27 AGOSTO 2019

Martedì XXI Settimana T. O.

Santa Monica

1Ts 2,1-8; Sal 138; Mt 23,23-26 

Dal Martirologio: Memoria di santa Monica, che, data ancora giovinetta in matrimonio a Patrizio, generò dei figli, tra i quali Agostino, per la cui conversione molte lacrime versò e molte preghiere rivolse a Dio, e, anelando profondamente al cielo, lasciò questa vita a Ostia nel Lazio, mentre era sulla via del ritorno in Africa.

Colletta: O Dio, consolatore degli afflitti, che hai esaudito le pie lacrime di santa Monica con la conversione del figlio Agostino, per la loro comune preghiera donaci una viva contrizione dei nostri peccati, perché gustiamo la dolcezza del tuo perdono. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Gli scribi e i farisei, guide spirituali del giudaismo, si erano seduti sulla cattedra di Mosè (Mt 23.22), cioè si erano presentati come continuatori del suo magistero: lo ripetevano, lo difendevano, lo interpretavano autorevolmente, lo attualizzavano, ma al loro insegnamento non corrispondeva il loro comportamento. Avevano un’autorità che anche Gesù riconosce, osservate tutto ciò che vi dicono, ma allo stesso tempo stimmatizza il loro comportamento ipocrita che non doveva essere imitato: dicono e non fanno (Mt 23,3). Due sono i rimproveri che muove loro Gesù: l’incoerenza, legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito e la ricerca di sé, infatti si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe (Mt 23,4-6).

Dal Vangelo secondo Matteo 23,23-26: In quel tempo, Gesù parlò dicendo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima sulla menta, sull’anéto e sul cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste invece erano le cose da fare, senza tralasciare quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello! Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma all’interno sono pieni di avidità e d’intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere, perché anche l’esterno diventi pulito!».

Giustizia, misericordia e fedeltà - Basilio Caballero (La Parola per ogni giorno): Oggi leggiamo la quarta e la quinta invettiva di Gesù contro gli scribi e i farisei: la prima di esse si riferisce al pagamento delle decime e la seconda alla purezza rituale. Come nel discorso della montagna, Gesù propone, anche se implicitamente e per contrasto, una diversa impostazione e una revisione della religiosità alla luce della Scrittura e secondo la nuova giustizia o fedeltà del regno (Mt 5,20).
L’obbligo della decima - Il pagamento della decima parte del valore dei prodotti era un modo di riconoscere la sovranità e la proprietà di Dio sulla terra, la vita, la fertilità e i propri beni. Costituiva, quindi, un atto religioso. La decima era pagata dal produttore, non dal consumatore, e i suoi proventi erano destinati al mantenimento del tempio, del culto, dei sacerdoti, dei poveri, degli orfani e delle vedove. Si raccoglievano così considerevoli ricchezze che i romani spesso sequestravano. Di per sé, l’obbligo stretto della decima ricadeva sui tre prodotti più importanti della terra palestinese: il grano, il vino e l’olio, come pure sui primogeniti del bestiame (Dt 14,22s). Ma per i rigorosi farisei, ogni prodotto era assoggettato alla legge della decima, anche se si trattava di generi insignificanti. Gesù non li rimprovera per questo motivo, ma per la loro ipocrisia: « Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell’aneto e del cumino, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle ». Cristo mantenne sempre c approvò l’osservanza della legge, ma non il legalismo sterile e le tradizioni vuote di contenuto religioso. Per osservare delle minuzie, non si può trascurare l’essenziale della legge del Signore: la giustizia, cioè il rispetto dovuto a ogni persona; la misericordia, cioè l’attenzione verso i deboli e gli umili, e la fedeltà, cioè le clausole fondamentali dell’alleanza che si riassumono nell’amare Dio e il prossimo (Mt 22,34s). In effetti, sono guide cieche che filtrano il moscerino e ingoiano il cammello.

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Quinta invettiva: il formalismo farisaico. I Farisei avevano una cura meticolosa per non incorrere nella impurità legale (cf. Mc., 7,4), ma non avevano in pari tempo la stessa cura di evitare la sordidezza morale ed interiore. Prescrizioni ben determinate dovevano essere osservate per la purificazione (lavaggio) rituale degli utensili di cucina ed i Farisei distinguevano tra la parete interna ed esterna delle coppe e dei piatti; Gesù, servendosi del loro stesso linguaggio, oppone all’impurità legale dei recipienti l’impurità morale del contenuto; i piatti possono essere in condizione di purità legale, ma il loro contenuto non è sempre la conseguenza o la causa di bontà interiore; infatti possono essere consumati in piatti e coppe legalmente puri frutti di rapine e cibi abbondanti che fomentano l’intemperanza. (qualiall’interno son pieni di rapina e d’intemperanza; alcuni codici latini e la Volgata hanno: voi (cioè: gli Scribi ed i Farisei) siete pieni di rapina...; questa lettura s’ispira a Lc., 11,39 ed al versetto 28 del presente capitolo. Intemperanza; vari codici hanno altro sostantivo: ingiustiziaimpurità, cupidigiaFariseo ciecopurifica prima l’interno della coppa; molti codici aggiungono: e del piatto. Gesù richiama l’ordine obiettivo dei valori; bisogna preoccuparsi che l’interno (το ἐντός) sia moralmente puro, poiché esso trasmetterà la necessaria purità a tutto ciò che tocca.

La giustizia: Dio è «giusto» (Gn 8,25), questo significa in qualche modo: Dio è degno di fiducia (cfr. Is 26,4), è fedele all’Alleanza; elargisce la grazia (cfr. Sal 103,17; Ger 9,24), combatte i nemici che si oppongono al suo progetto di salvezza (Is 10,22; 41,1s; cfr. Rm 10,3). L’uomo che aderisce al piano di Dio è anche egli stesso «giusto» (Gb 17,9), in modo particolare il messia (Is 11,4s). Il popolo che non vive secondo questo piano di Dio abbandona la giustizia (Am 5,7). Giustizia in senso biblico non è da intendersi in senso giuridico; essa esprime piuttosto la «giusta» relazione tra Dio e l’uomo. Al tempo di Gesù era molto diffusa una concezione piuttosto unilaterale: la giustizia doveva consistere nell’adempimento fedele delle prescrizioni della legge. A Dio toccava solo fare dopo il bilancio tra le osservanze e le mancanze. Dio realizza la giustizia «per mezzo di Gesù Cristo» (Fil 1,11). I cristiani perciò diventano giusti non per mezzo della legge, ma rimettendosi totalmente a Cristo, per mezzo della fede e attraverso la grazia e la mi­sericordia di Dio (Tt 3,7). Da questo dono deriva, per chi è diventato giusto, «una nuova vita» (Rm 6,4; 12s) nell’amore. Gesù stesso «ha adempiuto tutta la giustizia» (Mt 3,15) e l’ha raccomandata ai suoi amici. In realtà i cristiani debbono «fare la giustizia» (lGv 2,29); ma la piena giustizia non è stata ancora accordata al mondo (2Pt 3,l3).

Io voglio la misericordia - J. Cambier e X. Léon-Dufour: Se Dio è tenerezza, come non esigerebbe dalle sue Creature la stessa tenerezza reciproca? Ora, questo sentimento non è naturale all’uomo: homo homini lupus! Ben lo sapeva David, che preferisce «Cadere nelle mani di Jahve, perché grande è la sua misericordia, piuttosto che nelle mani degli uomini» (2Sam 24,14). Anche su questo punto Dio educherà progressivamente il suo popolo. Egli condanna i pagani che soffocano la misericordia (Am 1,11). La sua volontà è che si osservi il comandamento dell’amore fraterno (cfr. Es 22,26), di gran lunga preferibile agli olocausti (Os 4,2; 6,6); che la pratica della giustizia sia coronata da un «tenero amore» (Mi 6,8). Chi vuole veramente digiunare deve soccorrere il povero, la vedova e l’orfano, non sottrarsi a colui che è là sua stessa carne (Is 58,6-11; Giob 31,16-23). Certamente l’orizzonte fraterno rimane ancora limitato alla razza od alla fede (Lev 19,18), ma l’esempio stesso di Dio allargherà a poco a poco i cuori umani alle dimensioni del cuore di Dio: «Io sono Dio, e non un uomo» (Os 11,9; cfr. Is 55,7). L’orizzonte si allargherà soprattutto in virtù del comandamento di non soddisfare la propria vendetta, di non serbare rancore. Ma non sarà realmente chiarito se non con gli ultimi libri sapienziali, che su questo punto abbozzano il messaggio di Gesù: il perdono deve essere praticato verso «tutti» (Eccli 27,30-28,7).

La fedeltà - C. Spicq e M.-F. Lacan: Dio esige dal suo popolo la fedeltà all’alleanza che egli rinnova liberamente (Gios 24,14); i sacerdoti devono essere fedeli in modo speciale (1Sam 2,35). Se Abramo e Mosè (Neem 9,8; Eccli 45,4) sono modelli di fedeltà, Israele nel suo complesso imita l’infedeltà della generazione del deserto (Sal 78,8ss.36s; 106,6). E quando non si è fedeli a Dio, sparisce la fedeltà verso gli uomini; non si può contare su nessuno (Ger 9,2-8). Questa corruzione non è esclusiva di Israele, perché vale per tutti i luoghi il proverbio: «Un uomo sicuro, chi lo troverà?» (Prov 20,6). Israele, scelto da Dio per essere suo testimone, non è quindi stato un servo fedele; è rimasto cieco e sordo (Is 42,18s). Ma Dio ha eletto un altro servo sul quale ha posto il suo spirito (Is 42,1ss), al quale ha fatto il dono di ascoltare e di parlare; questo eletto proclama fedelmente la giustizia, senza che le prove lo possano rendere infedele alla sua missione (Is 50,4-7), perché Dio è la sua forza (Is 49,5). Il servo fedele così annunciato è Gesù Cristo, Figlio e Verbo di Dio, il vero ed il fedele, che viene a compiere la Scrittura e l’opera del Padre suo (Mc 10,45; Lc 24, 4; Gv 19, 8. 30; Apoc 19,11ss). Per mezzo suo sono mantenute tutte le promesse di Dio (2Cor 1,20); in lui sono la salvezza e la gloria degli eletti (2Tm 2,10); con lui, gli uomini sono chiamati dal Padre ad entrare in comunione; e per mezzo suo i credenti saranno confermati e resi fedeli alla loro vocazione fino al termine (1Cor 1,8s). In Cristo quindi si manifesta in pienezza la fedeltà di Dio (1Tess 5,23s) e il fedele viene rassicurato (2Tess 3,3ss): i doni di Dio sono irrevocabili (Rom 11,29). Dobbiamo imitare la fedeltà di Cristo, tenendo duro fino alla morte, e contare sulla sua fedeltà per vivere e regnare con lui (2Tim 2,11s). Più ancora, anche se noi siamo infedeli, egli rimane fedele; perché, se può rinnegarci, non può rinnegare se stesso (2Tim 2,13); oggi, come ieri e per sempre, egli rimane ciò che è (Ebr 13,8), il sommo sacerdote misericordioso e fedele (Ebr 2,17) che permette di accedere con sicurezza al trono della grazia (Ebr 4,14ss) a coloro che, fondandosi sulla fedeltà della promessa divina, conservano una fede ed una speranza indefettibili (Ebr 10,23).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma all’interno sono pieni di avidità e d’intemperanza» (Vangelo).  
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Dio, che nella festa di santa Monica
ci hai colmato dei tuoi doni,
fa’ che, rinnovati dal pane della vita,
procediamo sicuri nel cammino della salvezza.
Per Cristo nostro Signore.