25 Luglio 2019
SAN GIACOMO, APOSTOLO - FESTA
2Cor 4,7-15; Sal 125 (126); Mt 20,20-28
Dal Martirologio: Festa di san Giacomo, Apostolo, che, figlio di Zebedeo e fratello di san Giovanni evangelista, fu insieme a Pietro e Giovanni testimone della trasfigurazione del Signore e della sua agonia. Decapitato da Erode Agrippa in prossimità della festa di Pasqua, ricevette, primo tra gli Apostoli, la corona del martirio.
Colletta: Dio onnipotente ed eterno, tu hai voluto che san Giacomo, primo fra gli Apostoli, sacrificasse la vita per il Vangelo; per la sua gloriosa testimonianza conferma nella fede la tua Chiesa e sostienila sempre con la tua protezione. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
Gesù per la terza volta aveva preannunziato la sua morte (Mt 20,17-19), eppure la domanda della madre dei figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, e la reazione scomposta degli Apostoli, mostra con chiarezza come il discorso sulla croce non sia stato recepito. La replica di Gesù è chiara: i discepoli non devono preoccuparsi di sedere alla sua destra o alla sua sinistra, ma di bere il suo calice. Gli uomini a volte, per brama di onore e di potere, agognano occupare nella società i primi posti, nella Chiesa tutto questo deve essere bandito: i capi della Chiesa devono essere servi. Gesù si pone ancora una volta come modello da imitare: Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti. Chi nella Chiesa occupa i primi posti lo deve fare con spirito di servizio, la fecondità dell’autorità non è determinata dall’affermazione di sé, ma nel farsi schiavo, come il Figlio dell’uomo.
Dal Vangelo secondo Matteo 13,1-9: In quel tempo, si avvicinò a Gesù la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dòminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
Voi non sapete ciò che domandate - I figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, se avessero avuto la conoscenza del come si muore su una croce, l’esperienza del martirio dei flagelli romani o della tortura delle spine e se avessero saputo cosa significa sudare sangue come il Maestro avrebbe fatto di lì a poco nel Getsemani, agonizzante fra mille pene fisiche e morali, certamente sarebbero stati più cauti nell’avanzare certe pretese! Gesù aveva annunciato diverse volte la sua morte dolorosa per mano dei pagani e in questa ambientazione la richiesta suona ancora più sorprendente. È veramente deludente che proprio alla vigilia della morte di Gesù, attorno alla sua persona si sogni prestigio sociale e gloria politica. Ma nel Vangelo, ma non sempre nella comunità cristiana, non c’è posto per l’arrivismo, il carrierismo, l’ambizione del potere e la corsa ai primi posti o agli onori. Basta osservare Gesù per comprendere che la salvezza dell’uomo imbocca strade diverse ed ha un prezzo sconvolgente. Ancora una volta i discepoli hanno mancato l’appuntamento con la Croce! La Croce “l’abbiamo inquadrata nella cornice della sapienza umana e nel telaio della sublimità di parola. L’abbiamo attaccata con riverenza alle pareti di casa nostra, ma non ce la siamo piantata nel cuore. Pende dal nostro collo, ma non pende sulle nostre scelte. Le rivolgiamo inchini e incensazioni in chiesa, ma ci manteniamo agli antipodi della sua logica. L’abbiamo isolata, sia pure con tutti i riguardi che merita. È un albero nobile che cresce sulle zolle recintate” (Rinaldo Paganelli). Se umilmente accettassimo di bere il calice di Gesù, la Croce, da strumento di tortura e di morte, si muterebbe in via regale che conduce all’eterna salvezza.
Potete bere il calice che io sto per bere? - Giovanni Paolo II (Omelia, 9 novembre 1982): San Giacomo era fratello di Giovanni Evangelista. Essi furono i due discepoli a cui - in uno dei dialoghi più impressionanti che riporta il Vangelo - Gesù fece quella famosa domanda: “«Potete bere il calice che io sto per bere?». Ed essi risposero: «Possiamo»” (Mt 20,23). Era la parola della disponibilità, del coraggio; un atteggiamento tipico dei giovani, però non loro esclusivo, ma di tutti i cristiani, ed in particolare di coloro che accettano di essere apostoli del Vangelo. La generosa risposta dei due discepoli fu accettata da Gesù. Egli disse loro: “Il mio calice lo berrete” (Mt 20,23). Queste parole si compirono in Giacomo, figlio di Zebedeo, che col suo sangue diede testimonianza della risurrezione di Cristo a Gerusalemme. Gesù aveva fatto la domanda sul calice che avrebbero dovuto bere i due fratelli, quando la loro madre, come abbiamo letto nel Vangelo, si avvicinò al Maestro, per chiedergli un posto di speciale rilievo per entrambi nel Regno. Però Cristo dopo aver costatato la loro disponibilità a bere il calice, disse loro: “Il mio calice lo berrete; però non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio” (Mt 20, 23). La disputa per conseguire il primo posto nel futuro Regno di Cristo, che i suoi discepoli immaginavano in modo troppo umano, suscitò l’indignazione degli altri Apostoli. Gesù approfittò allora dell’occasione per spiegare a tutti che la vocazione al suo Regno non è una vocazione al potere ma al servizio, “appunto come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mt 20,28). Nella Chiesa, l’evangelizzazione, l’apostolato, il ministero, il sacerdozio, l’episcopato, il papato, sono servizio.
Il mio calice, lo berrete - Ortensio Da Spinetoli (Matteo): La risposta di Gesù, « berrete il mio calice », annuncia la partecipazione dei figli di Zebedeo (anche qui la loro presenza è più simbolica che individuale), alla passione e morte redentiva. La loro associazione arriverà fino al martirio. Questa imitazione del maestro, a cui i due fratelli non avevano pensato, è uno dei fondamenti più inconcussi non solo della dottrina evangelica ma anche di tutta la morale neotestamentaria. Ciò che ai figli di Zebedeo stava più a cuore (i primi posti del regno) rimane incerto, perché si tratta di una concessione che dipende solo dal Padre. Egli ha ideato il piano della salvezza ed egli lo va realizzando secondo schemi prefissi. Gesù non «sa» quali posti in essi sono assegnati ai figli di Zebedeo; come dirà di ignorare, più tardi, il giorno e l’ora della fine di Gerusalemme (Mt. 24, 36).
Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli - «Gli altri dieci si sdegnarono». Una nota che mette in luce una realtà fin troppo scomoda: nel gruppo apostolico serpeggiavano divisioni, liti, manie di grandezza ... La risposta di Gesù tronca al nascere ogni velleità di primeggiare: Voi sapete che i governanti delle nazioni dòminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti.
La vera grandezza sta nel servire, nell’occupare gli ultimi posti come il Figlio dell’uomo. Una risonanza di questo insegnamento è nel racconto della lavanda dei piedi (Gv 13,1ss). Con questo detto «non si condanna di aspirare ai posti di responsabilità né si insegna paradossalmente che per raggiungere tali posti bisogna farsi servi e schiavi di tutti, ma più semplicemente si vuol dire che nell’ambito della comunità cristiana i chiamati al comando devono adempiere al loro mandato con spirito di servizio, facendosi tutto a tutti e guardando solo al bene degli altri [cf. 1Cor 9,19-23; 2Cor 4,5]» (A. Sisti).
Per Gesù servire vuol dire essere obbediente alla volontà del Padre fino alla morte, senza sconti e ripiegamenti, come il Servo di Iahvè, che si fa solidale con il peccato degli uomini. Affermando che è venuto per «dare la propria vita in riscatto per molti», il Cristo dichiara il carattere soteriologico della sua morte. Donandosi alla morte per la salvezza degli uomini e per la loro liberazione dalla schiavitù del peccato, Gesù offre alla Chiesa un modello di amore supremo, che essa è chiamata a inverare e prolungare nella storia
Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti - C. Augrain e M.-F. Lacan (Dizionario di Teologia Biblica): 1. Gesù fa sua la missione del servo; maestro mite ed umile di cuore (Mt 11,29) che annunzia la salvezza ai poveri (cfr. Lc 4,18s), egli è in mezzo ai suoi discepoli «come Colui che serve» (Lc 22,27), pur essendo il loro Signore ed il loro maestro (Gv 13,12-15), e giunge fino al colmo delle esigenze dell’amore che ispira questo servizio (Gv 13,1; 15,13), dando la sua vita per la redenzione della moltitudine dei peccatori (Mc 10,43ss.; Mt 20,26ss); perciò, trattato come uno scellerato (Lc 22,37), muore sulla croce (Mc 14, 24; Mt 26,28), sapendo che risorgerà, secondo quanto è scritto del figlio dell’uomo (Mc 8,31 par.; 9,31 par.; Lc 18,31ss par.; 24,44; cfr. Is 53,10ss). Se dunque è il Messia atteso, il figlio dell’uomo non viene a ristabilire un regno temporale, ma per entrare nella sua gloria ed introdurvi il suo popolo, passando attraverso la morte del servo. 2. La predicazione apostolica ha applicato a Gesù il titolo di servo per annunciare il mistero della sua morte (Atti 3,13s.18; 4,27s), fonte di benedizione e di luce per le nazioni (Atti 3,25s; 26,23). Agnello immolato ingiustamente come il servo (Atti 8, 32 s), Gesù ha salvato le sue pecore sviate; le piaghe del suo corpo hanno guarito le anime dei peccatori (1Piet 2,21-25). Per Matteo, Gesù è il servo che annuncia la giustizia alle nazioni ed il cui nome è la loro speranza (Mt 12,18-21 = Is 42,1-4). Infine un inno permette a Paolo di presentare il mistero di Cristo e della sua carità in una sintesi potente: esso proclama che Cristo è entrato nella gloria assumendo la condizione di servo e morendo sulla Croce per obbedire a Dio suo Padre (Fil 2,5-11); la profezia del servo annunziava quindi il sacrificio redentore del Figlio di Dio fatto uomo. Perciò il nome del santo servo di Dio, Gesù, Crocifisso e risorto, è la sola fonte della salvezza (Atti 4,10ss.29ss). 3. I servi di Dio sono ormai i servi di Cristo (Rom 1,1; Gal 1,10; Fil 1,1; cfr. Tito 1,1). Come il Signore ha preso per madre colei che si chiamava la sua serva (Lc 1, 38.43.48), così fa dei suoi servi i suoi amici (Gv 15,15) ed i figli del Padre suo (20,17). Essi d’altronde, come il loro maestro, devono passare per la stessa via della sofferenza (15,20); trionfando della prova i servi di Dio entreranno nella gloria del regno (Apoc 7,3.14s; 22,3ss).
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Se umilmente accettassimo di bere il calice di Gesù, la Croce, da strumento di tortura e di morte, si muterebbe in via regale che conduce all’eterna salvezza.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Proteggi la tua famiglia, Signore,
per l’intercessione dell’apostolo san Giacomo,
nella cui festa abbiamo ricevuto con gioia i tuoi santi misteri.
Per Cristo nostro Signore.
per l’intercessione dell’apostolo san Giacomo,
nella cui festa abbiamo ricevuto con gioia i tuoi santi misteri.
Per Cristo nostro Signore.