22 Settembre 2019

XXV DOMENICA T. O.

Am 8,4-7; Sal 112 (113); 1Tm 2,1-8; Lc 16,1-13

Colletta: O Padre, che ci chiami ad amarti e servirti come unico Signore, abbi pietà della nostra condizione umana; salvaci dalla cupidigia delle ricchezze, e fa’ che alzando al cielo mani libere e pure, ti rendiamo gloria con tutta la nostra vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Prima Lettura - L’oracolo del profeta Amos è rivolto ai mercanti disonesti i quali per i loro traffici illeciti non esitano a sfruttare i poveri, gli indigenti. Dio, poiché non resta indifferente ai soprusi, si impegna con giuramento a non dimenticare le opere dei disonesti sfruttatori: questo significa che non tarderà a punire coloro che calpestano il povero e sterminano gli umili del paese.



Salmo Responsoriale: Chi è come il Signore, nostro Dio, che siede nell’alto e si china a guardare sui cieli e sulla terra? - Benedetto XVI (Udienza Generale, 18 Maggio 2005): Lo sguardo divino si dirige su tutta la realtà, sugli esseri terreni e su quelli celesti. Tuttavia i suoi occhi non sono altezzosi e distaccati, come quelli di un freddo imperatore. Il Signore - dice il Salmista - «si china a guardare» (v. 6).
Si passa, così, all’ultimo movimento del Salmo (cfr vv. 7-9), che sposta l’attenzione dalle altezze celesti al nostro orizzonte terreno. Il Signore si abbassa con premura verso la nostra piccolezza e indigenza che ci spingerebbe a ritrarci timorosi. Egli punta direttamente col suo sguardo amoroso e col suo impegno efficace verso gli ultimi e i miseri del mondo: «Solleva l’indigente dalla polvere, dall’immondizia rialza il povero» (v. 7).
Dio si china, quindi, sui bisognosi e sofferenti per consolarli. Al povero egli conferisce il più grande onore, quello di «sedere tra i principi»; sì, «tra i principi del suo popolo» (v. 8). Alla donna sola e sterile, umiliata dalla antica società come se fosse un ramo secco e inutile, Dio dà l’onore e la grande gioia di avere parecchi figli (cfr v. 9). Il Salmista, quindi, loda un Dio ben diverso da noi nella sua grandezza, ma insieme molto vicino alle sue creature che soffrono. È facile intuire in questi versetti finali del Salmo 112 la prefigurazione delle parole di Maria nel Magnificat, il cantico delle scelte di Dio che «guarda all’umiltà della sua serva». Più radicale del nostro Salmo, Maria proclama che Dio «rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili» (cfr  Lc 1,48.53; cfr Sal 11,6-8).

Seconda Lettura - Il brano paolino oltre a sottolineare il lealismo di Paolo verso le autorità (Cf. Rom 13,1-7), mette in luce una verità di straordinaria portata e importanza teologica: la volontà salvifica di Dio estesa liberalmente a tutti gli uomini. Una volontà che comunque non è assoluta in quanto entra in campo il libero arbitrio dell’uomo. Non è impossibile salvarsi perché Dio lo vuole, ma è molto difficile perché occorre il sì dell’uomo. E non sempre le due volontà, quella divina e quella umana, vanno di pari passo.

Vangelo - Oltre a suggerire la sana e onesta avvedutezza, l’insegnamento di Gesù è una lezione circa il buono e cattivo uso del danaro. La ricchezza è detta «disonesta» perché spesso all’origine di quasi tutte le fortune c’è qualche disonestà. Comunque, nell’insegnamento cristiano, non v’è una condanna pregiudizievole del denaro, ma la sottolineatura del suo fascino tanto accattivante da potere catturare e asservire il cuore dell’uomo.

Dal Vangelo secondo Luca 16,10-13 (Forma Breve): In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

Gesù diceva ai discepoli - Carlo Ghidelli (Luca): Diceva anche ai discepoli: notiamo che cambia l’indicazione degli uditori. - un uomo ricco... un amministratore...: ecco i protagonisti della parabola. Circa l’amministratore va subito rilevato il modo con cui Luca lo caratterizza al v. 8, lo chiama infatti ingiusto (T.G.:oikonomos tès adikias: con un genitivo qualificativo alla maniera ebraica). Nello stesso versetto si indica il motivo per cui egli può essere preso come modello: per la sua abilità, perché ha agito con scaltrezza (phronimós: sentiamo già il contrasto con il ricco insensato - aphrón - di Lc 12,20s), e questa sua scaltrezza consiste appunto nel fatto che ha saputo prevedere e provvedere per il momento nel quale i suoi beni finiranno (v. 9 dove il verbo greco eklipè richiama ancora una volta il tesoro indefettibile - anekleipton - di Lc 12,33). Nessuno scandalo, dunque, nel fatto che qui si loda un amministratore infedele, ingiusto, come più tardi si paragonerà Dio ad un giudice senza giustizia (18,1-8), oppure come in Mt 10,16 i discepoli sono invitati ad essere furbi come i serpenti.

Rendi conto della tua amministrazione - Un uomo ricco aveva un amministratore: la parabola va compresa collocandola nel suo originale contesto palestinese dove l’amministratore, solitamente un servo nato nella famiglia, agendo per conto del suo padrone, usava dei beni a lui affidati con una grande libertà. Come l’esattore delle tasse, il servo amministratore, oltre ad assicurare un profitto per il suo padrone, poteva accumulare ingenti guadagni personali ricorrendo anche all’usura. Costretto da una delazione a rendere conto del- l’amministrazione, il servo, vedendo dinanzi a sé un futuro di fame e stenti, decide di giocare d’astuzia.
L’amministratore disonesto, decurtando notevolmente i debiti ai debitori del padrone, spera di mettere da parte un buon capitale di amicizie. Lo sconto operato è certamente una sostanziosa regalia, ma, come avviene in altre storie evangeliche, tutto è appositamente gonfiato, debiti e sconti, per rendere più chiara la «morale» del racconto. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto: il padrone non può non lodare l’astuzia del servo il quale ha agito con scaltrezza. Ed è appunto la scaltrezza o l’accortezza l’insegnamento che Gesù ricava dalla parabola per i discepoli.
Non vuole essere un giudizio morale: l’imbroglio è imbroglio e non è consentito fare il male perché ne derivi un bene. L’amministratore rimane disonesto e anche imbroglione; la morale della parabola è ben altra: i figli delle tenebre, i mondani, i non credenti, per conseguire i loro obiettivi, spesso malvagi o disonesti, sono capaci di aguzzare l’ingegno mettendo in campo fantasia, capacità intellettive e professionali, denaro, amicizie..., mentre i figli della luce, i credenti, i cristiani, spesso conoscono la sola forza dell’abulia, dell’inerzia.
Nella Chiesa, Corpo di Cristo, chi non opera per la sua crescita secondo la propria capacità e attività deve dirsi inutile per la Chiesa e per se stesso. Da qui l’invito a procurarsi la salvezza mettendo in campo anche la ricchezza disonesta. Disonesta perché spesso è frutto di loschi affari: l’avidità del denaro, «radice di tutti i mali» (1Tm 6,10), «ha corrotto molti e ha fatto deviare il cuore dei re» (Sir 8,2).

Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta…: versetto 11 Se dunque voi non siete stati fedeli per la mammona ingiusta; «la cosa minima» designa la ricchezza di cui uno può far cattivo uso; «la cosa grande» invece indica il bene vero, cioè l’insieme dei beni spirituali, infinitamente superiori a tutte le ricchezze. Se i discepoli sono fedeli nell’uso delle ricchezze col darle generosamente in elemosina o per lo meno sono distaccati da esse riceveranno dei beni spirituali, cioè la vera ricchezza. Con questa espressione (la vera ricchezza) viene indicato l’insieme dei beni spirituali, non già la vita eterna, né il regno celeste, poiché su quest’ultimi l’uomo non ha il potere di usarne più o meno bene.
versetto 12 Per un (bene) estraneo, cioè per un bene esterno all’uomo, com’è la ricchezza, la quale viene a mancargli (cf. vers. 9).Vi darà il vostro?; altri codici leggono: «il nostro». Il bene proprio dei seguaci di Cristo, bene che realmente appartiene all’uomo perché lo può sempre conservare, è il complesso di tutti i beni spirituali. Se i discepoli sono attaccati alle ricchezze come potranno ricevere e fare buon uso dei beni spirituali? Il versetto è presentato con un linguaggio un po’ enigmatico; ciò non stupisce perché l’intera formulazione di questo consiglio (versetti 10-12) sembra risultare dalla rielaborazione di un insegnamento proposto da Gesù in modo più fluido e diretto.

Ricchezza, traduce il greco mammóna che è una parola dall’origine aramaica dall’etimologia incerta. Alcuni studiosi hanno suggerito di collegarla alla radice ebraica ‘mn (da cui proviene il termine amen) che indica fiducia, affidamento; secondo altri è meglio collegata al termine ebraico matmon, che significa tesoro; altri ancora ritengono possa derivare dall’ebraico mun (provvedere il nutrimento). Il significato dei diversi campi semantici converge comunque nel concetto di sicurezza materiale. Se così inteso, il denaro si oppone a Dio: solo lui può dare stabilità all’uomo.
Gesù, nel raccontare la parabola dell’amministratore disonesto, vuole tracciare ai discepoli un programma di vita che non può e non deve coincidere con quello dell’amministratore.
L’obiettivo che si pone il fattore infedele è il massimo godimento personale e la sicurezza della propria vita a discapito degli altri. È per questo che il fattore imbroglia il suo padrone. Disonesto e astuto, l’unico suo fine è quello di godersi le cose di questo mondo e, per farlo, non gli importa se gli altri vengono defraudati dei loro diritti. E Gesù qui è lapidario: i figli di questo mondo sono molto ingegnosi per raggiungere questo obiettivo e se è necessario anche calpestando e sfruttando gli altri!
E questo inequivocabilmente è disonesto e immorale, anche per una “morale laica”!
L’obiettivo che invece si deve porre il discepolo di Cristo deve andare per un’altra direzione, esattamente all’opposto di quello del fattore infedele.
Morto al peccato e risorto con Cristo, il discepolo, cerca le cose di lassù (Cf. Col 3,1) e suo obiettivo primario sono le gioie che si possono avere alla presenza di Dio (Cf. Sal 16,11), compiacendolo in ogni cosa e servendolo con amore di figlio. Per lui «il vivere è Cristo» e «il morire un guadagno» (Cf. Fil 1,21). Egli anela ad essere un giorno per sempre con Cristo (Cf. Fil 1,23), nella «casa del Padre» (Gv 14,1-3). Egli desidera «una patria» migliore, quella celeste (Cf. Eb 11,13-16). In questa ottica, per il credente, le cose di questo mondo, per quanto importanti, sono del tutto secondarie, anzi, le pone al servizio di Dio e della sua causa!

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Morto al peccato e risorto con Cristo, il discepolo, cerca le cose di lassù (Cf. Col 3,1) e suo obiettivo primario sono le gioie che si possono avere alla presenza di Dio (Cf. Sal 16,11), compiacendolo in ogni cosa e servendolo con amore di figlio.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Guida e sostieni, Signore, con il tuo continuo aiuto
il popolo che hai nutrito con i tuoi sacramenti,
perché la redenzione operata da questi misteri
trasformi tutta la nostra vita.
Per Cristo nostro Signore.