23 Settembre 2019
Lunedì XXV Settimana T. O.
San Pio da Pietrelcina, Sacerdote - Memoria
Esd 1,1-6; Sal 125 (126); Lc 8,16-18
Dal Martirologio: Memoria di san Pio da Pietrelcina (Francesco) Forgione, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, che nel convento di San Giovanni Rotondo in Puglia si impegnò molto nella direzione spirituale dei fedeli e nella riconciliazione dei penitenti ed ebbe tanta provvidente cura verso i bisognosi e i poveri da concludere in questo giorno il suo pellegrinaggio terreno pienamente configurato a Cristo crocifisso.
Colletta: Dio onnipotente ed eterno, per grazia singolare hai concesso al sacerdote san Pio (da Pietrelcina) di partecipare alla croce del tuo Figlio, e per mezzo del suo ministero hai rinnovato le meraviglie della tua misericordia; per sua intercessione, concedi a noi, uniti costantemente alla passione di Cristo, di giungere felicemente alla gloria della risurrezione. Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Una esortazione per uomini saggi, Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto un letto, ma la pone su un candelabro, una esortazione per uomini che vanno al pratico, che comprendono quello che non si deve fare, e quello che si deve, e come fare. Costui sa che deve mettere ben in alto la lampada, la pone su un candelabro perché chi entra veda la luce. Fuori metafora il cristiano pone la sua vita su un candelabro perché tutti possano vedere, perché tutti possano essere illuminati. Il discepolo di Gesù è “luce”, vive nella luce, non gioca a nascondino, o meglio non è un ipocrita né tanto meno è un voltagabbana, questo ultimo è un raffinato gioco tanto amato, apprezzato, e tanto praticato dagli uomini, sopra tutto nel mondo di chi coloro che dicono persone per bene e che sanno di contare qualcosa nel consorzio civile.
La vita del genuino credente è sotto i riflettori di un mondo che certamente non è gentile o educato quando deve muovere le sue critiche alla Chiesa e ai cristiani.
E poiché i riflettori sono sempre accesi, sulla vita dei buoni e su quella dei cattivi, Non c’è nulla di segreto che non sia manifestato, nulla di nascosto che non sia conosciuto e venga in piena luce. Prima o dopo le magagne vengono fuori, si dice che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Tutto viene a galla!
In questa cornice bisogna fare attenzione a come ascolta la Parola di Dio, perché l’ascolto deve sfociare nella pratica; perché l’incoerenza, l’ipocrisia pagano un prezzo un molto alto, e ai furbetti che credono di avere in pugno i destini del mondo sarà tolto anche ciò che credono di avere.
Dal Vangelo secondo Luca 8,16-18: In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto un letto, ma la pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce. Non c’è nulla di segreto che non sia manifestato, nulla di nascosto che non sia conosciuto e venga in piena luce. Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha, sarà dato, ma a chi non ha, sarà tolto anche ciò che crede di avere».
Gesù disse alla folla - Carlo Ghidelli (Luca): Nessuno... copre... con un vaso: l’insegnamento di questa breve parabola, in sintesi, è questo: Gesù con la sua predicazione è venuto ad accendere una lucerna e la luce che si sprigiona non può rimanere nascosta. E tanto meno è Gesù a volerla tenere nascosta (si avverte qui il contrasto con il punto di vista di Mc per il quale la predicazione di Gesù nasconde, per il momento, qualcosa, un mistero - cfr 4,22 e in genere il tema generale del suo vangelo, il tema del segreto messianico): anzi Gesù vuole che quella luce illumini coloro che entrano nella casa (il v. 17b trova certamente il suo miglior commento in Lc 11,33-36). Luca ha presente una casa greco-romana: dal centro della casa ogni cosa viene illuminata e tutti quelli che vi entrano trovano questo spettacolo di luce. “niente di occulto... nulla di segreto (cfr anche 12,2): anche per Luca Gesù è un mistero, ma per lui non è necessario creare un alone di mistero attorno al mistero stesso, né la rivelazione del mistero va concepita come una iniziazione al mistero. Al contrario, il mistero di Gesù ha in sé una forza congenita che lo spinge alla rivelazione (cfr Lc 2,32).
Nessuno accende una lampada… - Wolfgang Klein: Luce. Nell’Antico Testamento è designazione dell’opera della creazione e simbolo di felicità e di salvezza. Dio dona entrambe. Luce significa anche la sua gloria e quella del mondo celeste. Il mondo dei morti è il paese delle tenebre. - L’“uomo tra due mondi” viene poi caratterizzato a Qumran mediante l’antitesi etico-cosmologica luce-tenebre (1Q 111,13). I membri della setta, in quanto “figli della luce”, nel combattimento escatologico lottano contro gli altri esseri umani, i “figli delle tenebre”. Il dualismo poggia sulla predestinazione di ogni essere umano agli ambiti luce o tenebre già prevista nel progetto creazionale di Dio; è dunque legato al concetto veterotestamentario di Dio: !Dio ha creato i due spiriti della luce e delle tenebre”, il cui campo di battaglia sono il mondo e l’uomo. Per la comprensione del simbolismo neotestamentario della luce questi antecedenti giudaici sono importanti; Paolo estende la loro applicazione in senso etico-escatologico all’evento Cristo nella parenesi battesimale, Rm 13,11-14: luce e tenebre sono come a Qumran i due ambiti di potere nei quali si compie il cammino dell’uomo, la sua condotta di vita non per predestinazione, ma attraverso la decisione per la fede o per l’incredulità. L’immagine della vicinanza del “giorno” è usata come motivazione per deporre le “opere delle tenebre” e rivestire le “armi della luce”. La vicinanza del ritorno significa dunque combattimento: “Questo combattimento è identico a quello tra fede e incredulità”. In Giovanni, Cristo, la “luce del mondo” (Gv 8,12), entra nel cosmo tenebroso. Con la venuta della “vera luce”, il tempo escatologico della salvezza è diventato presente: la luce come salvezza non è più soltanto immagine, ma designa l’essenza storica del rivelatore. I concetti luce e tenebre servono a designare la discriminazione degli uomini provocata da Cristo (Gv l1,11s). Il giudizio s’identifica con la decisione per l’incredulità, la salvezza con la decisione per la fede. A partire da questo dualismo decisionale, luce e tenebre designano due modi d’esistere: “La doppia possibilità dell’esistere umano, quella a partire da Dio, o quella a partire dall’uomo”. Il significato del “cammino” come compimento di vita è limitato, nel Nuovo Testamento, quasi esclusivamente a Paolo e Giovanni.
La lampada si pone sul candelabro, perché chi entra veda la luce, praticamente, una esplicitazione pratica della massima evangelica: “Voi siete la luce del mondo” (Mt 5,14). Un proseguo della missione di Cristo che amò definirsi luce del mondo (Gv 8,12). Il tema della luce è molto caro alla sacra Scrittura. L’essere di Dio è luce, in contrasto con l’essere umano che è tenebra. La Parola, l’insegnamento sono luce (cfr. Sal 119,5; Pr 6,23). Possiamo ricordare ancora l’invito rivolto a Israele: «Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore» (Is 2,5). In Is 42,6 e 49,6 Israele è chiamato «luce delle nazioni». Nel giudaismo l’immagine della luce «veniva riferita volentieri alla Legge o al Tempio, come anche ad eminenti personalità religiose. Qui si vuole insinuare che questa prerogativa passa al nuovo popolo di Dio» (Angelo Lancillotti). Per i cristiani convertirsi dalle tenebre alla luce (Atti 26,18) per credere alla luce (Gv 12,36) è un imperativo improrogabile, così è un impegno fruttuoso quello di far risplendere la propria luce davanti agli uomini, perché vedano le loro opere buone e rendano gloria al Padre che è nei cieli. Essere luce della terra, ovvero camminare come figli della luce (Ef 5,9), è un servizio di alto valore costruttivo, rivolto a tutto il consorzio umano unicamente per la gloria Dio e non per amore di trionfalismo o per accaparrarsi i primi posti nella Chiesa e in mezzo agli uomini.
Cristo, luce del mondo - A. Feuillet e P. Grelot: Le guarigioni di ciechi (cfr. Mc 8,22-26) hanno in proposito un significato particolare, come sottolinea Giovanni riferendo l’episodio del cieco nato (Gv 9). Gesù allora dichiara: «Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo» (9,5). Altrove commenta: «Chi mi segue non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (8,12); «io, la luce, sono venuto nel mondo affinché chiunque crede in me non cammini nelle tenebre» (12,46). La sua azione illuminatrice deriva da ciò che egli è in se stesso: la parola stessa di Dio, vita e luce degli uomini, luce vera che illumina ogni uomo venendo in questo mondo (1,4.9). Quindi il dramma che si intreccia attorno a lui è un affrontarsi della luce e delle tenebre: la luce brilla nelle tenebre (1,4), ed il mondo malvagio si sforza di spegnerla, perché gli uomini preferiscono le tenebre alla luce quando le loro opere sono malvagie (3,19). Infine, al momento della passione, quando Giuda esce dal cenacolo per tradire Gesù, Giovanni nota intenzionalmente: «Era notte» (13,30); e Gesù, al momento del suo arresto, dichiara: «È l’ora vostra, ed il potere delle tenebre» (Lc 22,53).
Finché Gesù visse quaggiù, la luce divina che egli portava in sé rimase velata sotto l’umiltà della carne. C’è tuttavia una circostanza in cui essa divenne percepibile a testimoni privilegiati, in una visione eccezionale: la trasfigurazione. Quel volto risplendente, quelle vesti abbaglianti come la luce (Mt 17,2 par.), non appartengono più alla condizione mortale degli uomini: sono un’anticipazione dello stato di Cristo risorto, che apparirà a Paolo in una luce radiosa (Atti 9,3; 22,6; 26,13); provengono dal simbolismo proprio delle teofanie del Antico Testamento. Di fatto la luce che risplendette sulla faccia di Cristo è quella della gloria di Dio stesso (cfr. 2Cor 4,6): in qualità di Figlio di Dio egli è «lo splendore della sua gloria» (Ebr 1 3). Così, attraverso Cristo-luce, si rivela qualcosa della essenza divina. Non soltanto Dio «dimora in una luce inaccessibile» (1Tim 6,16); non soltanto lo si può chiamare «il Padre degli astri» (Giac 1,5), ma, come spiega S. Giovanni, «egli stesso è luce, ed in lui non Ci sono tenebre» (1Gv 1,5). Per questo tutto ciò che è luce proviene da lui, dalla creazione della luce fisica nel primo giorno (cfr. Gv 1,4) fino alla illuminazione dei nostri cuori ad opera della luce di Cristo (2Cor 4,6). E tutto ciò che rimane estraneo a questa luce appartiene al dominio delle tenebre: tenebre della notte, tenebre dello sheol e della morte, tenebre di Satana.
«Comportatevi come i figli della luce» (Ef 5, 8): per realizzare una svolta culturale - Evangelium vitae 95: «Comportatevi come i figli della luce... Cercate ciò che è gradito al Signore, e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre» (Ef 5, 8.10-11). Nell’odierno contesto sociale, segnato da una drammatica lotta tra la «cultura della vita» e la «cultura della morte», occorre far maturare un forte senso critico, capace di discernere i veri valori e le autentiche esigenze.
Urgono una generale mobilitazione delle coscienze e un comune sforzo etico, per mettere in atto una grande strategia a favore della vita. Tutti insieme dobbiamo costruire una nuova cultura della vita: nuova, perché in grado di affrontare e risolvere gli inediti problemi di oggi circa la vita dell’uomo; nuova, perché fatta propria con più salda e operosa convinzione da parte di tutti i cristiani; nuova, perché capace di suscitare un serio e coraggioso confronto culturale con tutti. L’urgenza di questa svolta culturale è legata alla situazione storica che stiamo attraversando, ma si radica nella stessa missione evangelizzatrice, propria della Chiesa. Il Vangelo, infatti, mira a «trasformare dal di dentro, rendere nuova l’umanità»; è come il lievito che fermenta tutta la pasta (cf. Mt 13,33) e, come tale, è destinato a permeare tutte le culture e ad animarle dall’interno, perché esprimano l’intera verità sull’uomo e sulla sua vita.
Si deve cominciare dal rinnovare la cultura della vita all’interno delle stesse comunità cristiane. Troppo spesso i credenti, perfino quanti partecipano attivamente alla vita ecclesiale, cadono in una sorta di dissociazione tra la fede cristiana e le sue esigenze etiche a riguardo della vita, giungendo così al soggettivismo morale e a taluni comportamenti inaccettabili. Dobbiamo allora interrogarci, con grande lucidità e coraggio, su quale cultura della vita sia oggi diffusa tra i singoli cristiani, le famiglie, i gruppi e le comunità delle nostre Diocesi. Con altrettanta chiarezza e decisione, dobbiamo individuare quali passi siamo chiamati a compiere per servire la vita secondo la pienezza della sua verità. Nello stesso tempo, dobbiamo promuovere un confronto serio e approfondito con tutti, anche con i non credenti, sui problemi fondamentali della vita umana, nei luoghi dell’elaborazione del pensiero, come nei diversi ambiti professionali e là dove si snoda quotidianamente l’esistenza di ciascuno.
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Nell’odierno contesto sociale, segnato da una drammatica lotta tra la «cultura della vita» e la «cultura della morte», occorre far maturare un forte senso critico, capace di discernere i veri valori e le autentiche esigenze” (Evangelium vitae).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
O Dio onnipotente, che in questi sacramenti
ci comunichi la forza del tuo Spirito,
fa’ che sull’esempio di san Pio impariamo
a cercare te sopra ogni cosa, per portare in noi
l’impronta del Cristo crocifisso e risorto,
che vive e regna nei secoli dei secoli.
ci comunichi la forza del tuo Spirito,
fa’ che sull’esempio di san Pio impariamo
a cercare te sopra ogni cosa, per portare in noi
l’impronta del Cristo crocifisso e risorto,
che vive e regna nei secoli dei secoli.