17 SETTEMBRE 2019

Martedì XXIV Settimana T. O. - Anno C

  1Tm 3,1-13; Sal 100 (101); Lc 7,11-17


Colletta: O Dio, che hai creato e governi l’universo, fa’ che sperimentiamo la potenza della tua misericordia, per dedicarci con tutte le forze al tuo servizio. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

Luca ama mettere in evidenza la compassione di Gesù. La madre non chiede nulla al Signore, semplicemente mostra piangendo il suo dolore e Gesù si lascia coinvolgere dal dolore della donna. Gesù compie il miracolo con una parola che suona come un ordine: Ragazzo, dico a te, àlzati! Nessuna invocazione a Dio, nessuna preghiera, nessun gesto, ma soltanto una parola in prima persona, dico a te. Forse è proprio questo l’intento principale di Luca: affermare che la parola di Gesù è parola che salva e dona la vita.

Dal Vangelo secondo Luca 7,11-17: In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.

Gesù si recò in una città chiamata Nain - Rinaldo Fabris (Il Vangelo di Luca): Ancora un gesto di misericordia, simmetrico a quello del servo dell’ufficiale guarito a Cafarnao. Qui i protagonisti sono la madre vedova e il suo giovane figlio morto, che viene portato alla sepoltura nello stesso istante in cui Gesù entra in Nain. Due cortei s’incontrano alla porta della città: Gesù accompagnato dai suoi discepoli e da molta folla, e la madre che segue la bara del figlio, accompagnata da molta gente della città. L’attenzione di Gesù è per la povera madre; la sua partecipazione al dolore è immediata. L’ordine di non piangere, anche se in questa circostanza può sembrare paradossale, è una promessa. Luca ha già fatto intuire l’esito di questo incontro dal momento che lui chiamato Gesù con il titolo carico di significato «il Signore», 7,13b. Infatti basta il comando di Gesù e il corso degli avvenimenti viene immediatamente rovesciato; il giovane può essere restituito vivo alla madre. Segue subito la reazione religiosa della folla, che riconosce l’azione potente e salvifica di Dio: «Davano gloria i Dio», dice Luca con una formula che gli è cara (cfr. 5,26; 13,13; 17,18). Nell’esclamazione finale: «Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo», l’evangelista offre la chiave di interpretazione di tutto l’episodio. Gesù è il «grande profeta», atteso per gli ultimi tempi, Elia redivivo, il grande taumaturgo restauratore del popolo di Dio (cfr. 4,25; 9,54.61-62). Luca ha preparato questa conclusione lungo tutto il racconto, perché ha intenzionalmente ripreso alcuni particolari della risurrezione del figlio della vedova di Sarepta, fatta da Elia (cfr. 1 Re 17,17-24; Lc 7,16b = 1Re 17,23). Ma, a differenza di Elia, grande profeta atteso per il tempo messianico, Gesù è il Signore e per mezzo di lui è Dio stesso che ora interviene in modo efficace per la salvezza del suo popolo. Questa è la «visita» definitiva ed eccezionale di Dio: la risurrezione dei morti è un segno decisivo per chi lo sa accogliere. La comunità, che riascolta ora questo racconto, riconosce Gesù non solo come il grande profeta, che apre uno spiraglio e dà conforto dilazionando la morte, ma come il Signore vincitore della morte, che inaugura il tempo nuovo della speranza per tutti gli uomini credenti.

Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre - Misericordiae Vultus 8: Con lo sguardo fisso su Gesù e il suo volto misericordioso possiamo cogliere l’amore della SS. Trinità. La missione che Gesù ha ricevuto dal Padre è stata quella di rivelare il mistero dell’amore divino nella sua pienezza. « Dio è amore » (1 Gv 4,8.16), afferma per la prima e unica volta in tutta la Sacra Scrittura l’evangelista Giovanni. Questo amore è ormai reso visibile e tangibile in tutta la vita di Gesù. La sua persona non è altro che amore, un amore che si dona gratuitamente. Le sue relazioni con le persone che lo accostano manifestano qualcosa di unico e di irripetibile. I segni che compie, soprattutto nei confronti dei peccatori, delle persone povere, escluse, malate e sofferenti, sono all’insegna della misericordia. Tutto in Lui parla di misericordia. Nulla in Lui è privo di compassione.
Gesù, dinanzi alla moltitudine di persone che lo seguivano, vedendo che erano stanche e sfinite, smarrite e senza guida, sentì fin dal profondo del cuore una forte compassione per loro (cfr Mt 9,36). In forza di questo amore compassionevole guarì i malati che gli venivano presentati (cfr Mt 14,14), e con pochi pani e pesci sfamò grandi folle (cfr Mt 15,37). Ciò che muoveva Gesù in tutte le circostanze non era altro che la misericordia, con la quale leggeva nel cuore dei suoi interlocutori e rispondeva al loro bisogno più vero. Quando incontrò la vedova di Nain che portava il suo unico figlio al sepolcro, provò grande compassione per quel dolore immenso della madre in pianto, e le riconsegnò il figlio risuscitandolo dalla morte (cfr Lc 7,15). Dopo aver liberato l’indemoniato di Gerasa, gli affida questa missione: «Annuncia ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te» (Mc 5,19). Anche la vocazione di Matteo è inserita nell’orizzonte della misericordia. Passando dinanzi al banco delle imposte gli occhi di Gesù fissarono quelli di Matteo. Era uno sguardo carico di misericordia che perdonava i peccati di quell’uomo e, vincendo le resistenze degli altri discepoli, scelse lui, il peccatore e pubblicano, per diventare uno dei Dodici. San Beda il Venerabile, commentando questa scena del Vangelo, ha scritto che Gesù guardò Matteo con amore misericordioso e lo scelse: miserando atque eligendo.

I miracoli, segni efficaci della salvezza - É. Ternant - Con i suoi miracoli Gesù manifesta che il regno messianico annunziato dai profeti è giunto nella sua persona (Mt 11,4s); attira l’attenzione su di sé e sulla buona novella del regno che egli incarna; suscita un’ammirazione ed un timore religioso che inducono gli uomini a chiedersi chi egli sia (Mt 8,27; 9,8; Lc 5,8ss). Con essi Gesù attesta sempre la sua missione e la sua dignità, si tratti del suo potere di rimettere i peccati (Mc 2,5-12 par.), o della sua autorità sul sabato (Mc 3,4 s par.; Lc 13,15s; 14,3 ss), della sua messianità regale (Mt 14,33; Gv 1,49), del suo invio da parte del Padre (Gv 10,36), della potenza della fede in lui (Mt 8,10-13; 15,28 par.), con la riserva Che impone la speranza giudaica di un messia temporale e nazionale (Mc 1,44; 5,43; 7,36; 8,26). Già in questo essi sono segni, come dirà S. Giovanni. Se provano la messianità e la divinità di Gesù, lo fanno indirettamente, attestando che egli è veramente ciò che pretende di essere. Perciò non devono essere isolati dalla sua parola: vanno di pari passo con l’ evangelizzazione dei poveri (Mt 11,5 par.). I titoli che Gesù dà a sé, i poteri che rivendica, la salvezza che predica, le rinunzie che esige, ecco ciò di cui i miracoli fanno vedere l’autenticità divina, a chi non rigetta a priori la verità del messaggio (Is 16,31). In tal modo questo è superiore ai miracoli, come lascia capire la frase su Giona secondo Lc 11,29-32. Esso si impone come il segno primario e solo necessario (Gv 20,29), per la ineguagliabile autorità personale del suo araldo (Mt 7, 29) e per la sua qualità interna, costituita dal fatto che, realizzando la rivelazione anteriore (Lc 16,31; Gv 5,46s), corrisponde negli uditori all’appello dello Spirito (Gv 14,17.26); proprio esso, prima di essere confermato ed illustrato dai miracoli, li dovrà distinguere dai falsi segni (Mc 13,22s; Mt 7, 22; cfr. 2Tess 2 9; Apoc 13,13). Qui, come in Deuteronomio, «i miracoli díscernono la dottrina, e la dottrina discerne i miracoli» (Pascal).

Papa Francesco (Angelus, 9 Giugno 2013): Nei Vangeli troviamo diversi riferimenti al Cuore di Gesù, ad esempio nel passo in cui Cristo stesso dice: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,28-29). Fondamentale poi è il racconto della morte di Cristo secondo Giovanni. Questo evangelista infatti testimonia ciò che ha veduto sul Calvario, cioè che un soldato, quando Gesù era già morto, gli colpì il fianco con la lancia e da quella ferita uscirono sangue ed acqua (cfr Gv 19,33-34). Giovanni riconobbe in quel segno, apparentemente casuale, il compimento delle profezie: dal cuore di Gesù, Agnello immolato sulla croce, scaturisce per tutti gli uomini il perdono e la vita.
Ma la misericordia di Gesù non è solo un sentimento, è una forza che dà vita, che risuscita l’uomo! Ce lo dice anche il Vangelo di oggi, nell’episodio della vedova di Nain (Lc 7,11-17). Gesù, con i suoi discepoli, sta arrivando appunto a Nain, un villaggio della Galilea, proprio nel momento in cui si svolge un funerale: si porta alla sepoltura un ragazzo, figlio unico di una donna vedova. Lo sguardo di Gesù si fissa subito sulla madre in pianto. Dice l’evangelista Luca: «Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei» (v. 13). Questa «compassione» è l’amore di Dio per l’uomo, è la misericordia, cioè l’atteggiamento di Dio a contatto con la miseria umana, con la nostra indigenza, la nostra sofferenza, la nostra angoscia. Il termine biblico «compassione» richiama le viscere materne: la madre, infatti, prova una reazione tutta sua di fronte al dolore dei figli. Così ci ama Dio, dice la Scrittura.
E qual è il frutto di questo amore, di questa misericordia? E’ la vita! Gesù disse alla vedova di Nain: «Non piangere!», e poi chiamò il ragazzo morto e lo risvegliò come da un sonno (cfr vv. 13-15). Pensiamo questo, è bello: la misericordia di Dio dà vita all’uomo, lo risuscita dalla morte. Il Signore ci guarda sempre con misericordia; non dimentichiamolo, ci guarda sempre con misericordia, ci attende con misericordia. Non abbiamo timore di avvicinarci a Lui! Ha un cuore misericordioso! Se gli mostriamo le nostre ferite interiori, i nostri peccati, Egli sempre ci perdona. È pura misericordia! Andiamo da Gesù!

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Amoris laetitia 64: «L’esempio di Gesù è paradigmatico per la Chiesa. […] Egli ha inaugurato la sua vita pubblica con il segno di Cana, compiuto ad un banchetto di nozze (cfr Gv 2,1-11). […] Ha condiviso momenti quotidiani di amicizia con la famiglia di Lazzaro e le sue sorelle (cfr Lc 10,38) e con la famiglia di Pietro (cfr Mt 8,14). Ha ascoltato il pianto dei genitori per i loro figli, restituendoli alla vita (cfr Mc 5,41; Lc 7,14-15) e manifestando così il vero significato della misericordia, la quale implica il ristabilimento dell’Alleanza (cfr Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, 4). Ciò appare chiaramente negli incontri con la donna samaritana (cfr Gv 4,1-30) e con l’adultera (cfr Gv 8,1-11), nei quali la percezione del peccato si desta davanti all’amore gratuito di Gesù». 
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

La potenza di questo sacramento, o Padre,
ci pervada corpo e anima,
perché non prevalga in noi il nostro sentimento,
ma l’azione del tuo Santo Spirito.
Per Cristo nostro Signore.