4 Agosto 2019
XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Qo 1,2; 2,21-23; Sal 89 (90); Col 3,1-5.9-11; Lc 12,13-21
Colletta: O Dio, principio e fine di tutte le cose, che in Cristo tuo Figlio ci hai chiamato a possedere il regno, fa’ che operando con le nostre forze a sottomettere la terra non ci lasciamo dominare dalla cupidigia e dall’egoismo, ma cerchiamo sempre ciò che vale davanti a te. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio...
Prima Lettura - Il libro del Qoèlet, scritto in ebraico, è più comunemente conosciuto col titolo greco “Ecclesiaste” che significa “colui che parla nell’assemblea”, cioè il predicatore. Il testo si svolge senza un chiaro ordine ed affronta il problema del significato della vita umana. Per Qoèlet tutta la vita umana è un mistero insondabile, cioè ‘vanità’, compreso lo sforzo dell’uomo di comprendere. L’amara riflessione sulle ultime sorti delle creature, vuole spingere l’uomo a considerare la caducità e la vanità dei beni terreni. Essi non vanno agognati o accumulati quasi fossero la ragione suprema dell’esistenza umana. Un insegnamento sapienziale che ritroveremo nella dottrina paolina, ma con sfumature positive perché illuminato dalla abbagliante luce del Risorto: «... quelli che comprano, [vivano] come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non ne usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo!» (1Cor 7,30-31).
Salmo Responsoriale - Dal Salmo 89 (90): Il salmo, la cui composizione molto probabilmente è avvenuta nel tempo di pace relativa quando Antioco V ridiede la libertà religiosa ad Israele (163 a.C.), mette in evidenza la condizione caduca della vita dell’uomo esposta alle sofferenze del quotidiano unitamente al lento e irreversibile decadimento della corpo umano e ai travagli degli sconvolgimenti storici causati dalle guerre e calamità naturali. Il salmista procede con un tono sapienziale, illuminato dalla cognizione della brevità dei giorni dell’uomo. Questa cognizione è tanto importante che egli la invoca per tutti gli uomini: “Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio”.
Seconda lettura - L’Apostolo Paolo suggerisce la grande dignità dell’uomo: con il Battesimo, è immerso in una vita nuova, celeste, divina e non può perderla stupidamente come Esaù perdette la primogenitura per un piatto di lenticchie (Cf. Gen 25,29-34). La novità di vita implica anche un nuovo metro di giudizio: non si possono più valutare le persone prendendo come criterio la razza, la ricchezza o l’appartenenza a una fede religiosa, perché in Cristo è stata abbattuta ogni separazione e distinzione. Tra i tanti peccati Paolo mette in evidenza la menzogna che è assente negli altri cataloghi paolini. Forse la menzione è dovuta al fatto che il mentire era un vizio molto diffuso tra i cristiani della comunità di Colossi.
Vangelo - Gesù invita i discepoli a diventare «prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» (Mt 10,16) in modo da comprendere che la loro vita non dipende dall’abbondanza dei beni, ma dall’amore misericordioso e dal perdono di Dio. Gesù non condanna la ricchezza, ma il modo di gestirla soprattutto quando esso fa dimenticare che quello che conta sta al di là della morte.
Dal Vangelo secondo Luca 12,13-21: In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
La parabola dell’uomo ricco - Rosanna Vigili (Vangelo secondo Luca): Come sempre Gesù approfondisce i temi che la gente gli propone e stavolta lo fa con una parabola. L’argomento è ancora quello dell’attaccamento ai beni materiali e il messaggio è che chi ne patisce rivela la sua scarsa intelligenza nel considerare la realtà della vita umana che può corrompersi da un momento all’altro.
Il destino è imprevedibile e chi pensasse di poter controllare il tempo della propria vita, si sbaglierebbe affatto. Non sappiamo quale sorte ci riservi neppure domani, o stanotte stessa! Lo spunto è sempre sapienziale e riguarda ciò che, nella vita umana, è, per sua natura, transeunte e ciò che, invece, resta. La prima dimensione è ben descritta in uno dei nomi ebraici usati per dire “uomo” cioè enos: “colui che non resiste, il corruttibile” (cf Gen 4,26); la seconda è quella che l’uomo vive “davanti a Dio”. Nel suo essere corruttibile, l’uomo si vedrà ritirare la sua vita (psychén sou) in qualsiasi momento e dovrà interrompere di godere dei beni che ha accumulato per sé; mentre nel suo essere “davanti a Dio” - espressione che allude al culto - l’uomo resta per sempre.
Solo Dio conosce la sorte dell’uomo, per questo il saggio consegnerà il suo tempo e i suoi affetti a Dio (cf Sal 14,1: «Stolto l’uomo che non tiene conto di Dio»).
Ne deriva la saggezza dell’accumulare «un tesoro inesauribile nei cieli, dove ladro non si accosta e tarma non rovina» (v. 33). Un’ulteriore illusione è quella del possesso, della soddisfazione che si prova a dire: questo è mio. I possessivi tradiscono una mentalità tipicamente idolatrica (cf Os 2,7) e denunciano la violazione della giustizia e della pace, un tema molto caro ai profeti. «Guai a voi che aggiungete casa a casa e unite campo a campo, finché non vi sia più spazio, e così restate soli ad abitare la terra» (Is 5,8. Cf anche Mi 2,1-5; Ger 17,11).
Ma Dio gli disse… - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Ma Dio gli disse; è conseguente alla forma letteraria utilizzata dalla parabola l’introdurre come interlocutore Dio stesso; infatti come il ricco possidente aveva espresso a se stesso i propri piani, così anche Dio manifesta con la parola quello che farà. Stolto (ἄφρον = demente, stolto); è la parola che riassume l’intero insegnamento parabolico; con questo termine molto incisivo viene condannata la stoltezza dell’uomo che ordina tutto alla vita terrena senza darsi nessun pensiero per il destino che lo attende oltre la morte (questo particolare aspetto dottrinale sarà illustrato in una parabola successiva; cf. Lc., 16,19-31). In questa notte; dalla presente indicazione non bisogna concludere che l’autore pensi ad un sogno avuto dal ricco gaudente, durante il quale Dio ha comunicato allo «stolto» proprietario l’annunzio ferale che rovinava tutti i suoi rosei progetti di vita felice. Ti sarà richiesta l’anima; forma impersonale per evitare il nome di Dio; infatti Dio stesso riprenderà la vita che ha dato a quel ricco possidente (anima = vita). Quello che hai immagazzinato di chi sarà? Interrogazione retorica ordinata ad accentuare la stoltezza con cui ha agito il bengodi descritto dalla parabola; questi infatti non si era posto nessun interrogativo per la vita dell’oltretomba, poiché si sentiva pienamente rassicurato dai suoi calcoli umani
Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita - Il Vangelo più che la vigilanza vuol suggerirci la certezza della morte e la possibilità che essa può essere improvvisa: «... verrà come un ladro nella notte: E quando la gente dirà: “C’è pace e sicurezza!”, allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie di una donna incinta: e non potranno sfuggire» (1Ts 5,2-3).
La morte è «la fine del pellegrinaggio terreno dell’uomo, è la fine del tempo della grazia e della misericordia che Dio gli offre per realizzare la sua vita terrena secondo il disegno divino e per decidere il suo destino ultimo» (CCC 1013). Da qui la necessità di ben prepararsi: «La Chiesa ci incoraggia a prepararci all’ora della nostra morte [“Dalla morte improvvisa, liberaci, Signore: antiche litanie dei santi], a chiedere alla Madre di Dio di intercedere per noi “nell’ora della morte” [“Ave Maria”] e ad affidarci a san Giuseppe, patrono della buona morte: In ogni azione, in ogni pensiero, dovresti comportarti come se tu dovessi morire oggi stesso; se avrai la coscienza retta, non avrai molta paura di morire. Sarebbe meglio star lontano dal peccato che fuggire la morte. Se oggi non sei preparato a morire, come lo sarai domani?» (CCC 1014). Cruda la riflessione di sant’Alfonso Maria de Liguori: «La morte in somma spoglia l’uomo di tutti i beni di questo mondo. Che spettacolo è vedere cacciar fuori quel principe dal suo palagio per non rientrarvi più, e prendere altri il possesso de’ suoi mobili, de’ suoi danari e di tutti gli altri suoi beni! I servi lo lasciano nella sepoltura coverto appena con una veste che basta a coprirgli le carni; non v’è più chi lo stima, né chi l’adula; né si fa più conto dei suoi comandi lasciati. Saladino, che acquistò molti regni nell’Asia, morendo lasciò detto che quando portavasi il suo cadavere a seppellirsi, uno gli andasse avanti colla sua camicia appesa ad un’asta, gridando: Questo è tutto quel che si porta Saladino alla sepoltura. Posto ch’è nella fossa il cadavere di quel principe, se ne cadono le carni, ed ecco che il suo scheletro più non si distingue dagli altri» (Apparecchio alla morte, Consid. II, Punto I).
Veritiera, ma non piena nella sua enunciazione perché la morte di Cristo ha dato alla morte dell’uomo una svolta radicale ponendola nel segno della precarietà: per mezzo di «Cristo siamo liberati dal peccato, dalla carne, dalla legge e perciò la vita, non la morte, è il segno sotto cui si svolge l’esistenza dei credenti» (Giuseppe Barbaglio).
La morte cristiana in virtù della morte e della risurrezione di Cristo «ha un significato positivo. “Per me vivere è Cristo e il morire un guadagno” [Fil 1,21]. “Certa questa parola: se moriamo con lui, vivremo anche con lui” [2Tm 2,1]. Qui sta la novità essenziale della morte cristiana: mediante il Battesimo, il cristiano è già sacramentalmente “morto con Cristo”, per vivere di una vita nuova: e se noi moriamo nella grazia di Cristo, la morte fisica consuma “questo morire con Cristo” e compie così la nostra incorporazione a lui nel suo atto redentore» (CCC 1010).
È stolto colui che vive come se la morte non dovesse mai arrivare ed è stolto colui che crede che con la morte finisce tutto; è saggio invece colui che arricchisce presso Dio.
Gesù Cristo: Io Sono la Vita - Con la venuta del Salvatore, le promesse diventano realtà - A.-A. Viard e J. Guillet (Dizionario di Teologia Biblica): 1. Gesù annunzia la vita. - Per Gesù, la vita è una cosa preziosa, «più del cibo» (Mt 6,25); «salvare una vita» è più importante anche del sabato (Mc 3,4 par.), perché «Dio non è un Dio di morti, ma di viventi» (Mc 12,27 par.). Egli stesso guarisce e restituisce la vita, come se non potesse tollerare la presenza della morte: se egli fosse stato presente, Lazzaro non sarebbe morto (Gv 11,15.21). Questo potere di dare la vita è il segno che egli ha potere sul peccato (Mt 9,6) e che apporta la vita che non muore, la «vita eterna» (1916 par.; 19,29 par.). È la vera vita; si può persino dire, senz’altro, che è «la vita» (7,14; 18,8 s par. ...). Per entrarvi e possederla bisogna quindi prendere la via stretta, sacrificare tutte le proprie ricchezze, persino le proprie membra e la vita presente (cfr. Mt 16,25s). 2. In Gesù è la vita. - Verbo eterno, Cristo possedeva da tutta l’eternità la vita (Gv l,4). Incarnato, egli è «il Verbo di vita» (1Gv 1,1); dispone della vita con proprietà assoluta (Gv 5,26) e la dona in sovrabbondanza (10,10) a tutti coloro che il Padre suo gli ha dato (17,2). Egli e «la via, la verità e la vita» (14,6), «la risurrezione e la vita» (11,25), «Luce della vita» (8,12), egli dà un’acqua viva, che, in colui che la riceve, diventa «una fonte che zampilla per la vita eterna» (4,14). «Pane di vita», egli dà a colui che mangia il suo corpo di vivere per mezzo suo, come egli vive per mezzo del Padre (6,27-58). Ciò suppone la fede: «chi vive e crede in lui, non morrà» (11,25s), diversamente «non vedrà mai la vita» (3,36); una fede che riceve le sue parole e le mette in pratica, com’egli stesso obbedisce al Padre suo, perché «il suo comando è vita eterna» (12,47-50).
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?” (Vangelo).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Accompagna con la tua continua protezione, Signore,
il popolo che hai nutrito con il pane del cielo,
e rendilo degno dell’eredità eterna.
Per Cristo nostro Signore.
il popolo che hai nutrito con il pane del cielo,
e rendilo degno dell’eredità eterna.
Per Cristo nostro Signore.