consistente nell’astinenza non solo dai cibi, ma anche e soprattutto dai peccati. A questi doverosi e santi digiuni, poi, nessuna opera si può associare più utilmente dell’elemosina, la quale sotto il nome unico di ‘misericordia’ abbraccia molte opere buone. Immenso è il campo delle opere di misericordia. Non solo i ricchi e i facoltosi possono beneficare gli altri con l’elemosina, ma anche quelli di condizione modesta e povera. Così, disuguali nei beni di fortuna, tutti possono essere pari nei sentimenti di pietà dell’anima” (Discorso 6 sulla Quaresima, 2: PL 54, 286). San Gregorio Magno ricordava, nella sua Regola Pastorale, che il digiuno è reso santo dalle virtù che l’accompagnano, soprattutto dalla carità, da ogni gesto di generosità, che dona ai poveri e ai bisognosi il frutto di una nostra privazione (cfr 19,10-11).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  Il digiuno, nella tradizione cristiana, è legato poi strettamente all’elemosina.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Signore, che ci hai nutriti alla tua mensa,
fa’ che questo sacramento ci rafforzi nel tuo amore
e ci spinga a servirti nei nostri fratelli.
Per Cristo nostro Signore.