5 AGOSTO 2019

LUNEDÌ XVIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Nm 11,4b-15; Sal 80 (81); Mt 14,13-21


Colletta: Mostraci la tua continua benevolenza, o Padre, e assisti il tuo popolo, che ti riconosce suo pastore e guida; rinnova l’opera della tua creazione e custodisci ciò che hai rinnovato. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

Giovanni Battista è stato decapitato, e Gesù, certamente con il cuore straziato dal dolore, si ritira in un luogo deserto, sente il bisogno di un po’ di solitudine, ma la folla non sente ragione, lo tallona, non gli da respiro, e Gesù vedendo una grande folla, dimentica il riposo e dilata il cuore alla compassione: “Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati”. E come se non bastasse moltiplicando cinque pani e due pesci sfama cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini. Ma è bene mettere in evidenza alcune note, innanzi tutto sono i discepoli a chiedere il congedo della folla, sono ancora in un dimensione orizzontale: in un deserto non vi sono botteghe che vendono pane. Gesù li provoca: Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare. È un chiaro invito ad uscire fuori dalle loro considerazioni tutte umane, se pur ragionevoli, ma il tentativo fallisce, infatti rispondono a Gesù: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ma Gesù insiste e dice ai discepoli: «Portatemeli qui». E in questa cornice tutta umana, di incredulità, che avviene il miracolo della moltiplicazione dei cinque pani e dei due pesci, e il discepolo può ricavare alcune riflessioni: innanzitutto, i miracoli nascono dalla compassione e nel porsi in una dimensione verticale; della fame del mondo, fame fisica e spirituale, è responsabile l’uomo, e non può mettersi a posto la coscienza congedando la folla, ma con l’aiuto di Dio può e deve sfamare gli affamati; e infine nulla va buttato, è urgente correggere una società che usa e getta, produce, consuma e spreca, riducendo alla fame milioni di uomini. I credenti devono sentirsi responsabili se non avviene una inversione di marcia.

Dal Vangelo secondo Matteo 14,13-21: In quel tempo, avendo udito [della morte di Giovanni Battista], Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati. Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui». E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

Il testo evangelico è di un ricchezza straordinaria. Innanzi tutto vi possiamo cogliere un senso messianico. Il racconto evangelico è analogo al racconto del dono prodigioso della manna (Cf. Es 16,4-35). Ci aiuta in questa comprensione anche l’ambiente dove Gesù opera il miracolo della moltiplicazione dei pani che corrisponde a quello dell’Esodo: Gesù come Mosè si trova nel deserto, circondato da una grande folla, affamata perché sprovvista di cibo, e come Mosè nel deserto si prende cura del popolo d’Israele, così Gesù sente compassione del popolo e lo nutre abbondantemente.
«L’analogia con l’epopea dell’esodo delle tribù israelitiche sostenute da Dio nel passaggio del deserto alla terra promessa offre un significato fondamentale al gesto di Cristo. Non diversamente da Mosè, egli, come messia, guida e sostiene la comunità messianica nel cammino verso la terra promessa» (Giuseppe Barbaglio).
Poi, il senso ecclesiale che «emerge dalla mediazione dei discepoli [v. 19] per distribuire il cibo miracoloso procurato da Gesù alle folle, fatte adagiare sull’erba. È l’immagine della Chiesa, nella quale i Dodici continueranno a elargire i beni preziosi della Parola e del Pane eucaristico in ogni luogo e in ogni tempo. Le dodici ceste di pane avanzate [v. 20] evocano le dodici tribù d’Israele, qui rappresentate dalla nuova assemblea, radunata intorno a Gesù e ai Dodici» (Angelico Poppi).
E infine, il senso eucaristico. Se si colloca la narrazione della moltiplicazione dei pani in un contesto salvifico, allora sarà spontaneo leggere il miracolo dei pani e dei pesci, alla luce dell’Eucarestia: il cibo «apprestato da Gesù, attraverso il miracolo dei pani, è immagine e segno della Cena Eucaristica, in cui il Corpo e il Sangue del Figlio di Dio vengono dati agli uomini nel mistero della sua Pasqua salvifica. Intorno al Corpo Eucaristico si costruisce la Chiesa, Corpo Mistico di Cristo. Attraverso l’Eucaristia, Gesù diventa cibo e aduna organicamente tutta l’umanità in un Corpo di cui diventa Capo» (P. Massimo Biocco).
Anche se alcuni contestano questa lettura, i verbi prendere (prese i cinque pani e i due pesci), benedire (recitò la benedizione), spezzare (spezzò i pani), dare (li diede ai discepoli) ci suggeriscono palesemente il senso eucaristico del racconto evangelico.

Non occorrono che vadano; voi stessi date loro da mangiare - Giovanni Paolo II (Messaggio per la Quaresima 1996): Il Vangelo mette in luce che il Redentore prova singolare compassione per quanti sono in difficoltà; parla loro del Regno di Dio e guarisce nel corpo e nello spirito quanti hanno bisogno di cure. Dice, poi, ai discepoli: «Date loro voi stessi da mangiare». Ma essi si accorgono di non avere che cinque pani e due pesci. Anche noi, oggi, come allora gli Apostoli a Betsàida, disponiamo di mezzi certamente insufficienti per venire incontro efficacemente ai circa ottocento milioni di persone affamate o denutrite, che alle soglie del Duemila ancora lottano per la loro sopravvivenza.
Che fare allora? Lasciare le cose come stanno, rassegnandoci all’impotenza? È questo l’interrogativo su cui desidero richiamare, all’inizio della Quaresima, l’attenzione di ogni fedele e dell’intera comunità ecclesiale. La folla di affamati, costituita da bambini, donne, vecchi, migranti, profughi e disoccupati, leva verso di noi il suo grido di dolore. Essi ci implorano, sperando di essere ascoltati. Come non rendere attenti i nostri orecchi e vigili i nostri cuori, cominciando a mettere a disposizione quei cinque pani e quei due pesci che Dio ha posto nelle nostre mani? Tutti possiamo fare qualcosa per loro, recando ciascuno il proprio contributo. Questo richiede certo delle rinunce, che suppongono una interiore e profonda conversione. Occorre senz’altro rivedere i comportamenti consumistici, combattere l’edonismo, opporsi alla indifferenza e alla delega delle responsabilità.

… spezzò i pani e li diede ai discepoli... - É. Ternant (Dizionario di Teologia Biblica): I miracoli, segni efficaci della salvezza - :Con i suoi miracoli Gesù manifesta che il regno messianico annunziato dai profeti è giunto nella sua persona (Mt 11,4s); attira l’attenzione su di sé e sulla buona novella del regno che egli incarna; suscita un’ammirazione ed un timore religioso che inducono gli uomini a chiedersi chi egli sia (Mt 8,27; 9,8; Lc 5,8ss). Con essi Gesù attesta sempre la sua missione e la sua dignità, si tratti del suo potere di rimettere i peccati (Mc 2,5-12 par.), o della sua autorità sul sabato (Mc 3,4s par.; Lc 13,15s; 14,3ss), della sua messianità regale (Mt 14,33; Gv 1,49), del suo invio da parte del Padre (Gv 10,36), della potenza della fede in lui (Mt 8,10-13; 15,28 par.), con la riserva che impone la speranza giudaica di un messia temporale e nazionale (Mc 1,44; 5,43; 7,36; 8,26). Già in questo essi sono segni, come dirà S. Giovanni. Se provano la messianità e la divinità di Gesù, lo fanno indirettamente, attestando che egli è veramente ciò che pretende di essere. Perciò non devono essere isolati dalla sua parola: vanno di pari passo on l’evangelizzazione dei poveri (Mt 11,5 par.). I titoli che Gesù dà a sé, i poteri che rivendica, la salvezza che predica, le rinunzie che esige, ecco ciò di cui i miracoli fanno vedere l’autenticità divina, a chi non rigetta a priori la verità del messaggio (Is 16,31). In tal modo questo è superiore ai miracoli, come lascia capire la frase su Giona secondo Lc 11,29-32. Esso si impone come il segno primario e solo necessario (Gv 20,29), per la ineguagliabile autorità personale del suo araldo (Mt 7,29) e per la sua qualità interna, costituita dal fatto che, realizzando la rivelazione anteriore (Lc 16,31; Gv 5 46s), corrisponde negli uditori all’appello dello Spirito (Gv 14,17.26); proprio esso, prima di essere confermato ed illustrato dai miracoli, li dovrà distinguere dai falsi segni (Mc 13,22s; Mt 7,22; cfr. 2Tess 2,9; Apoc 13,13). Qui, come in Deut, «i miracoli díscernono la dottrina, e la dottrina discerne i miracoli» (Pascal).

Tutti mangiarono a sazietà - J. Brière (Dizionario di Teologia Biblica): 1. Gesù Cristo, messia dei poveri (Lc 1, 53), proclama che coloro, i quali hanno fame e sete, saranno saziati (6,21). Inaugura la sua missione assumendo la condizione dell’affamato e dell’assetato. Messo alla prova, come Israele nel deserto, afferma e dimostra che il bisogno essenziale dell’uomo è la parola di Dio, la volontà del Padre (Mt 4,4), di cui egli fa il suo cibo e ne vive (Gv 4,32ss). Sulla croce, avendo bevuto «il calice che il Padre gli aveva dato» (Gv 18,11), la sua sete di crocifisso è inseparabile dal desiderio che egli ha di «adempiere tutta la Scrittura» (Gv 19,28), di portare a compimento l’opera del Padre suo, ma anche di «comparire dinanzi alla sua faccia» (Sai 42,3). 2. Gesù placa e suscita fame e sete. - Come già aveva fatto Dio nel deserto, Gesù allevia la fame del popolo che lo segue (Mc 8,1ss) e si preoccupa pure di suscitare il desiderio della parola di Dio, del vero pane che è egli stesso (Gv 6), il desiderio dell’acqua viva che è il suo Spirito (Gv 7,37ss). Ne suscita la sete nella Samaritana (Gv 4,1-14), così come invita Marta a desiderare la sua parola, unica cosa necessaria (Lc 10,39-42). 3. Il cristiano e gli affamati. - Per i discepoli di Gesù il dovere di nutrire gli affamati è più esigente che mai. La sete torturante nella Geenna attende colui che non ha visto l’affamato alla sua porta (Lc 16,19-24); la ricompensa è per colui che ha dato un bicchier d’acqua ad uno dei discepoli di Gesù (Mt 10,42). Proprio su questo sarà fatto il giudizio, perché nutrire l’affamato, dissetare l’assetato, significa placare, attraverso ai suoi fratelli, la fame e la sete di Gesù (Mt 25,35.42). Di questa carità, con cui plachiamo le sofferenze degli altri, dobbiamo sempre aver sete; la fonte ne è aperta, gratuita, alle anime desiderose, assetate di Dio e della visione della sua faccia, assetate della vera vita (Is 55,1ss; Apoc 21,6; 22,17).

 ...per cambiare la vita - Pontificio Consiglio «Cor Unum» (Documneto: «La fame nel mondo. Una sfida per tutti: lo sviluppo solidale») 69: Liberato progressivamente delle sue paure e delle sue ambizioni puramente materiali, illuminato sulle possibili conseguenze dei suoi propri atti, quale che sia il suo ruolo, l’uomo, che così accoglie la presenza di Dio in tutti gli aspetti della sua vita, diventerà un operatore della civiltà dell’amore. Discretamente, in profondità, il suo lavoro assumerà il carattere di una missione, nella quale si farà obbligo di esercitare e sviluppare i suoi talenti, di contribuire alla riforma delle strutture e delle istituzioni, di avere un comportamento esemplare, che inciterà il suo prossimo ad agire parimenti, e di porsi al servizio della dignità dell’uomo e del bene comune.
Le circostanze della vita fanno sì che un tale approccio al lavoro venga considerato impossibile. Ma l’esperienza dimostra che anche in situazioni apparentemente senza via d’uscita, ciascuno ha sempre un seppur piccolo margine di manovra, e che le sue scelte hanno un’importanza concreta, sia per i suoi simili sul posto di lavoro, come pure per il bene comune. Ciascuno, in un certo senso, è responsabile degli altri. E uno dei segnali dell’appello all’amore che Dio non cessa di far riecheggiare. In circostanze a volte difficili, che possono addirittura provocare sofferenze prossime alla testimonianza-martirio, ciascuno deve trovare sostegno nella forza di Dio, che ci promette il suo aiuto se noi lo poniamo al centro della nostra vita, compresa quella attiva.
«Coraggio, popolo tutto del paese, al lavoro, perché io sono con voi... ed il mio Spirito sarà con voi, non temete » (Ag 2,4-5). Il cristiano lotta contro le « strutture di peccato» e si fa addirittura strumento della loro distruzione. Pratiche tanto deleterie sul piano dello sviluppo economico e sociale saranno allora meno diffuse. Nelle regioni ove i cristiani, con coraggio e determinazione, coinvolgeranno uomini di buona volontà, la miseria potrà cessare di progredire, le abitudini di consumo potranno mutare, potranno realizzarsi riforme, la solidarietà svilupparsi e la fame arretrare.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  Il cristiano lotta contro le « strutture di peccato» e si fa addirittura strumento della loro distruzione.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Accompagna con la tua continua protezione, Signore,
il popolo che hai nutrito con il pane del cielo,
e rendilo degno dell’eredità eterna.
Per Cristo nostro Signore.